27

Francesca non tentò neanche di muoversi per mettersi in salvo. E dove avrebbe potuto nascondersi? La porta era chiusa a chiave. Certo, avrebbe potuto girare la chiave nella serratura ma avrebbe impiegato un paio di secondi. Non sarebbe stata la stessa cosa se avesse potuto precipitarsi fuori dalla porta aperta e fuggire.

«Ciao, Dean, cosa ci fai qui?» sussurrò, atterrita, quando la sagoma si avvicinò rivelandole il volto dell’intruso. Anche se aveva chiuso la porta, dalla finestra proveniva la luce del lampione sulla strada che era sufficiente per distinguere l’identità del suo persecutore.

Lui la fissò con aria frustrata e scontenta. «Non avrei voluto, ma dovevo venire per forza.»

Francesca pensò di uscire dalla portafinestra ma aveva messo il fermo alla vetrata scorrevole e non avrebbe fatto in tempo ad aprirla e a scappare.

«Ti ha mandato qualcuno?» gli chiese.

Forse Dean faceva il lavoro sporco per ordine del cognato.

Dean scosse la testa, sconsolato. «No, non capisci. Ho combinato un disastro. È stata tutta colpa mia.»

Francesca si avvicinò impercettibilmente al letto per cercare di recuperare lo spray al peperoncino, muovendosi con estrema circospezione. Però non era facile nella penombra. La bomboletta era minuscola, avrebbe dovuto cercarla a tentoni. Avrebbe potuto farcela se si fosse mossa in fretta. «A cosa ti riferisci?»

«Agli slip. Sono stato io a nasconderli nell’auto di Butch.»

Francesca cercò di allontanarsi dal lato opposto del letto rispetto a Dean. «Quali slip?»

«Quelli che hai preso tu. Devi ridarmeli. Se collabori, sarà molto meglio per te.»

«E se non li avessi?»

«Devi averli per forza. Al deposito non ci sono.»

«E anche se fosse? Che t’importa di un paio di mutandine che ho raccolto nel piazzale?» lo provocò Francesca per prendere tempo.

Notò che Dean aveva qualcosa in mano. Per fortuna non era una mazza da baseball per fracassarle il cranio. Le sembrava piuttosto un pezzo di corda.

«Non fingerti stupida. Insulti la mia intelligenza.»

Francesca cercò di cambiare tattica mentre lottava con gli effetti del sonnifero che minacciava di ottenebrarle il cervello. «Allora sei stato tu» commentò.

«A fare cosa?»

«A picchiare a morte tutte quelle donne.»

Dean fece una smorfia. «No, assolutamente no. È stato Butch.»

Francesca non ne era più tanto sicura. Era possibile che Dean l’avesse seguito la sera in cui si era incontrato con April al bar e poi l’avesse uccisa per tentare d’incastrare il cognato. Se Dean era davvero un sociopatico che aveva assassinato sette donne in cinque anni, cosa contava una in più o in meno? Tra i cognati non correva buon sangue. Far andare in prigione Butch sarebbe stato utile per toglierla di mezzo senza esporsi. Magari era stato proprio Dean a lasciare a Dead Mule Canyon il biglietto da visita del bar in cui Butch era stato visto con April.

L’unico problema di quel ragionamento era che Dean aveva ammesso di aver messo gli slip nell’auto di Butch. Se voleva che fossero trovati e usati come prova, perché ora era venuto da lei sperando di recuperarli? Aveva cambiato idea? Forse temeva di essere scoperto e sospettato?

«E tu come lo sai?» gli chiese.

«Chi altri può essere? E poi si vede...»

Dean cominciò a fare il giro del letto e Francese vi salì sopra in piedi per saltare dall’altro lato, ma lui si fermò per restare tra lei e la porta ed evitare che riuscisse ad aprire e a uscire dalla stanza.

«Da cosa?»

«Butch ha gli occhi senz’anima e il cuore gelido» sentenziò Dean.

Francesca inclinò il busto da un lato nella speranza d’individuare lo spray. Non ricordava dove fosse esattamente. L’aveva posato sul letto mentre parlava al telefono con Finch, ma non rammentava il punto esatto, un po’ per colpa del sedativo ma anche perché ora era spaventata.

«Non credo che tua sorella la pensi come te» osservò per prendere tempo facendolo parlare.

«Paris è accecata dall’amore. E poi lei non ha visto quello che ha fatto, io sì.»

Si riferiva all’omicidio di April Bonner? Però non era convinta che Dean dicesse la verità. Non si fidava di lui dopo che suo padre le aveva riferito la storia di Sherrilyn Gators. Forse Dean attribuiva a Butch i suoi delitti per incastrarlo.

«L’hai visto uccidere qualcuno?»

«Ho visto il cadavere.»

«Di chi? Di Julia... o di Sherrilyn?»

Dean sussultò come se lei gli avesse sparato. «E tu che ne sai?»

«Ho fatto delle ricerche. Sono morte, no? Le hai uccise tu» azzardò.

«No!» Dean scosse la testa, indignato. «Sherrilyn non è morta, è solo scomparsa. La cerco da anni e prima o poi la troverò.»

Aveva assunto un tono quasi infantile e Francesca si chiese se fosse in preda a un attacco psicotico. Sarebbe stato meglio o peggio? Avrebbe perso la lucidità permettendole di scappare oppure sarebbe diventato più pericoloso e incontrollabile?

«E le altre?»

«Io... io non capisco... Quali altre? Non c’è nessun’altra!»

«Chi è Julia?»

«Perché dovrei dirtelo? Non mi fido di te. Ho cercato di essere gentile, di esserti amico, ma tu...» S’interruppe e scosse la testa come per schiarirsi le idee, poi raddrizzò le spalle. «Devo pensare a mia madre. Dove sono gli slip?»

E adesso che cosa c’entrava Elaine Wheeler?, si chiese Francesca.

Restando in piedi, si avvicinò alla spalliera del letto per tenersi il più lontana possibile da lui. «Li ho mandati a un laboratorio per farli analizzare, per cui ti conviene tornare a casa ed evitare di metterti ancora più nei guai. Se la polizia troverà il tuo DNA su quegli slip, ti metterà in prigione.»

«Perché? Io non ho fatto niente, non ho ucciso «nessuno!» protestò. «E non voglio uccidere neanche te. È Butch l’assassino.»

Francesca avrebbe voluto credergli, ma in quel momento in camera sua c’era lui, non Butch. E poi perché Dean aveva una corda in mano se non voleva farle del male?

«Allora perché lo aiuti?»

«Te l’ho detto, non ho scelta.»

«Si ha sempre un’alternativa.»

«Stavolta no.»

Dean si slanciò in avanti e Francesca si buttò in ginocchio sul letto poi infilò le mani sotto la coperta. Incredula, sentì la bomboletta spray contro le dita. Che fortuna! Dean incombeva su di lei per farla stendere, premendo su di lei con tutto il corpo senza rendersi conto che era armata.

Sapendo che lo spray le sarebbe ricaduto addosso Francesca strizzò forte le palpebre e girò la faccia mentre mirava al viso di Dean e spruzzava. Non lo centrò con precisione perché lui si stava muovendo ma l’aveva colto di sorpresa. Quando inspirò, Dean inghiottì lo spray e tossì. Poi urlò agitando le mani e la colpì a caso alla testa e al volto.

Anche Francesca tossì e la bomboletta le sfuggì di mano.

La sostanza che aveva spruzzato le bruciò gli occhi e le annebbiò la vista, ma lei conosceva meglio di Dean l’ambiente in cui si trovava.

Ignorando il dolore al braccio per il morso del cane afferrò la testa di Dean e la sbatté contro la spalliera con tutta la sua forza, poi si liberò.

Dean imprecò e l’avvertì che era morta mentre annaspava, accecato, cercandola a tentoni.

Francesca, intanto, era riuscita ad aprire la porta. Si precipitò in corridoio barcollando, con le mani tese per evitare di urtare contro le pareti. Uscì di casa e corse da Josephine.

La vicina la fece entrare immediatamente e chiamò la polizia, ma nel momento in cui arrivò l’autopattuglia Dean era già scomparso.

 

Jonah si svegliò di soprassalto, con un brutto presentimento. Impiegò qualche secondo a capire cosa l’avesse strappato da un sogno confuso, quasi un incubo, che vedeva protagoniste Francesca e Adriana... e la piccola Summer.

Qualcuno stava suonando insistentemente alla sua porta.

Si alzò di scatto, s’infilò i pantaloni della tuta da ginnastica e corse ad aprire.

«Arrivo, arrivo!»

Sulla soglia c’era Nate Ferrentino, anche lui in tuta scarmigliato, e con l’aria di essere stato svegliato all’improvviso come lui.

«Che succede? Rachel sta per partorire?» gli chiese Jonah. Forse aveva bisogno di lui per badare a Dylan mentre lui andava in ospedale ad assistere la moglie.

«Perché hai spento il telefono?» sbottò l’amico di rimando.

«Perché volevo dormire senza essere disturbato.» «Dovresti farti allacciare un telefono fisso a casa» borbottò Nate scuotendo la testa.

«Ma si può sapere cos’è successo?»

«Mi ha chiamato il centralino notturno. Hanno detto che qualcuno sta cercando di contattarti dall’Arizona. È un’emergenza.»

Jonah fu sommerso da un’ondata di panico. «Ti hanno detto perché?»

«No, devi richiamare subito questo numero» gli rispose Nate prima di salutarlo e andarsene, evidentemente ansioso di tornare a letto.

Jonah riconobbe il numero perché l’aveva composto prima d’imbarcarsi sull’aereo per tornare a Los Angeles, dopo aver parlato con la dottoressa Price per avvisarla che era stato sollevato dall’incarico.

Non si sentiva sicuro al cento per cento a lasciare Francesca senza protezione, perciò aveva telefonato a un vigilante di sua conoscenza, Ray Leedy.

Chiudendo la porta, si voltò a guardare l’orologio a parete.

Erano le quattro.

Andò ad accendere il cellulare e telefonò a Ray che rispose subito.

«Pronto?»

«Ray, sono Jonah. Che succede?»

«Ehi, Jonah, ma che fine avevi fatto! È da mezzanotte che tento di parlare con te.»

Jonah non si aspettava che Francesca avesse dei problemi. Sperava che Finch e Hunsacker avrebbero tenuto d’occhio Butch e aveva chiesto anche a Ray di sorvegliare Butch per precauzione.

«Scusami, non avrei dovuto spegnere il cellulare Dimmi tutto.»

«Il tuo uomo si è dato parecchio da fare stanotte amico.»

«In che senso?»

«Non so esattamente cosa stesse facendo, ma l’ho visto tornare a casa e poi andare nel deposito, dove ha caricato un grosso sacco di plastica nera sul suo pickup.»

«E poi?»

«È andato via.»

«Che ora era?»

«Circa mezzanotte. E allora che ti ho chiamato la prima volta, per saper cosa volevi che facessi.»

«Spero che tu l’abbia seguito.»

«E così ho fatto. Mi avevi detto che non avrei dovuto mai perderlo di vista. Però non è andato a Chandler come temevi» aggiunse.

«E dov’è andato?»

«Si è diretto verso le montagne Juniper, a ovest.»

«Per fare cosa?»

«Non ne sono sicuro, non potevo avvicinarmi troppo per non farmi scoprire e con tutti quegli alberi a un certo punto l’ho perso. Deve aver imboccato qualche sentiero. Scusami.»

«Però ti ricordi all’incirca la zona? Sapresti tornarci?» gli chiese.

«Sì, sì.»

«Bene. Un indiziato di diversi omicidi che porta un grosso sacco nero in montagna in piena notte mi sembra come minimo sospetto...»

«Non è un’idea rassicurante, considerato che sono a venti metri da casa sua» disse Ray con una risata nervosa.

«E lui dov’è ora?»

«È rientrato da poco. In casa ci sono tutte le luci spente. Penso che sia andato a dormire.»

«Ti ha visto?»

«No, mi sono tenuto a debita distanza ed è per questo che non so cos’abbia fatto del sacco nero. So soltanto che non c’è più nel cassone del pickup. Ho controllato.»

Evidentemente l’aveva buttato o seppellito in montagna. Jonah temeva che non sarebbero riusciti a trovarlo, ma valeva la pena tentare.

«C’è la polizia a sorvegliare la casa?»

«No, ci sono solo io.»

Jonah sospirò. Come sospettava, Hunsacker non aveva ritenuto necessario pattugliare la zona o lasciare un agente appostato a controllare i movimenti di Butch. Spendere qualcosa di tasca propria per assumere un addetto alla sicurezza era stata una buona idea, in fondo.

«E Dean dov’era?»

«Chi?»

«L’uomo mingherlino di cui ti avevo parlato, te ne ricordi?»

«Non l’ho visto.»

«A che ora sei arrivato al deposito?»

«Verso le dieci, come mi avevi chiesto.»

«Perfetto, grazie.»

«Vuoi che mi fermi fino all’alba?»

«Se puoi, trattieniti finché non arrivo. Prendo il primo volo. Ti pago gli straordinari, beninteso.»

«Grazie, amico, sei grande! Non preoccuparti.»

Jonah salutò Ray ma prima che potesse andare a prepararsi per uscire il cellulare squillò di nuovo.

«Pronto?»

«Jonah?» disse una voce femminile esitante.

Era Francesca. Jonah stava per dirle quello che aveva appena saputo ma lei non gliene diede modo.

«Non è Butch il colpevole, ma Dean!» esclamò. «Si è introdotto in casa mia e ha cercato di uccidermi. Per fortuna avevo lo spray al peperoncino...»

«Cosa?» gridò Jonah, sconvolto. «Stai bene?»

«Sì, sì, sono solo spaventata.»

Tranquillizzato sulle sue condizioni, Jonah pensò che quello che gli stava dicendo Francesca non aveva senso. Se l’assassino era Dean, perché Butch si era sbarazzato di quello che con tutta probabilità era un cadavere? Magari i due erano complici, ma per Jonah era una coppia improbabile.

C’era sotto dell’altro, glielo diceva l’istinto. Di cosa si trattasse, però, non ne aveva idea.

«Dove sei ora?» chiese a Francesca.

«Sto andando a Prescott. Ho chiamato Finch e l’ho avvertito del mio arrivo. Sta cercando di farsi dare un mandato di perquisizione.»

Jonah era incerto se informarla del sacco nero che Butch aveva trasportato tra i monti, ma decise di aspettare. Se veramente Dean rappresentava una minaccia per Francesca, voleva innanzitutto vederlo sotto custodia. Non era il momento di deviare le indagini in un’altra direzione. La polizia avrebbe perquisito il deposito in cerca di prove, e intanto lui si sarebbe occupato delle ricerche in montagna.

«Io sono sul punto di andare all’aeroporto» le disse. «Parto con il primo volo disponibile e ti chiamerò appena arrivo.»