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Adriana non pensava di rivedere Jonah. Dopo la sera in cui l’aveva portato a casa sua si erano parlati solo poche volte. La mattina seguente, quando si era svegliato nel suo letto, lui le aveva chiesto scusa, nonostante quello che c’era stato fra loro fosse successo più per colpa di Adriana. Da allora Jonah non si era più fatto sentire.

In altre circostanze la cosa sarebbe finita lì, ma poi Adriana aveva scoperto di essere incinta e l’aveva contattato per chiedergli di vedersi. Quando gli aveva annunciato la sua gravidanza, lui aveva reagito con calma e compostezza, evitando di farle capire quanto fosse stato sconvolto dall’annuncio.

Si era assunto subito ogni responsabilità e le aveva detto che avrebbe contribuito alle spese, qualsiasi cosa lei avesse deciso di fare. Adriana aveva capito che si aspettava che abortisse. Di certo non intendeva proporle di sposarlo e non l’amava. Andare a letto con lui non aveva cambiato niente, aspettare un figlio da lui neanche. Lui amava solo Francesca e lei non avrebbe mai potuto cancellarla dal suo cuore.

Per Adriana il rifiuto di Jonah era stato il momento più doloroso di tutta la sua vita. Non aveva cercato d’incastrarlo con la gravidanza; avevano usato precauzioni e ancora non si capacitava come fosse potuto succedere. Però non poteva negare che, quando si era accorta di essere incinta, aveva sperato che un figlio potesse legare Jonah a lei. Lo desiderava così tanto da mettere a repentaglio la sua amicizia con Francesca e sarebbe stata pronta ad accoglierlo di nuovo nel suo letto se lui si fosse dimostrato minimamente ricettivo.

Questa consapevolezza la faceva sentire una persona orribile. Quale donna pugnalava alle spalle la propria migliore amica per rubarle l’uomo? Oltretutto Jonah era visibilmente turbato perché si sentiva in colpa per quello che avevano fatto.

Adriana sapeva che tra loro non sarebbe successo niente se non si fosse convinta che gli approcci di Jonah fossero dovuti a un sincero interesse e non all’ubriachezza. Quando Francesca l’aveva perdonata, lei si era sentita sollevata e piena di gratitudine.

Erano riuscite in qualche modo a mettere una pietra sopra il passato e a voltare pagina.

Adriana era sicura che fosse tutto finito, finalmente, invece, ora, Jonah era tornato. Non solo l’aveva visto da Francesca quella mattina, ma le aveva anche telefonato!

«Come hai avuto il mio numero di casa?» bisbigliò nervosa, lanciando occhiate ansiose in direzione del soggiorno dove i figli stavano guardando la televisione.

«L’ho cercato sull’elenco. Ho visto il nome di tuo marito su una foto a casa di Francesca» le spiegò lui.

«Perché mi hai chiamato?»

«Mi dispiace, so che non avrei dovuto telefonarti e ti assicuro che non l’avrei fatto, ma è un’emergenza. Sto cercando Francesca.»

Adriana si sentì invadere dall’amarezza. Ma certo, pensò. Altrimenti perché l’avrebbe contattata? Se dieci anni prima non fosse stata tanto infatuata ed egoista, avrebbe capito che per Jonah lei non contava niente, che Francesca era tutto per lui... e si sarebbe risparmiata un sacco di guai.

«Non è qui» rispose secca.

«Le hai parlato oggi?»

«No.»

Sentendo il rumore di un motore che si avvicinava, Adriana sbirciò dalla finestra e vide che il marito era appena tornato a casa dall’ambulatorio. Sperò che si fermasse a salutare i bambini prima di cercarla, e corse al piano di sopra chiudendosi in camera. Stan sapeva della sua avventura con Jonah, della gravidanza e della bambina data in adozione. Lei gli aveva raccontato tutto quando erano fidanzati, ma era sicura che Stan fosse convinto che Jonah ormai appartenesse al passato.

Anche lei, fino a quando non se l’era trovato davanti, era certa che rivederlo non le avrebbe fatto alcun effetto.

Invece...

«Posso darti il mio numero e chiederti di dirle di chiamarmi se Francesca dovesse mettersi in contatto con te?»

Tutto qui?, pensò Adriana. Avevano concepito una figlia e lui non aveva da dirle altro? Non le aveva chiesto del marito, dei bambini, di come stava... Solo di dare il suo numero a Francesca.

Adriana chiuse gli occhi. «Certo» acconsentì. Non poteva rifiutarsi di farlo senza che Jonah si accorgesse di cosa provava nel profondo del cuore. Era soddisfatta della sua vita così com’era, ma Jonah le ricordava i suoi sogni di ragazza e il desiderio ardente che aveva provato solo con lui.

«Grazie. Hai una penna?»

«Sì.» Adriana annotò il suo numero sul blocchetto che il marito teneva sul comodino per le chiamate d’emergenza di notte. Strappato il foglietto, se lo mise in tasca. «Come mai sei tornato?» chiese infine a Jonah, incapace di trattenersi.

Lui capì che cosa gli stava chiedendo veramente: per quale ragione l’aveva trovato a casa di Francesca. «Non so, forse il prezzo che abbiamo pagato non era abbastanza alto» dichiarò con amarezza, prima di chiudere la comunicazione.

Adriana emise un sospiro e in quell’istante senti la voce del marito sulle scale. «Dove sei, tesoro?»

 

«Ho messo gli asciugamani puliti in bagno» l’avvertì Heather.

Francesca, che era concentrata sul suo portatile, alzò lo sguardo e sorrise alla segretaria. Altissima e magrissima, Heather aveva la carnagione chiara e i capelli scuri con dei colpi di sole fatti in casa.

«Grazie» le disse. «Ti sono veramente grata per il tuo aiuto.»

«Di niente, fai come se fossi a casa tua» replicò Heather. «Serve altro?»

«No, va benissimo così» mentì Francesca.

Nonostante si sforzasse di assumere un tono entusiasta, si sentiva fuori posto e a disagio. Non avrebbe mai immaginato di essere costretta a passare la notte a casa della sua segretaria ventiduenne.

Tanto per cominciare, Heather viveva in un appartamentino senza una camera per gli ospiti. Inoltre, con un bambino di tre anni e senza marito, aveva già abbastanza da fare e Francesca detestava darle fastidio.

Però non aveva la forza di tornare a casa e passare un’altra notte da incubo. Non si sentiva più al sicuro in casa sua; in più era esausta e aveva bisogno di dormire senza doversi preoccupare che Butch le facesse un’altra visitina per terrorizzarla. Aveva richiesto in banca una nuova carta di credito e un bancomat ma avrebbe dovuto aspettare qualche giorno perché avrebbe ricevuto le carte e i PIN tramite la posta.

Poi era andata all’Apple store a comprarsi un altro iPhone con i contanti che aveva prelevato in banca.

Sarebbe potuta andare da Adriana ma per il momento non aveva la forza di affrontare la complessità del loro rapporto.

Era già abbastanza difficile cercare di analizzare i sentimenti che l’arrivo di Jonah aveva fatto riaffiorare.

La casella della posta in arrivo era piena di messaggi e Francesca fu tentata di aprirli per distrarsi pensando al lavoro, dimenticandosi che era a casa altrui. Si era sistemata sul tavolo della cucina con il computer mentre Heather riordinava i giocattoli del figlio sparsi sul pavimento e la vecchia lavastoviglie faceva un rumore infernale. Anche se la prospettiva di dormire sul divano pieno di bozze non l’allettava, Francesca era grata a Heather per aver acconsentito di buon grado a ospitarla, nonostante la sua situazione familiare fosse tutt’altro che facile.

Non era semplice conciliare il lavoro con le esigenze di un bimbo di tre anni, sapendo di non poter contare in alcun modo sull’aiuto del padre, che era in prigione per rapina a mano armata. Alberto, il compagno di Heather, ne aveva per altri due anni ma lei era fermamente decisa ad aspettarlo perché le aveva promesso che l’avrebbe sposata non appena fosse uscito di galera. Per Francesca era un’eternità, ma Heather non si lamentava mai. Aveva avuto un’infanzia difficile e non si aspettava molto dalla vita.

Anche se erano solo le nove e un quarto, Heather le disse che sarebbe andata a letto. Francesca aveva intenzione di seguire il suo esempio; era così stanca che le sembrava mezzanotte. Però prima voleva scaricare sul nuovo cellulare tutti i dati del vecchio iPhone che aveva salvato sul computer. Mentre sincronizzava il telefono con la rubrica, Heather le consegnò i messaggi che aveva ricevuto quel pomeriggio in ufficio. Li aveva portati a casa per darglieli. La informò anche che qualcuno aveva detto di averle lasciato un messaggio sulla casella di posta vocale del cellulare e di aver chiamato in ufficio perché Francesca non aveva ritelefonato.

Lei ringraziò la segretaria, le augurò la buonanotte, poi si mise a spulciare il mucchietto di foglietti gialli.

La prima ad averla chiamata era Jill Abbatiello. April era scomparsa da poco tempo ma lei e la sorella di April si sentivano tutti i giorni perché Francesca voleva aggiornarla sul lavoro fatto.

Jill doveva essersi allarmata per il suo silenzio, ma Francesca non aveva voluto telefonarle prima di sapere se il cadavere trovato a Skull Valley era veramente quello di April. D’altra parte si rendeva anche conto che non avere notizie era un’agonia per la famiglia di April.

Alla fine, seppure combattuta, rimandò alla mattina seguente la doverosa telefonata a Jill. Sul foglietto successivo c’era il nome di Finch e altri due messaggi erano di Jonah, che voleva essere richiamato al più presto, come l’ispettore.

Forse avevano scoperto l’identità del cadavere?

Francesca lasciò perdere gli altri messaggi e chiamò Jonah, perché temeva di essere trattata con freddezza da Finch che non l’aveva ancora perdonata per l’imbarazzo che gli aveva causato al deposito.

«Pronto?»

La voce di Jonah le provocò un tuffo al cuore che la indusse a maledirsi per la propria debolezza. Non poté fare a meno di ricordare le ore che passavano al telefono quando stavano insieme, e quanto la emozionasse il suo tono caldo e avvolgente. «Sono io.»

«Era ora che mi chiamassi!» esclamò lui. «Mi hai fatto preoccupare, lo sai? Non puoi scomparire dalla faccia della terra senza aspettarti che io tema il peggio.»

Francesca si coprì gli occhi con una mano. «Scusa, ho avuto tante cose da fare per rimediare ai danni del furto della borsa e non ho pensato che forse avrei dovuto farmi sentire.»

«Dopo stamattina? Sei una scriteriata!» la rimproverò lui.

«Ti chiedo scusa, comunque stai tranquillo, sto bene» lo rassicurò.

«Dove sei? Chi ti ospita?»

Francesca esitò. Era riluttante a dirgli che non era da Adriana. Lui avrebbe potuto chiedersi perché avesse preferito chiedere aiuto alla segretaria invece di rifugiarsi dalla sua migliore amica, e Francesca non voleva che capisse di avere ancora il potere di dividerle dopo tanti anni.

«Come fai a sapere che non sono a casa?»

«Perché a casa tua ci sono io.»

«Per quale motivo?» s’inalberò lei.

«Dato che ti eri volatilizzata, ho pensato che prima o poi saresti tornata a casa.»

«Ma... ho fatto cambiare la serratura. Come sei entrato?» gli domandò.

«Non sono entrato» rispose Jonah soffocando a stento uno sbadiglio. «Mi sono seduto sotto il portico e mi sono addormentato mentre ti aspettavo.»

«Sei pazzo?» esclamò lei.

«Perché?»

«Perché se Vaughn dovesse venire a casa mia, non credo che ti riserverebbe un trattamento migliore di quello che ha in mente per me. Potrebbe decidere di fracassarti il cranio con una mazza da baseball mentre sonnecchi in veranda.» .

«Non mi sono addormentato di proposito, ero stanco» si difese lui.

«Non importa, vai via subito.»

«Stai tranquilla, sono armato.»

Francesca sbuffò. «Comunque, perché mi avevi chiamato? Novità sul cadavere?»

«Il patologo ha finito l’autopsia due ore fa.»

«Cos’ha scoperto?»

«Che la vittima è stata violentata.»

«Nient’altro?»

«Ha un piccolo tatuaggio all’interno della coscia destra. Una farfalla.»

«Chiamo subito la sorella per controllare» gli disse in fretta. Lo salutò e telefonò a Jill, piena di speranza. Non immaginava un’irreprensibile maestrina che si faceva tatuare in un punto tanto intimo. Forse il cadavere non era di April Ma quando chiamò Jill, furono confermati i suoi peggiori timori. April aveva quel tatuaggio.

L’avevano trovata.

Francesca spiegò a Jill la situazione con la massima delicatezza possibile. Con il cuore stretto dall’angoscia per il dolore della sorella di April, le promise che avrebbe fatto tutto ciò che poteva per assicurare alla giustizia il colpevole.

Poi richiamò Jonah e lo informò che April e Jill si erano tatuate la farfalla in occasione del trentesimo compleanno di April.

«Finch sta facendo controllare le impronte dentali, ma ormai è sicuro che si tratta di lei» sospirò.

«Questo significa che l’ha uccisa Butch Vaughn.»

«Non ne abbiamo le prove» le ricordò Jonah.

«Invece sì. L’aveva già liquidata e seppellita. Non l’avrebbe lasciata a Skull Valley se non fosse stato per me. Riesumarne la salma per farla trovare dalla polizia è stato un modo per provocarmi e spaventarmi. Vuole farmi sentire impotente.»

«Spero che ti sbagli.»

«Invece no, ne sono sicura. Vaughn è fiero del suo operato, come ha detto Finch. Vuole dimostrare la sua superiorità, la sua invulnerabilità. L’ha fatto solo con April, per darmi una lezione perché io la stavo cercando nel deposito. Le altre vittime le ha lasciate a Dead Mule Canyon.»

«Non sappiamo se si tratti dello stesso assassino» obiettò Jonah.

«Vuoi dirmi che secondo te ci sono due maniaci che uccidono le donne in una zona così poco popolata? No, Butch ha disseppellito April solo per farmi vedere cosa mi aspetta.»

«Non dirlo neanche. Comunque ho convinto Finch che dobbiamo far sorvegliare Vaughn. Spero che già stasera ci sia una pattuglia a tenerlo d’occhio.»

Quella notizia diede un minimo di sollievo a Francesca. Se davvero Butch era sotto sorveglianza, il giorno dopo lei sarebbe potuta tornare a casa. Ma la polizia non poteva pedinarlo all’infinito e se Butch non avesse fatto niente di sospetto per giorni, o anche settimane, li avrebbe stancati e avrebbe potuto attendere il momento più opportuno per vendicarsi di lei.

Non voleva pensarci. Ringraziò Jonah e gli augurò la buonanotte.

«Ci sentiamo domani. Chiamami se ci sono novità» le disse lui.

«Anche tu. Buonanotte.»

Appena ebbe chiuso la comunicazione, Francesca fece un respiro profondo, cercando di rilassarsi, ma prima di mettere via il cellulare ricevette un’altra chiamata.

Numero sconosciuto.