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I suoi genitori le stavano telefonando, ma Francesca fissò il display del cellulare, indecisa se rispondere o no. Con tutto quello che stava succedendo, non aveva tempo per chiacchiere futili. Inoltre non aveva ancora deciso fino a che punto rivelare loro la situazione in cui era coinvolta.

Non voleva farli preoccupare. Se avessero pensato che era in pericolo sarebbero tornati immediatamente in Arizona. Però poi si disse che, se non avesse risposto, si sarebbero impensieriti ancora di più e decise di rassicurarli senza fornire troppe spiegazioni.

Mentre Jonah era in una paninoteca per parlar con un poliziotto di nome Ernie, Francesca uscì dal locale e rispose.

«Pronto?»

«Fran?»

«Ciao, papà.»

«Che succede? Sono due giorni che tua madre ti chiama a casa a tutte le ore senza mai avere risposta. Il telefono suona a vuoto, la segreteria è staccata.»

«C’è un guasto alla linea. Lo stanno riparando ma ci vorrà un po’ di tempo.»

«Ti abbiamo anche chiamato al cellulare diverse volte e ti abbiamo lasciato dei messaggi sulla casella di posta vocale. Perché non ci hai richiamato?»

«Scusa, papà, ma non ho proprio avuto tempo di controllare e stamattina ho lasciato il cellulare spento fino a pochi minuti fa.»

«Perché?»

«Sto seguendo il caso di una persona scomparsa, una donna.»

«È particolarmente complicato?»

«Purtroppo si è risolto in fretta, hanno trovato il suo cadavere ieri.»

«Mi dispiace. Immagino che tu sia stata molto impegnata. Era giovane?»

«Aveva solo un anno più di me.»

«Cosa le è successo?»

Francesca sorrise dell’interesse di suo padre. Anche se era su una sedia a rotelle, suo padre era un tipo molto dinamico e sentiva la mancanza della vita attiva in polizia. «Sembra che sia stata percossa a morte con un corpo contundente.»

«Un delitto originato dalla rabbia» dedusse lui. «Una rabbia diretta contro quella donna in particolare oppure contro il genere femminile. Hai già dei sospetti?»

«Solo l’uomo che l’ha vista per ultimo.»

«Ha un alibi?»

«Non è stato ancora interrogato formalmente dalla polizia, ma verrà sentito presto. Gli ho parlato stamattina. Avevo un microfono addosso per registrare il nostro colloquio.»

«Ti ha detto qualcosa d’interessante?»

«No, ma ora che abbiamo registrato la sua versione dei fatti possiamo controllare se combacia con eventuali dichiarazioni future o se si contraddice. L’alibi gli è fornito dalla moglie, che non mi sembra un testimone attendibile. Potrebbe mentire per coprirlo, però sta a noi trovare dei riscontri certi. Non abbiamo ancora individuato il luogo del delitto. Il corpo è stato trasportato dopo la morte e lasciato dove l’abbiamo rinvenuto.»

«Quindi è premeditato?»

«È possibile che quel tizio sia legato ad altri omicidi, addirittura sette.»

«Hai detto sta a noi» precisò suo padre. «Chi è noi? Collabori con la polizia?»

Francesca pensò che a suo padre non sfuggiva proprio niente. «Sì, al caso lavora anche l’ufficio dello sceriffo della contea Yavapai. C’è anche un consulente della California, esperto in questo tipo di casi.»

Evitò accuratamente di nominare Jonah, sapendo che suo padre non sarebbe stato contento di scoprire che l’uomo che le aveva spezzato il cuore era di nuovo in contatto con lei, anche se solo per lavoro.

«Quindi si parla di un serial killer?»

«Ancora no, almeno non ufficialmente.»

«È un caso, complicato.»

«Lo so» sospirò Francesca.

«Ricorda, Fran, ai serial killer piace portare le vittime in luoghi in cui si sentono a loro agio, al sicuro. Trova quel luogo e avrai trovato la scena del crimine... e quindi anche il colpevole, probabilmente.»

Francesca pensò che Vaughn si sarebbe sentito più a suo agio al deposito. Tuttavia non avevano ancora prove sufficienti per ottenere un mandato di perquisizione. La prima volta le ricerche erano state superficiali per colpa di Hunsacker che si sentiva in debito con Butch e aveva avuto un occhio di riguardo nei suoi confronti.

Avrebbe dovuto trovare il modo di perlustrare il deposito. Anche quando la famiglia era in casa, Butch Vaughn aveva tutta la libertà di movimento che avrebbe potuto desiderare.

Poteva nascondersi agevolmente in uno dei capanni o tra i giganteschi mucchi di macchinari accatastati. L’ideale sarebbe stato riuscire ad attirarlo fuori casa e dare un’occhiata in giro durante la sua assenza.

«Vuoi che faccia dei controlli sul principale indiziato?» le chiese il padre.

«Mi sarebbe molto utile, papà. Grazie.»

Walt Moretti era un investigatore molto abile, aveva tanti contatti ed era un asso al computer. Il suo contributo sarebbe stato prezioso, pensò Francesca.

«Giacché ci sei, vedi se riesci trovare un collegamento tra Butch Vaughn e un’altra vittima, una certa Bianca Andersen.»

«Certo. Prendo una penna, così scrivo i nomi.»

Mentre Francesca aspettava in linea, Jonah uscì dalla paninoteca con la cartella di Bianca Andersen che gli aveva dato il poliziotto. Francesca la prese e, quando il padre tornò all’apparecchio, gli ripetè il nome della vittima e gli diede anche l’indirizzo, la data di nascita e il numero di previdenza sociale.

«Ah, un’ultima cosa, per favore» aggiunse. «Annota anche il nome di Dean Wheeler e vedi se scopri qualcosa su di lui.»

«Chi è?»

«Il cognato di Butch Vaughn. Ha dei problemi mentali e vorrei sapere di quale disturbo soffre e che farmaci prende.»

«Vedo che cosa posso trovare. Mi dai l’indirizzo dell’indiziato?»

Francesca diede al padre l’indirizzo del deposito e anche quello di April.

«Chi è?» le chiese Jonah.

«Mio padre» sussurrò lei mentre Walt annotava i dati che lei gli aveva dato.

«Come sta?» le domandò Jonah in tono forzatamente disinvolto.

«Bene.»

«Con chi stai parlando?» le chiese suo padre.

«Con il consulente.»

«Come, non ho più un nome?» intervenne Jonah.

«Chiamami se scopri qualcosa» disse Francesca in fretta. Dopo aver ringraziato il padre lo salutò e chiuse la comunicazione, poi mise il cellulare in borsa. «Volevi veramente che gli dicessi chi sei?» domandò infine a Jonah.

«Credevo che avessimo messo da parte il passato.»

«Io e te sì, ma non credo che mio padre sarebbe d’accordo» puntualizzò Francesca.

«Serba ancora del rancore nei miei confronti?»

«Tu che dici?»

Lui si accigliò. «Dovevi proprio dire tutto ai tuoi?» brontolò.

Il suo commento la irritò profondamente. «Ehi, non comportarti come se fossi stata io sleale nei tuoi confronti, quando è stato il contrario!» protestò.

Jonah là fissò intensamente. Dai suoi occhi traspariva tutto il suo turbamento.

«Non ti è mai capitato di commettere un errore imperdonabile?» sbottò. «Non hai mai fatto qualcosa di cui ti sei pentita amaramente?»

La sua espressione combattuta le provocò una stretta al cuore. Francesca avrebbe voluto perdonarlo, ma se avesse messo una pietra sopra il passato le conseguenze sarebbero state tragiche. Si sarebbe innamorata di nuovo di lui, e questo non poteva permetterlo.

Perché esporsi volontariamente ad altre delusioni e sofferenze?

Cercando di tenere in piedi la barriera che aveva eretto tra loro, aggrappandosi al proprio risentimento, lo fissò severa.

«Sì, ma non ho mai fatto niente che avesse come risultato una gravidanza indesiderata» dichiarò.

Lui abbassò lo sguardo per qualche secondo, vergognandosi. «Grazie per avermelo ricordato.»

Francesca si passò una mano sulla fronte. Quella situazione era sempre più difficile da gestire, anche perché si sentiva assurdamente in dovere di dargli una spiegazione.

«Ho detto tutto ai miei perché...» S’interruppe per riflettere. Qual era il vero motivo? Non aveva potuto tacere l’accaduto perché aveva bisogno di loro, dopo aver perso allo stesso tempo il fidanzato e la sua migliore amica. Inoltre, dopo aver deciso di ricucire il suo rapporto con Adriana, era stata costretta a condividere la sua gravidanza e a vederla dare alla luce la figlia dell’uomo che amava. I suoi genitori le erano stati accanto, l’avevano aiutata a conservare il proprio equilibrio e a rimettersi in piedi dopo che tutto il suo mondo era crollato. «Perché pensavo che non ci saremmo più rivisti» riprese. «Non mi aspettavo di ritrovarti ora.»

«Hai fatto bene a dire tutto ai tuoi» ammise Jonah. «Me lo meritavo.»

A Francesca parve sincero. In effetti era stata tutta colpa sua. Se le fosse stato fedele, non avrebbe avuto nulla di cui lamentarsi. Allora perché aveva la sensazione di essere stata lei a fargli un torto?

Jonah le voltò le spalle e si avviò verso l’auto di Francesca parcheggiata davanti al locale.

«Guidi tu o guido io?»

Gli fu grata per aver lasciato cadere il discorso. Il loro rapporto era troppo ingarbugliato. Non poteva fermarsi a pensare a quello che provava per lui, non ne sarebbe comunque venuto fuori niente di buono. Non avrebbero mai potuto rimettersi insieme. Anche se avesse potuto perdonarlo non si sarebbe più fidata di lui. Jonah era un uomo affascinante, ancora più di dieci anni prima, e attirava le donne come il miele le mosche. Come poteva essere sicura che un giorno non avrebbe ceduto alla tentazione di tradirla, come aveva fatto con Adriana?

«Dove andiamo?»

«A parlare con i familiari e gli amici di Bianca per capire come mai sia finita sepolta a Dead Mule Canyon e a scoprire se qualcuno ricorda il nome di Butch Vaughn.»

«Be’, potrebbe aver usato un nome falso» osservò Francesca.

«Abbiamo anche la sua descrizione. Qualcuno può averlo visto con Bianca.»

«Mi meraviglia che Hunsacker non ti abbia impedito di fare il nome di Vaughn.»

«Ho l’approvazione di Finch, e mi basta. Loro sono impegnati a controllare il ristorante messicano e a Finch fa comodo che noi seguiamo questa pista.»

«È lontana la casa di Bianca Andersen da qui?»

«Una ventina di minuti, ho controllato con il GPS sul cellulare.»

Francesca annui, pensosa. Non era vicinissimo al deposito di Vaughn, ma neanche troppo lontano.

«Guido io» dichiarò Francesca. Essere impegnata al volante forse sarebbe stato sufficiente per distrarla e per non fissare Jonah ricordando com’era fantastico quando erano insieme e innamorati.

 

L’uomo che aprì la porta aveva dei folti capelli neri e ricci, la barba incolta e un orecchino. Dalla sua tenuta e dalla chiazza di sudore che gli bagnava la maglietta, sembrava che l’avessero interrotto mentre sollevava pesi. Alle sue spalle si vedeva una panca, con un manubrio.

«Terranee Andersen?» esordì Jonah.

«Sì?»

«Siamo...»

«Della polizia, si vede» lo interruppe lui. «Ho fatto qualcosa?»

Jonah non si curò di precisare che erano investigatori privati, «Siamo qui per sua moglie.»

L’uomo trasalì.

«Dov’è? Perché non mi ha mai chiamato?»

«Perché non poteva» intervenne Francesca in tono dolce. «È stata assassinata più di un anno fa.»

«Il suo corpo è stato trovato a Dead Mule Canyon il mese scorso. Abbiamo impiegato tutto questo tempo per identificarlo» aggiunse Jonah.

L’uomo si passò una mano fra i capelli. «E io che credevo che mi avesse lasciato...»

«Perché?»

«Avevamo litigato, lei aveva fatto i bagagli ed era uscita di casa. Da allora non ho più avuto sue notizie. Pensavo che non volesse chiamarmi, ma non che non potesse farlo.»

«Quando è stata l’ultima volta che l’ha vista?» gli chiese Jonah.

«Più di un anno fa. Un anno e due mesi fa, per la precisione. Da allora non è più andata neanche al lavoro, ma credevo fosse perché si era trasferita.»

«Posso chiederle perché avevate litigato?» intervenne Francesca.

L’uomo sospirò. «Lei voleva che lasciassimo entrambi il lavoro e ce ne andassimo a vedere il mondo. Era un nostro sogno di cui parlavamo spesso all’inizio della nostra relazione, ma io lo consideravo solo un sogno appunto. Le chiesi come avremmo fatto a mantenerci e lei mi rispose che avremmo potuto fare lavoretti saltuari nei posti che visitavamo. Insistette dicendo che, se non fossimo andati via finché eravamo ancora giovani, ci saremmo dovuti rassegnare a una vita banale come tutti. Sapendo che non c’è più, penso che se avessi avuto il fegato di darle ascolto a quest’ora sarebbe ancora viva.» Scosse la testa e s’interruppe, sopraffatto dall’emozione, poi riprese: «Mi sono pentito mille volte di quello che le ho detto durante il nostro litigio e ho pregato ogni giorno che tornasse. Controllavo la segreteria telefonica in continuazione e ho sempre sperato che Bianca tornasse. Poi con il tempo le mie speranze di rivederla si sono affievolite e ho pensato che avesse trovato qualcun altro».

Francesca lo vide vacillare e lo invitò a sedersi. Terranee annuì e, lasciando la porta aperta, si diresse barcollando verso il divano, si sedette e rimase per qualche secondo a fissare il vuoto.

Oltre alla panca con i pesi, nella stanza c’erano un divano, una poltrona e una parete attrezzata con il televisore e scaffali pieni di libri.

«Come si sente?» gli chiese Francesca, premurosa.

L’uomo scosse la testa, con gli occhi pieni di lacrime. «Non so, la sua morte mi sembra così... irreale. L’unica cosa che mi consola è pensare che forse sarebbe tornata da me se avesse potuto. Però è terribile sapere che è stata uccisa e io non ho potuto proteggerla. In fondo è come se avessi causato io la sua morte, per quella stupida lite. Non sarebbe andata via di casa...» L’uomo guardò Jonah con occhi carichi di rabbia. «Chi è stato? E perché?»

«Stiamo cercando di scoprirlo» disse Jonah.

«Non lo sapete ancora?»

«No.» Francesca sentì squillare il cellulare, si scusò e tolse la suoneria. Prima di rimetterlo in borsa controllò il display e vide che era Adriana.

L’avrebbe chiamata più tardi, ora non poteva allontanarsi per parlare con lei.

«Speriamo che possa aiutarci a trovare il responsabile della morte di sua moglie» dichiarò Jonah.

«Ditemi, farei tutto il possibile, ma...»

«Ha mai sentito nominare un certo Butch Vaughn?»

«No, mai.»

«Sicuro?»

«Sì, Butch non è un nome molto comune, me ne sarei ricordato.»

Jonah descrisse Butch ma l’uomo scosse la testa.

«No, mi dispiace, non ho idea di chi sia.»

«E Dean Wheeler?» gli chiese Francesca.

Stava cominciando a scuotere la testa poi si bloccò, dubbioso. «Mi sembra familiare...»

«Ha idea di dove e come l’ha sentito?»

«No, ma forse era uno dei pazienti di Bianca.»

«Sua moglie era un medico?»

«No, infermiera in una clinica psichiatrica, la Laurei Oaks. Quando tornava a casa mi raccontava sempre dei pazienti ricoverati lì.»

«E cosa le diceva?»

«Con alcuni aveva un buon rapporto... certi erano proprio affezionati a lei. Di altri invece aveva paura.»

Francesca si chiese se Dean fosse stato ricoverato in quella clinica e, in tal caso, se fosse stato uno dei pazienti che Bianca temeva. L’assassino poteva essere Dean, ma questo significava che la mente le aveva giocato un brutto scherzo quando aveva creduto di vedere Vaughn davanti alla sua casa, seduto sulla sdraio a bordo piscina.

«Controlleremo» lo rassicurò Jonah. «Sarà semplice verificare se Dean Wheeler è stato ricoverato alla clinica. Che auto aveva sua moglie?»

«Una Prius Toyota grigio antracite.»

Francesca si guardò intorno e vide una foto sulla libreria. Si avvicinò e la indicò. «Posso?»

«Certo.»

La prese e guardò la donna ritratta nella foto, una bella bruna dagli occhi scuri, leggermente sovrappeso. «È Bianca?»

«Sì» sospirò Terranee.

«Ha recuperato la sua auto?» gli domandò Jonah.

«No, altrimenti avrei capito subito che le era successo qualcosa. Non avrebbe mai lasciato la sua macchina. Era nuova.»

«Dopo un anno la polizia l’avrebbe trovata se fosse stata abbandonata» commentò Francesca. «Dove può essere finita?»

Ma mentre formulava quella domanda, le venne in mente la risposta: al deposito di Butch Vaughn.