8
Anchorage, Alaska – mercoledì, ore 22.00
Emmett aveva cercato di ignorare quello che gli aveva detto Evelyn Talbot. Si era detto che non erano affari suoi. Se avesse fatto il suo lavoro sarebbe stato pagato e tutto quello che sarebbe successo dopo non lo riguardava. Si era attenuto a quel pensiero per ore. Aveva attutito le grida della donna ascoltando musica con gli auricolari e allenandosi. Poi era uscito a controllare i cani. Aveva anche fatto benzina e la spesa. Adesso era spaparanzato di fronte alla televisione.
Ma il ricordo della voce di lei continuava a tormentarlo: Lavori per un uomo che si chiama Lyman Bishop. Sai chi è? Hai sentito il suo nome al telegiornale? È uno psicopatico e un serial killer! Devi andare subito alla polizia!
Alla fine, incapace di scacciare quelle parole dalla mente, usò un motore di ricerca per cercare quel nome. Terry non gli aveva detto per chi lavoravano. Non che lo avesse tenuto segreto; semplicemente non gli aveva dato l’informazione, ed Emmett non gliel’aveva chiesto. Preferiva sapere il meno possibile. Mantenere le cose su un piano impersonale impediva alla sua coscienza di farsi coinvolgere troppo.
Ma Evelyn aveva ragione…
Scorse i vari link.
Ricercatore oncologico dell’università del Minnesota arrestato per omicidio…
Genetista di drosofile incriminato…
Slip di otto vittime di omicidio ritrovati nell’attico del genetista Lyman Bishop…
Le autorità sostengono che il Fabbricante di Zombi usava un punteruolo da ghiaccio per praticare lobotomie…
«Figlio di puttana!» mormorò. Di sicuro lui non stava lavorando per un uomo soprannominato il Fabbricante di Zombi.
Cercò di chiamare Terry, ma non rispondeva, così tornò ai link e lesse gli articoli. La maggior parte sosteneva che Bishop aveva perforato i cervelli delle vittime per renderle più docili. Se una vittima moriva durante o dopo la procedura, Bishop rapiva semplicemente qualcun’altra e riprovava, finché non ne sopravviveva una che poteva tenere come sua prigioniera. Da qui il soprannome.
Questa volta quando Emmett cercò di chiamare Terry, lasciò un messaggio vocale: «Meglio che mi richiami subito. Mi senti? Subito!».
Mentre aspettava, fece una ricerca su Google sulle lobotomie transorbitali. Sperava che sembrassero peggiori di quanto in realtà non fossero, ma non era così. Da quello che lesse, un neurologo americano, il dottor Walter Freeman, niente meno che un laureato a Yale, aveva cominciato a rimestare i lobi frontali dei suoi pazienti a fine anni Quaranta nel tentativo di curarli per varie patologie psicologiche. Credeva che un eccesso di emozioni provocasse malattie mentali e che recidendo certe connessioni nervose si potessero attenuare quelle emozioni.
Cominciava trapanando sei buchi nella nuca di un paziente. Poi ottimizzava il processo spingendo un regolare punteruolo da ghiaccio da cucina attraverso le orbite oculari, dove l’osso era molto meno spesso.
Emmett scosse la testa incredulo mentre leggeva il racconto di un sopravvissuto su come la matrigna l’avesse portato dal dottor Freeman per la lobotmia perché era “un cattivo bambino”.
«Che troia!» mormorò Emmett. Sperava che avesse avuto quello che si era meritata. Anche la matrigna di Emmett l’aveva colpito in faccia con una bottiglia di Jack Daniel’s quando aveva quattordici anni, cosa che gli era quasi costata un occhio. L’aveva sempre odiata. Ma a quel ragazzino era andata peggio. E, secondo un altro articolo, era solo uno dei migliaia che si era sottoposto alla procedura. La maggior parte erano più grandi, ma il dottor Freeman aveva eseguito oltre tremilacinquecento lobotomie con rompighiaccio durante la sua carriera, alcune anche di fronte a degli spettatori.
Lyman Bishop aveva usato un rompighiaccio allo stesso modo, ma non aveva dato spettacolo e non l’aveva fatto con l’intenzione di aiutare nessuno, tranne se stesso.
Emmett aveva frequentato tipi poco raccomandabili, soprattutto quand’era in prigione. Ma quello che aveva fatto Bishop era disumano.
O… era innocente?
Emmett indagò più a fondo e trovò altri link e articoli che suggerivano che Bishop forse non era il Fabbricante di Zombi. Era stato il detective che investigava sul caso a posizionare gli slip che avevano fatto condannare Lyman. Bishop era stato inviato a Hanover House ma era stato rilasciato poco tempo dopo. Un’enorme copertura mediatica aveva definito il suo internamento come una tragedia che non sarebbe mai dovuta accadere, soprattutto a un eminente scienziato oltre che illustre fautore del progresso medico come Bishop. Il loro punto di vista: un poliziotto fin troppo ambizioso aveva cercato di farsi un nome risolvendo quel caso di spicco.
Quando squillò il telefono, Emmett scattò in piedi, spaventato dal suono. Sullo schermo comparve il numero di suo cognato.
Rispose, cominciando a camminare su e giù per la stanza. «Eccoti qua!»
«Che succede, amico?» Terry aveva un tono diffidente.
«Ho bisogno di parlarti.»
«Devi calmarti! Ho appena perso il mio cazzo di lavoro, okay?»
Maledizione. Allora sarebbe andata a finire male con Bridget. «Cos’è successo, amico?»
«Non voglio parlarne. Lavoro per una puttana che ha cercato di farmi fuori fin da quando è arrivata. E adesso che ce l’ha fatta sono davvero contento che ci stiano per pagare. Il nostro tizio dovrebbe essere lì domani o dopodomani. Viene prima del previsto, quindi è quasi fatta.»
Terry parlava in fretta, bisbigliava, e sembrava agitato – certo, per un buon motivo – ma anche Emmett era agitato. «Lo sapevi che stiamo lavorando per un serial killer? Uno psicopatico che rovista nei cervelli delle vittime per controllarle?»
«No, no, no. Quella cazzata del Fabbricante di Zombi è falsa. Non ha fatto quelle cose.»
Era proprio quello che Emmett aveva sperato di sentire, ma non era affatto convinto. «Come fai a saperlo?»
«Perché ne ho parlato con lui. E ti ho detto perché vuole la dottoressa Talbot. Gli serve che firmi qualcosa così può riportarsi a casa la sorella ritardata. Secondo te a uno psicopatico interesserebbe la sorella? Chi vorrebbe un fardello come quello? È un santo, non uno psicopatico.»
Emmett sfregò l’accenno di barba con le nocche mentre pensava alla risposta di Terry. «Come fai a sapere che non vuole vendicarsi della dottoressa Talbot? Da quello che ho letto si era schierata contro il suo rilascio anche quando tutti gli altri erano lì pronti a chiedergli scusa e a baciargli il culo.»
«Magari crede che sia uno psicopatico, ma chi dice che ha ragione?»
«Il suo titolo di studio dice che dovrebbe saperne qualcosina!»
«Un titolo di studio non sempre vuol dire qualcosa… solo che ha passato un sacco di anni a studiare e che magari non le sono serviti a niente.»
«Comunque avresti dovuto parlarmi prima di tutto questo casino.»
«Ascolta, Emmett. Smettila di preoccuparti. Bishop non cerca vendetta… ce l’ha già avuta. Ha vinto. È un uomo libero.»
Emmett afferrò il telecomando e spense la televisione. Il rumore gli stava dando ai nervi. «Un articolo che ho letto diceva che ha cercato di uccidere Evelyn.»
«È falso» ribatté Terry. «Quello era Jasper Moore, il tizio che ha cercato di ucciderla in passato. Conosci la storia della Talbot, vero? Bishop si è trovato semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ecco tutto.»
Poteva essere vero? Di solito Emmett non credeva nelle coincidenze. Ma aveva visto le foto di Bishop che accompagnavano gli articoli. Quel tizio non sembrava pericoloso. Dal modo in cui si ritirava in se stesso come se non volesse essere visto, sembrava un cane che era stato preso a calci fin troppe volte e scappava via al primo segnale di scontro.
«Non so…» Andò al cucinino e aprì un sacchetto di patatine. «C’è qualcosa che mi puzza in questa storia.»
«Non c’entra quello che senti tu, amico. Ti servono i soldi e anche a me, specialmente adesso. Devo pagare i conti. Cos’altro dovrei fare?»
Emmett non aveva una buona risposta. Si trovava in una situazione simile.
«Comunque Bishop non è per niente pericoloso» continuò Terry. «Jasper Moore l’ha pestato a sangue la sera in cui si sono presentati entrambi dalla dottoressa Talbot. Da allora Bishop è rimasto sempre nell’ospedale dove lavoro. È così che l’ho conosciuto. Te lo ripeto, è stato Moore che ha cercato di uccidere Evelyn Talbot.»
Emmett inghiottì un boccone di patatine al gusto barbecue e si ritrasse per dare un’occhiata alla porta della cella frigorifera che lo separava dalla prigioniera. Poteva aprire quella porta e lasciar andare la psichiatra, sarebbe stato così facile.
Era tentato, ma Terry aveva ragione. Avevano bisogno entrambi di soldi. E poi mancava poco alla fine della faccenda!
Si mise in bocca un’altra patatina e parlò mentre masticava. «Se non la lascia andare dopo uno o due giorni, glielo faccio fare io.»
Silenzio. Ma dopo un momento Terry disse: «Hai in mente di fare il doppio gioco?»
«Non farò il doppio gioco. Gli farò mantenere la parola.»
«Immagino sia così. Okay. A me importa solo che mi paghi.»
«Mi sta portando i soldi, vero?»
«Il piano è questo. Non può prelevarli finché non esce di qui, e non può avvicinarsi a me in nessun modo dopo, non devono vederci insieme. Quindi li porta tutti a te.»
«Bene. Ti do la tua parte quando torno. Ma prima di andarmene da qui farò in modo che liberi la strizzacervelli incinta.»
«Non dovresti avere problemi. È un omuncolo strano, tipo Danny DeVito ma senza il suo carisma, e ha avuto un ictus per via di quel pestaggio di cui ti ho parlato, quindi è mezzo paralizzato sul lato sinistro. Puoi metterlo al tappeto quando vuoi.»
«Questo non mi ha mai preoccupato» disse Emmett, e riagganciò.
Anchorage, Alaska – mercoledì, ore 22.15
Dax O’Leary era poco più giovane del fratello. Aveva ancora tutti i capelli e non portava gli occhiali, ma sembrava emaciato. Amarok era quasi sicuro che fosse un drogato, cosa che spiegava il comportamento rancoroso della moglie e anche quello che gli aveva raccontato il fratello.
«Elroy mi ha detto che voleva parlarmi.» Uscì da una vecchia bifamiliare scalzo, con addosso una T-shirt dal colletto sfilacciato e un paio di jeans bucherellati. «Era ora che la polizia facesse qualcosa per ritrovare il mio furgone.»
Amarok sentiva la televisione che risuonava all’interno della casa, ed ebbe l’impressione che ci fossero altre persone, senza dubbio i coinquilini di Dax, ma si facevano gli affari loro, non sembravano interessati a quello che succedeva fuori dal portone. «Il suo veicolo non è stato rubato nella mia giurisdizione.»
«Che significa?»
Amarok guardò indietro verso il furgone e vide il cane che lo fissava fuori dal finestrino, come se non fosse per niente contento di essere stato lasciato lì. «Significa che sono qui perché credo che sia stato usato per commettere un altro crimine.»
Dax sembrò leggermente sorpreso. «Che tipo di crimine?»
«Un rapimento.»
«Sul serio? Non mi dica che è stata una delle ballerine!»
«Allo strip club dov’è andato ieri sera? No. Ha mai sentito parlare della dottoressa Evelyn Talbot?»
«No.» Dax sembrava del tutto sicuro della risposta, ma un secondo dopo assunse un’espressione incerta. «Aspetti, sì, il nome mi dice qualcosa. Gestisce quella prigione per psicopatici a Hilltop, vero?» Infilò le mani in tasca. «Ho pensato di fare domanda di lavoro lì, come guardia carceraria.»
Amarok decise di non menzionare il test antidroga al quale l’avrebbero sottoposto. «La dottoressa Talbot è stata rapita, e la persona che l’ha presa guidava il suo furgone.»
L’altro sbatté le palpebre diverse volte. «Wow, non sta scherzando?»
«No. Si ricorda qualcosa in particolare della sera in cui è stato rubato? Ha incontrato qualcuno di sospetto? Qualcuno che adocchiava il furgone dopo che l’aveva parcheggiato?»
Dax diede un’occhiata alla mano gonfia e dolorante di Amarok. «Nessuno. C’erano dei tizi vicino alla porta, che parlavano con il buttafuori. Ma non ci ho fatto caso. C’è sempre qualcuno che fuma lì fuori.»
«L’uomo che sto cercando ha una cicatrice sulla faccia, proprio qui.» Amarok indicò l’occhio. «Credo abbia avuto un incidente, magari un incidente d’auto, avrà sfondato il parabrezza.»
Il viso di Dax si illuminò. «Sì, ho visto quel tipo. Mi ricordo che mi sono chiesto se fosse cieco da quell’occhio.»
«Potrebbe essere.»
«A me sembrava così. Era uno di quelli che parlavano con il buttafuori. L’ho guardato bene quando l’ho superato e ho notato la cicatrice. Ho pensato che è stato sfortunato, perché altrimenti sarebbe stato un bel tipo.»
«Gli ha parlato? Ci ha interagito in qualche modo?»
«No, ma doveva essere alto quanto lei, ed era muscoloso. Ho pensato che fosse un nuovo buttafuori che faceva palestra.»
«Che strip club era?»
«Il Roxanne’s, sulla Spenard Road.»
«Chi era il buttafuori quella sera?»
«Greg. Al sabato è sempre lì.»
«Sembrava conoscere il nostro amico con la cicatrice?»
«Difficile dirlo. Li ho guardati solo di sfuggita.»
Amarok lo osservò più da vicino, o almeno quanto gli concedevano i suoi occhi assonnati. «Non mi sta mentendo, vero?»
Dax si irrigidì. «Mentirle?»
«Non ha prestato a quel tizio il furgone e poi ne ha denunciato il furto quando non gliel’ha più riportato per poter incassare i soldi dell’assicurazione? O magari gliel’ha venduto e poi ha denunciato il furto per essere pagato due volte. Niente del genere?»
«Dio, mi sembra di sentire mio fratello. No! Non ho prestato il furgone. E non l’ho neanche venduto.»
Amarok si pizzicò il naso. Stava cercando di pensare chiaramente, di ricordare le risposte che aveva già ottenuto e metterle insieme in modo coerente. «Bene, perché quest’estate io e la dottoressa Talbot dobbiamo sposarci e ci conto ancora. Mi sta a sentire?»
Dax scacciò una zanzara dal braccio. «Non sapevo che steste insieme, ma comunque non sto mentendo. Non lo farei con lei. E se dovessi accusare qualcuno di avermi rubato l’auto senza che l’abbia fatto non sceglierei uno che sembra un gladiatore. Quel tipo sarebbe in grado di farmi a pezzi a mani nude.»
«Se scopro che conosce quel tizio, che avrebbe potuto portarmi subito da lui ma non l’ha fatto non ci vorrà un gladiatore» disse Amarok.
Dax rimase di sasso. «Mi sta minacciando?»
«Questo è il mio piano A.» Era troppo esausto per essere diplomatico.
«Che tipo di poliziotto è?» chiese l’altro, riprendendosi.
«Il tipo a cui interessa solo una cosa, ossia riportare a casa la mia fidanzata.» Gli porse il suo biglietto da visita. «Mi chiami se cambia idea su quello che ha da dire, o se ricorda qualcos’altro.»
Non appena salì in macchina, Amarok mise subito in moto. Aveva paura che se non continuava a insistere, se si fosse fermato anche solo per qualche secondo, avrebbe ceduto per la stanchezza che lo stava lentamente trascinando a fondo.
Makita emise un suono curioso, non proprio un ringhio, e nemmeno un abbaio.
«Sto bene» gli sussurrò.
Anchorage, Alaska – mercoledì, ore 22.30
Emmett non sopportava di rimanere in quella casa abbandonata sapendo che c’era una donna incinta nella cella frigorifera, e che oltretutto sarebbe stata consegnata a un serial killer. Continuava a camminare lungo il corridoio in penombra, incerto se dirle quello che gli aveva riferito Terry – ossia che si sbagliava su Bishop – ma non aprì mai il pertugio nella porta per farlo. Temeva che Evelyn l’avrebbe convinto in fretta del contrario. E non aveva bisogno che gli si insinuasse nel cervello. Aveva già deciso cosa avrebbe fatto: sarebbe andato fino in fondo. Non poteva mandare tutto a monte. Adesso che Terry aveva perso il lavoro le cose con Bridget sarebbero davvero peggiorate.
Per sfuggire alla coscienza che lo tormentava, andò a controllare i cani. Doveva fare altro, a parte pensare.
Il pollaio dove li teneva era uno degli edifici lunghi e rettangolari di metallo ondulato, stracolmi di gabbie in ferro accatastate. Un nastro trasportatore danneggiato e arrugginito correva lungo ogni fila per dar da mangiare ai pennuti che un tempo si trovavano lì dentro, mentre gli escrementi dei polli cadevano verso il basso, accumulandosi.
Quel tipo di pollaio gli ricordava la prigione. Non era vita, nemmeno per un pollo. E puzzava peggio dell’impianto in disuso.
I cani erano rinchiusi in un angolo. Quando aveva ritagliato quella fessura nella porta della cella frigorifera per poter dar da mangiare alla dottoressa Talbot e ci aveva aggiunto un water e un letto aveva anche spazzato da una parte la merda di gallina e recintato un’area per i cani, dove aveva sparso un bel po’ di pacciame in sacco, così non si sarebbero sporcati.
Abbaiavano, e quando lo videro cominciarono a saltare e a guaire.
Emmett si prese il tempo per dare una grattatina a ciascuno, poi diede loro da mangiare e si premurò che le numerose ciotole avessero acqua pulita. I cani gli piacevano più delle persone, così dopo aver messo la cacca in un sacco e averlo gettato nell’angolo più lontano prese il suo cane preferito per fare una passeggiata attorno al perimetro della proprietà.
Nessuno sembrava ficcare il naso in giro.
Non sembrava doversi preoccupare di essere scoperto, ma non riusciva ancora a tornare all’impianto. Aveva bisogno di una pausa più lunga anche se aveva paura che Evelyn potesse entrare in travaglio mentre lui non c’era e ciò era parte del motivo per cui non riusciva a rimanere. Non riusciva a tollerare quel rischio costante.
Anche se il bambino fosse arrivato prima del tempo non poteva aiutarla. Non si sarebbe fatto incastrare per passare altro tempo in prigione, così pensò che poteva anche riportare il cane al recinto e andare a bere qualcosa.