17
Hanover House, Hilltop, Alaska – domenica, ore 14.00
Jasper sentiva lo sguardo di Roland fisso su di lui ma si rifiutava di guardarlo. Gli inverni in Alaska erano così maledettamente lunghi che non avevano molte ore d’aria. In un clima così freddo per il governo era troppo costoso fornire gli indumenti necessari, o almeno questo era quello che dicevano le guardie, ma Jasper sapeva che c’entrava più con la difficoltà nel sorvegliare un grande gruppo di carcerati al buio, soprattutto quelli internati in quella struttura. E in Alaska durante l’inverno faceva quasi sempre buio. Visto che aveva deciso di godersi appieno l’estate e il maggiore tempo all’esterno che veniva concesso grazie alle giornate più lunghe, non avrebbe permesso a Roland né a nessun altro di causargli problemi per i quali avrebbero potuto sbatterlo dentro.
Che problema aveva Roland? si chiese mentre osservava gli uomini che giocavano a basket o a scacchi o che semplicemente si allenavano. L’interesse di Roland per Jasper sembrava essere aumentato da quando Evelyn era scomparsa. Era quasi come se ce l’avesse con lui per averle tagliato la gola, anche se l’aveva fatto più di vent’anni prima, e volesse fargliela pagare. Ma Roland non era nessuno per Evelyn, l’aveva a malapena conosciuta.
O forse si trattava di qualcos’altro. Forse, adesso che si trovava a Hanover House da un paio di mesi, si era inserito abbastanza da cominciare ad annoiarsi. A quanto sembrava era un uomo paziente, gli piaceva aspettare e guardare e pensare alle cose. Magari ce l’aveva con Jasper fin dall’inizio, fin da quando aveva saputo della sua storia, ma stava cominciando solo adesso a fare la sua mossa.
Jasper aveva lavorato nelle carceri, sapeva che certi carcerati erano così. Credevano fosse una loro responsabilità infliggere una punizione a coloro che ritenevano peggiori di se stessi, come se questo cambiasse quello che erano.
Dopo un bel po’ che Roland non la smetteva di fissarlo Jasper dovette ricambiare lo sguardo. In prigione fissare era quasi come accoltellare. Se non avesse contraccambiato Roland avrebbe capito che era riluttante ad attaccare briga, e così sarebbe stato costretto a cedergli il suo posto.
Altrimenti sarebbe diventato il suo tappetino, e non poteva permettere che accadesse. Se avesse perso il suo status a Hanover House sarebbe stato molto più vulnerabile di quanto non lo fosse al momento. Tutti in quel posto si rifacevano sui più deboli.
Assicurandosi di non dare a vedere quanto si sentiva intimidito lo fissò a sua volta, così Roland avrebbe capito che non avrebbe ceduto senza combattere. Sperava che fosse sufficiente e che Roland puntasse su qualcun altro. Era uno dei pochi che avesse fatto sentire Jasper insicuro sulla sua superiorità.
Era così dannatamente sicuro di sé…
Comunque Roland non lasciò perdere. Sorrise come se la risposta di Jasper lo divertisse e gli si avvicinò con andatura rilassata, andandosi a sedere al tavolo di cemento dove Jasper se ne stava con le gambe allungate e il viso rivolto verso il sole.
«Te la godi oggi?» gli chiese.
«Sì, finché non ti sei messo a fare il coglione» rispose Jasper. Roland rise.
«Ti fa ridere?»
«No. Quello che mi farebbe ridere sarebbe vedere come ti comporti quando ti punto un coltello alla gola e ti infilo il cazzo su per il culo.»
Jasper si tirò su sulla sedia, guardandolo con cautela. «Ma cosa ti ho fatto?»
«Non lo capisci, eh?» Cominciò a grattarsi via lo sporco da sotto le unghie. «Ho un problema con gli uomini che si accaniscono con le donne e i bambini. È una vera stronzata.»
«Quello che ho fatto o non ho fatto non sono cazzi tuoi» ringhiò Jasper, ma Roland rimase tranquillo.
«Da quello che ho letto online hai ucciso almeno trenta donne. Alcune le hai stuprate e torturate per giorni o settimane. È così?»
Jasper sentiva il sangue pulsargli nelle orecchie. Era tentato di inveire, di insegnare a Roland che con lui non si scherzava. Era così che aveva affrontato ogni sfida in passato: ribattendo con maggiore forza e veemenza a chiunque gli teneva testa. Ma non era più nel mondo esterno, dove la maggior parte delle persone rispettavano le regole. Non aveva più il vantaggio di essere l’unico disposto a tutto. «Perché me lo chiedi?»
«Trenta sono tante.»
«Non ho detto che erano trenta.»
«Be’, sappiamo che ce n’è stata almeno una. La dottoressa Talbot ha quella cicatrice sul collo che ce lo ricorda. E sei stato tu a fargliela.»
Jasper capiva dove stava andando a parare. Ma non sapeva come tergiversare.
«Non ti chiedi mai come si sono sentite?» chiese Roland quando Jasper non rispose.
«No.» Non gli importava. Non riguardava loro. Non avevano importanza. Riguardava il piacere che gli procurava avere tutto quel potere.
«Be’, magari dovresti.»
«Stiamo per avere un problema, io e te?»
Roland non batté ciglio. «Sei un tipo sveglio.»
Jasper lo fissò. «Non mi farai niente, se ti becco prima io.»
«Vediamo come andrà a finire.» Con un altro sorriso si alzò e si allontanò, e per tutto il tempo in cui rimasero all’aperto Roland non smise di fissarlo. Gli altri detenuti cominciavano ad accorgersi del suo interesse, mormoravano che Jasper era il prossimo bersaglio di Roland e addirittura scommettevano su chi sarebbe sopravvissuto in uno scontro tra i due.
Se puntavano su Roland scommettevano sull’uomo sbagliato, si disse Jasper. Non si lasciava mai battere da nessuno.
Anchorage, Alaska – domenica, ore 15.30
Lyman Bishop non aveva avuto problemi a procurarsi le targhe per il furgone. Aveva portato con sé quelle di cui doveva disfarsi nell’auto a noleggio e, al ritorno dal suo giro di compere, quando non si trovava più in un parcheggio dove ci potevano essere telecamere di sorveglianza, aveva percorso parecchie strade finché non aveva trovato un vecchio furgone in un quartiere tranquillo e aveva fatto lo scambio.
Non c’era nessuno lì intorno; nessuno lo aveva visto o aveva cercato di fermarlo. Dubitava che perfino il proprietario avrebbe notato la differenza. La maggior parte delle persone non prestava attenzione alle targhe, eccetto i poliziotti. Così quando sarebbe tornato all’allevamento di polli avrebbe dipinto il furgone e apposto la nuova targa, poi avrebbe restituito l’auto a noleggio e sarebbe stato relativamente al sicuro.
Sulla strada del ritorno, non vedeva l’ora di avere la possibilità di riposare e riprendersi da tutta l’attività e lo stress degli ultimi giorni, oltre a conoscere un po’ meglio Evelyn. Sperava sarebbe stata più amichevole quando le avrebbe parlato di nuovo. Se non lo fosse stata, se era troppo cocciuta, ci avrebbero rimesso entrambi.
Alla radio trasmisero la canzone del musical Let the Memory Live Again, così alzò il volume.
Cavolo, era da tanto che non sentiva quella canzone. Adorava i musical di Broadway! Lui e Beth stavano seduti a guardarli a ripetizione. Erano molto meglio delle schifezze che propinavano in televisione al giorno d’oggi. Ma c’era qualcosa di nostalgico nelle note di quella particolare canzone. Lo rendeva malinconico ascoltare quella strofa – cosa diceva di preciso? – sul ricordo di aver conosciuto la felicità, un tempo.
Lui non l’aveva mai conosciuta. A volte non solo si sentiva estraniato da quelli che lo circondavano, ma dall’intera razza umana. Quale bambino era così poco degno d’amore da non essere voluto nemmeno dalla madre?
Per la prima volta dopo molto tempo pensò a sua madre. Aveva creduto che alla fine sarebbe stato felice dopo averle dato quello che si meritava per aver preferito il nuovo marito ai figli, ma non avrebbe mai dimenticato lo sguardo che lei gli aveva rivolto quand’era uscito dai cespugli del suo giardino con quella pistola. Era come se fosse quasi felice di vederlo, ma visto che le aveva sparato a bruciapelo non aveva idea di cosa stesse per dirgli.
Per fortuna divenne meno riflessivo mentre si diffusero le note di Do You Hear the People Sing? da Les Misérables. Era uno sciocco a pensare a sua madre. Lei non si meritava quello struggimento che a volte affiorava in lui.
Stava picchiettando il volante con le dita al ritmo delle percussioni, quando la strada curvò a destra, ma quando imboccò la curva e l’allevamento di polli comparve alla vista il cuore gli balzò in gola.
Era tutto fuori posto. C’era un’Explorer bianca parcheggiata sul davanti, e chiunque ne fosse sceso era riuscito ad aprire il cancello che aveva chiuso con il lucchetto quando se n’era andato, perché si ricordava bene di averlo fatto, ed era entrato.
Hilltop, Alaska – domenica, ore 15.35
Amarok era così combattuto. Voleva prendere un aereo per il Minnesota e far vedere quel viso in primo piano ricavato dal video del Quick Stop a ogni impiegato del Beacon Point. Gran parte del lavoro di polizia consisteva nel leggere il linguaggio del corpo e nell’usare l’intuizione con le persone che si incontravano, per capire se fossero oneste o meno. Ma temeva di andarsene dall’Alaska per paura che i ricercatori alla fine scoprissero qualcosa e lui non fosse nei paraggi per intervenire.
Sapeva che probabilmente Evelyn era da qualche parte in Alaska, e anche questo gli rendeva difficile partire. Non voleva allontanarsi da lei più del dovuto. Desiderava potersi trovare in due posti allo stesso tempo, ma il detective Lewis insistette nel dire che da parte sua stava gestendo tutto il più velocemente possibile, ed era rimasto in contatto.
«I media si scateneranno» disse Amarok a Lewis al telefono.
«Qui la notizia è già girata sui telegiornali parecchie volte. E sono bombardato per sapere se ci sono novità sul caso.»
«A breve un esercito di giornalisti si riverserà in città. Busseranno alle porte e alle finestre della mia stazione di polizia, e cercheranno di fermarmi ogni volta che mi vedranno.»
«Queste cose non ci agevolano il lavoro.»
Amarok si sfregò il viso con la mano. «Quando abiti in un paesino come Hilltop non ci sono molti posti in cui andare per evitarli.»
«Non puoi indirizzarli a qualcun altro così tu puoi rimanere concentrato?»
Li avrebbe dirottati verso Shorty. Lui sapeva tenere la bocca chiusa se necessario, Phil no. Phil era troppo gentile e affabile. «Farò il possibile.»
«Magari la copertura mediatica sarà un bene. Stanno trasmettendo il video che mi hai mandato. Spero che ci aiuterà a identificarlo. Per ora ha portato a parecchi vicoli ciechi, ma ho molti altri indizi da passare al setaccio.»
«Quel video è parecchio sfuocato.»
«Ma contiene lo stesso una persona identificabile.»
«Forse hai ragione. Dobbiamo identificarlo in fretta. Evelyn è scomparsa da cinque giorni. A ogni secondo che passa le sue chance diminuiscono.»
Così come la sua speranza di riportarla a casa…
«Quand’è stata l’ultima volta che hai dormito?» chiese Lewis.
Amarok aveva dormito a spezzoni – un paio d’ore qui e un paio d’ore lì quando proprio non ce la faceva più – ma non risposava né mangiava quanto avrebbe dovuto. Da come gli stavano larghi i vestiti capiva che stava già perdendo peso. Non si era preoccupato nemmeno di farsi la barba. Per la prima volta da quando aveva ventidue anni se la stava facendo crescere.
L’unica buona notizia era che la mano si era finalmente sgonfiata. Cominciava a pensare di non essersela rotta. Gli faceva male quando cercava di usarla, ma sembrava in via di guarigione. «Non ne ho idea. Non tengo mica il conto.»
«Be’, posso dirti che non è abbastanza.»
Shorty, Molly e Phil gli dicevano la stessa cosa. Erano sconvolti da quello che stava succedendo a lui quasi quanto da quello che era successo a Evelyn. Avevano già allertato il padre di Amarok per dirgli che si stava trascurando. Hank lo aveva chiamato due volte e lo aveva pregato di non strafare. Minacciava di andare a Hilltop e rimanere con lui, per cercare di farsi ascoltare, ma sapevano tutti che non c’era niente che Hank o altri potessero fare.
«Non voglio parlare di dormire, okay? Sono sicuro che questo è l’ultimo giorno in cui ho a disposizione una squadra di ricerca. Non hanno trovato niente, neanche una persona che abbia visto o riconosciuto l’uomo nel video che ti ho mandato. Magari qualcuno è disposto a uscire anche domani, ma comincia una nuova settimana, ed è il quarto giorno che si danno da fare. A un certo punto la gente deve tornare alla propria vita.»
«Capisco, e capisco anche la disperazione che senti.»
«Giusto» mormorò Amarok, ma non credeva che qualcuno potesse davvero capire. A meno che non avessero vissuto qualcosa di simile.
Seguì un silenzio imbarazzato, come se Lewis avesse intuito che il suo commento era stato recepito come inutile. Poi disse: «Ascolta. Devi fidarti dell’aiuto degli altri. Non puoi fare tutto. So che non mi conosci molto bene, e non vedi tutto quello che sto facendo qui in Minnesota, quindi non ti fidi che le cose vengano fatte.»
«Non è…»
«Sto dando a questo caso la massima priorità, okay? Le cose non succedono all’istante solo perché lo vogliamo. Quindi rilassati e fammi fare il mio lavoro. È meglio lavorarci in due, al di là di quello che pensi sul fatto che mi ci stia impegnando molto o poco.»
Lewis aveva ragione, ma Amarok non era disposto ad ammetterlo. Si era convinto che le vere risposte, quelle che avrebbero potuto portarlo in qualche direzione, si trovassero nel Minnesota, visto che il rapimento doveva essere stato pianificato mentre Bishop era a Beacon Point.
«Sei riuscito a contattare la vedova di Terry Lovett?» chiese a Lewis. Non voleva perdere tempo con un discorso d’incoraggiamento, non gli importava se ne aveva bisogno o meno. «Perché non mi richiama anche se l’ho cercata parecchie volte.»
«L’ho sentita al telefono qualche minuto fa.»
«E?»
«Dice che non ha mai sentito parlare di Lyman Bishop o di Evelyn Talbot e non ha idea di chi volesse morto suo marito.»
«Ha detto se Terry ultimamente si comportava in modo strano?»
«Non ha detto molto in generale, mi ha concesso solo due minuti, ma non mi sorprende, se devo dirti la verità. Ha appena perso il marito.»
«Secondo l’articolo che ho letto sul volo di Terry in quel burrone, non è che andassero molto d’accordo.»
«Non significa che lo volesse morto.»
«Allora perché non mi richiama?»
«E chi lo sa?»
«Le hai chiesto se potevi almeno inviarle una foto del nostro sospettato? Per vedere se lo riconosce?»
«Gliel’ho già mandata.»
«E?»
«Non ho ancora sentito niente, ma gliel’ho mandata solo un’ora fa. Me ne occupo io. Andrò anche al funerale, per vedere se si presenta qualcuno di sospetto. Magari posso parlarle un po’ di più quando sarà tutto finito, porterò una stampa della foto in caso non risponda al messaggio.»
«Quand’è il funerale?»
«Venerdì.»
Amarok si alzò. «Ma è fra cinque giorni!»
«Lo so, ma non posso costringerla a parlare.»
«Perché non vuole farlo? Magari c’entra qualcosa.»
«Con l’omicidio del marito?»
«Oppure con il rapimento di Evelyn.»
«Mi sorprenderebbe se fosse così. Da quello che mi hanno detto i vicini è una normale mamma con due figli, e non ha precedenti penali.»
«Avevano problemi coniugali, e avevano anche bisogno di soldi. E sappiamo che Bishop ha ritirato i tremilatrecento dollari che aveva in banca.»
«Non significa necessariamente qualcosa. Gli sarebbero serviti dei soldi anche per andare in Alaska, anche se, come ti ho detto, il suo nome non compare su nessuna lista passeggeri.»
«Stai monitorando le compagnie principali per vedere se cambia qualcosa, vero?»
«Certo.»
Amarok si sfregò gli occhi. Sapevano che Bridget Lovett era alla scuola dei figli quando il marito era stato ucciso, quindi non era stata lei ad accoltellarlo. Poteva essere coinvolta in qualche altro modo? O anche lei non sapeva perché suo marito era morto, proprio come dava a vedere? «Deve dare un’occhiata alla foto che ho estrapolato dal video del Quick Stop. Se non ti risponde vengo lì e mi assicuro che lo faccia.»
«Aspetta un attimo. È appena arrivato qualcosa. Resta in linea…»
Amarok prese dal cassetto un po’ di vecchia frutta secca assortita e si mise in bocca una manciata di noccioline e uvetta mentre aspettava che Lewis tornasse in linea. Makita gli si avvicinò trotterellando perché sapeva che il padrone teneva dei dolcetti per cani nello stesso cassetto, e Amarok gliene lanciò uno.
«Sergente Murphy?»
«Sì. Che c’è?»
«Il video di sorveglianza dalla banca.»
«La banca di Lyman?»
«Già.»
«Puoi mandarmelo?»
«Già fatto.»
Amarok attese che arrivasse la mail di Lewis e non appena la vide cliccò sull’allegato. «Se la cava piuttosto bene per essere un vegetale» disse, gli occhi incollati sull’immagine di Bishop che entrava e si avvicinava a un cassiere.
«L’ho notato» rispose Lewis.
Bishop zoppicava. E sembrava anche più appesantito, ma poteva anche essere un’impressione data dalla spessa felpa nera che indossava, con il cappuccio sollevato per oscurare il viso.
«Qualcuno deve averlo aiutato» disse Amarok. «Devi chiedere a Bridget Lovett se suo marito di recente aveva comprato una felpa simile a quella.»
«Continuerò a cercare di mettermi in contatto con lei.»
Amarok mise in pausa il video e ingrandì l’immagine. Quel poco che riusciva a vedere del viso di Bishop era così sgranato da renderlo quasi irriconoscibile, ma non poteva dimenticare quegli occhi scuri e spenti. «Bastardo» mormorò.
«Immagino tu non stia parlando con me» disse Lewis, ironico.
«Come ha fatto a riprendersi?»
«Magari lo sapessi. Non se lo aspettava nessuno.»
«Così Bishop incontra un addetto alle pulizie al Beacon Point, lo convince a procurargli dei vestiti e magari un cellulare e a farlo uscire.»
«Poi accoltella Lovett così non può parlare.»
«Ma cosa c’entra l’uomo con la cicatrice?»
Lewis ci rifletté per qualche secondo. «Deve avere un qualche collegamento con Beacon Point.»
«O con Terry Lovett.»
Amarok capì che Lewis era d’accordo con lui quando disse: «Giusto. Continuerò a lavorare sulla vedova.»
«Grazie.»
Amarok riagganciò e chiese a Phil se potesse prendersi cura di Makita e Sigmund per qualche giorno, poi andò online e prenotò un volo di prima mattina per Minneapolis. Per quanto odiasse lasciare l’Alaska doveva farlo. Era convinto che le risposte che gli servivano per salvare Evelyn si trovassero nel Minnesota.