13
Anchorage, Alaska – venerdì, ore 11.00
A Evelyn scoppiava la testa mentre fissava il water, seduta a terra. Poteva bere quell’acqua?
Quando all’inizio l’avevano messa lì dentro, aveva pensato che non sarebbe mai riuscita a farlo, non dopo quello che aveva sopportato in passato. Dopo Jasper aveva sviluppato una sorta di germofobia, soprattutto verso il cibo. Beveva acqua sempre rigorosamente filtrata, non teneva mai più di un giorno il cibo in frigorifero. Lavava tutto, anche i vestiti, con acqua che proveniva dallo stesso filtro dell’acqua che beveva e, se ad Amarok piacevano le bistecche grandi e al sangue, lei non sopportava la carne rossa. A volte aveva voglia di un hamburger, ma altre il solo odore le dava il voltastomaco, ed era stato così fin da quando Jasper l’aveva obbligata a mangiare l’arto arrostito di una delle sue migliori amiche.
L’unica cosa che aveva reso possibile la guarigione era stato il rifiuto di tutto quello che Jasper le aveva dato; lo sputava e aveva i conati di vomito ogni volta che lui cercava di rificcarglielo in bocca. L’aveva picchiata fino a farle perdere i sensi per averlo sfidato. Ma non si era mai arresa, e sentiva che quella cocciutaggine era in parte il motivo per cui non l’aveva mai dimenticata. C’erano state cose che non era riuscito a imporle di fare, non importava a che costo, e per questo la ammirava e la odiava. Da quello che le aveva detto, era stata l’unica donna che non era riuscito a spezzare.
Lo immaginò seduto nella sua cella a Hanover House e si chiese cosa pensasse della sua improvvisa scomparsa. Probabilmente era geloso e arrabbiato per il fatto che qualcun altro fosse riuscito in quello che lui aveva tentato di fare lo scorso inverno. Era così poco realista da credere che un giorno sarebbe uscito da Hanover House e avrebbe avuto un’altra possibilità. L’ego enorme era una caratteristica comune tra gli psicopatici…
Averlo a Hanover House, dove lavorava e poteva parlargli quando voleva, l’aveva anche aiutata a mettere in prospettiva sia lui che quello che le era capitato. Quando era ancora a piede libero, la sua mente le aveva giocato brutti scherzi, aveva usato la paura per accordargli capacità quasi soprannaturali: la capacità di trovarsi in due luoghi nello stesso momento, di guardare attraverso i muri, di leggerle la mente, eccetera. Ogni sera, dopo lavoro, doveva controllare tutti gli armadietti, dietro ogni porta, anche gli spazi più piccoli dove una persona della sua stazza non si sarebbe mai potuta infilare. E se era sola si irrigidiva a ogni rumore, anche quelli familiari.
Era stato molto terapeutico vedere l’umana realtà dell’uomo che l’aveva tormentata così a lungo, e capire che era solo un individuo patetico e manipolatore, che non amava nessuno tranne se stesso e non aveva nemmeno una coscienza. Non era speciale. Anzi, non era per niente diverso dagli altri psicopatici che aveva studiato. Forse era più scaltro, come Lyman Bishop.
Si sfregò le tempie per cercare di alleviare il mal di testa che sentiva dietro agli occhi, poi ripensò all’acqua. Bevila. Devi berla. Se non l’avesse fatto avrebbe potuto iniziare ad avere le contrazioni. E se fosse entrata in travaglio al sesto mese…
Sperando di sentire la bambina scalciare si portò una mano al ventre e premette. Non aveva notato alcun movimento da quando aveva accoltellato il colosso tutto muscoli che l’aveva rapita. Il pensiero che lo stress di una notte così lunga, ad aspettare sulle spine il momento giusto, e la conseguente scarica di adrenalina quando il momento era arrivato potesse essere stato troppo per la bambina la spaventava più di ogni altra cosa. Il dolore e il senso di perdita che avrebbe sentito se la piccola fosse nata morta, soprattutto in quel posto sperduto, senza l’adeguato supporto medico e senza Amarok…
Sbatté le palpebre, scacciando le lacrime mentre fissava accigliata il proprio riflesso. Perché sei così testarda? Fallo per la tua bambina, si disse. Ma se fosse stata sicura che sarebbe stato d’aiuto lo avrebbe già fatto. Il problema era che poteva anche entrare in travaglio o perdere la bambina se avesse preso l’escherichia coli o qualche altra infezione batterica.
In quale dei due casi sua figlia avrebbe avuto più possibilità?
Corrugò la fronte, cercando di decidere. Stava già sperimentando i classici segnali di disidratazione: mal di testa, bocca secca, vertigini e sonnolenza. C’erano sintomi peggiori, quelli che avevano effetto sulla pressione sanguigna, e che erano particolarmente rischiosi in gravidanza.
Decise che avrebbe dovuto bere l’acqua del water e sperare che tutto andasse bene, poi mise le mani a coppa.
Anchorage, Alaska – sabato, ore 15.30
Bishop rimase sorpreso quando chiamò il cellulare di Emmett e lui non rispose. Era appena atterrato ad Anchorage ma voleva fingere di avere delle difficoltà a uscire da Minneapolis, così l’altro non si sarebbe aspettato di vederlo arrivare.
Gli lasciò un messaggio per dirgli che non sarebbe arrivato fino all’indomani, di rimanere e non lasciar andare Evelyn finché non fosse riuscito ad arrivare. L’ultima cosa che gli serviva era che Emmett decidesse di aver aspettato abbastanza e se ne andasse come aveva minacciato di fare, per poi tornare quando Lyman fosse stato lì, aspettandosi di essere pagato. Così non ci sarebbe stato l’elemento sorpresa e il vantaggio che ne avrebbe tratto.
Emmett era molto meno prevedibile di Terry, molto meno gestibile. Lyman si preoccupava di queste cose mentre aspettava all’aeroporto il proprietario di una macchina che aveva noleggiato in un sito web privato. Avrebbe potuto usare una delle grandi società di autonoleggio, che erano più convenienti, ma non poteva correre il rischio. In molte avevano localizzatori GPS. E non poteva prendere un taxi. Gli serviva un’auto per prendere provviste e altre cose. Forse gli sarebbe servito anche un bagagliaio per sbarazzarsi del corpo di Emmett. Lyman non era così stupido da pensare di avere la forza e la coordinazione necessarie per scavare una fossa, visto che già camminava a fatica.
Comunque nella proprietà avrebbe dovuto esserci un posto dove nascondere il cadavere. Magari sotto a tutta la merda di gallina di cui si era lamentato Emmett quando aveva affittato quel posto. Se, come aveva detto, puzzava da morire e la casa era isolata come gli era sembrato, quando l’aveva cercata su Google Earth sul portatile che Terry aveva portato in ospedale, poteva anche passarla liscia.
L’indirizzo che gli aveva fornito Emmett non era difficile da localizzare. La proprietà era circondata da un’alta recinzione metallica e il cancello era chiuso con un lucchetto, quindi si capiva che l’azienda non era più operativa.
Le erbacce proliferavano nel piccolo appezzamento e sui cespugli che un tempo avevano creato un’entrata molto più accogliente verso il negozio sul davanti della fabbrica; su tutto regnava un alone di generale abbandono.
Lyman superò il posto in macchina senza fermarsi. Gli piaceva quello che vedeva. Le foto che aveva visto su Internet sembravano recenti e accurate, ma voleva dare un’occhiata da vicino, e avrebbe potuto farlo con più calma a piedi.
Dopo aver nascosto l’auto lungo la strada, prese il sacco con gli attrezzi e altri oggetti che aveva comprato dal ferramenta dopo essere atterrato, e usò un paio di tronchesi per rimuovere il lucchetto dal cancello.
Non appena scivolò all’interno vide il furgone azzurro sotto alla tettoia, cosa che lo sollevò. Emmett aveva mantenuto la parola. Era ancora lì. Per fortuna!
C’erano anche altre cose per cui essere grati. Non solo Emmett aveva trovato il luogo perfetto, ma una volta aveva anche fatto l’idraulico, quindi era stato in grado di apportare i giusti accorgimenti, come assicurarsi che la cella frigorifera fosse adeguatamente ventilata e avesse un water funzionante.
Bishop nascose le tronchesi tra le erbacce ed evitò la parte anteriore dell’edificio, da dove poteva essere visto attraverso le finestre del negozio, quindi fece lentamente il giro da dietro.
Di fatto Emmett aveva solo un modo per entrare e uscire dall’edificio, proprio come gli aveva detto. Quando avevano chiuso l’allevamento di polli, il proprietario aveva sprangato la porta sul retro, per scoraggiare i vagabondi a intrufolarsi, ed Emmett aveva detto che non era saggio rimuovere quelle assi, aggiungendo che la sicurezza non era mai troppa.
Lyman doveva ammettere che aveva ragione, anche se questo rendeva un po’ più difficile quello che aveva in mente per Emmett.
Decise di trovare il rifugio dove teneva i cani e picchiare contro le pareti per aizzarli. Quando Emmett fosse uscito per vedere cosa stava succedendo lo avrebbe aggredito alle spalle, accoltellandolo. Poi avrebbe trascinato il corpo dentro al pollaio e quando i cani avrebbero avuto abbastanza fame, magari si sarebbero sbarazzati loro del corpo.
Fatto. Facile.
Solo che aizzare i cani non portò fuori Emmett, come si era aspettato.
Stava dormendo? Si stava drogando? Cosa stava succedendo?
Bishop tornò all’edificio e con grande cautela fece il giro fino all’ingresso anteriore. A parte assicurarsi che nessuno dall’interno potesse vederlo, non ci aveva prestato molta attenzione. Sulla grande vetrina c’era dipinta a colori vivaci la scritta “Southwick Family Egg Ranch”, ma all’interno era buio e Bishop suppose che fosse anche vuoto.
Estrasse il coltello dalla borsa e la mise da parte. Sperava di capire dove fosse Emmett e cosa stesse facendo ma, dopo aver percorso metà negozio, decise di non avvicinarsi oltre. Era troppo facile vedere all’esterno e troppo difficile, invece, vedere all’interno.
Prese il telefono dalla tasca e compose il numero di Emmett. Non aveva in mente di parlare se gli avesse risposto; voleva solo svegliarlo, così avrebbe avuto maggiore fortuna nell’attirarlo al pollaio.
Ma non rispose.
Bishop sentiva il telefono squillare…
La cosa strana era che il suono proveniva più da una distanza ravvicinata. Com’era possibile?
La chiamata venne dirottata alla segreteria, così Bishop riagganciò e attese un altro po’. Se Emmett era fuori, vicino al negozio, cosa stava facendo? Lo stava seguendo? Aveva sentito di Terry e gli erano venuti dei sospetti?
Magari aveva intenzione di ucciderlo e stava aspettando, in guardia.
No. Avrebbe silenziato il telefono, non si sarebbe fatto scoprire.
Bishop attese, rimase in ascolto per captare possibili passi o movimenti, ma non sentì nulla. Alla fine la curiosità prevalse e si avvicinò lentamente fino al punto in cui aveva sentito lo squillo… e per poco non inciampò sul corpo di Emmett, steso in parte tra le erbacce e in parte sul marciapiede fuori dal negozio, gli occhi rivolti al cielo, in pieno rigor mortis.
«Bene, bene, bene!» disse. «Cos’è successo qui?»
Era ovvio che era stato colpito. C’era sangue dappertutto.
Si inginocchiò per dare un’occhiata alla ferita sul collo. Sembrava fosse stato accoltellato. Ma… da chi?
Lyman non vedeva nessun altro, non sentiva alcun suono, a parte le mosche che ronzavano attorno al corpo. Comunque la traccia di sangue che proveniva dal negozio sembrava raccontare una storia. Emmett aveva forse aggredito Evelyn, che poi aveva reagito?
Ma come aveva fatto a prevalere su un uomo così grande e grosso?
A Bishop non importava che Evelyn avesse ucciso Emmett. Gli aveva fatto un favore. Ma si strinse una mano al petto mentre il cuore cominciava a battergli forte, per paura che fosse scappata. Maledetta! Cosa avrebbe fatto se fosse scappata?
Spinse la porta del negozio. Era aperta.
I banconi e le mensole erano ricoperti da uno spesso strato di polvere e il registratore di cassa era stato rimosso, lasciando un buco nel legno dov’era stato imbullonato. Dovette farsi largo tra cartoni, portauova, lattine, involucri da fast-food e altre immondizie che insozzavano il pavimento per arrivare fin sul retro, ma non ebbe difficoltà a trovare la cella frigorifera. Una traccia di sangue portava giusto fin lì.
La cosa strana era che… era chiusa con un catenaccio.
Inspirò a fondo nel tentativo di annientare il panico che lo attanagliava e fece scivolare il catenaccio, pronto a sollevare la lastra che copriva il pertugio ricavato nella porta da Emmett.
Ti prego, fa’ che sia qui. Piegandosi, Bishop guardò all’interno.
Evelyn sentì un enorme senso di sollievo quando sentì scivolare il catenaccio. Ma durò poco. Si rese conto che la sua situazione non era migliorata quando scattò verso la porta e vide gli occhi pungenti di Lyman Bishop che la scrutavano.
«Wow! Dopotutto, questo è il mio giorno fortunato» disse lui. «Credevo fossi scappata.»
Evelyn desiderò che fosse così. In realtà “desiderare” non era una parola abbastanza forte.
«Acqua» disse semplicemente. Anche se dall’ultima volta che aveva visto Emmett si era sforzata di bere un po’ di acqua del water – senza sentirsi male – non era comunque abbastanza.
«Cos’hai detto?»
Doveva averla sentita. Solo che non si era aspettato una risposta così semplice, una risposta che non denotava sorpresa nel vederlo, nessun commento sulla sua abilità di muoversi o pensare nonostante le brutte aspettative dopo l’emorragia e nessuna supplica perché la liberasse.
Evelyn fece appello alla poca forza rimasta e alzò la voce. «Acqua! Ho bisogno di acqua. Subito. E di un po’ di cibo.»
Lui non si mosse. «Emmett non ti portava da bere o da mangiare?»
«Non lo vedo» deglutì per via della gola secca «da un po’. Non so da quanto. Qui dentro non riesco a misurare il tempo.»
«Direi che è passato un giorno, forse un giorno e mezzo. È in pieno rigor mortis, e di solito succede dopo ventiquattro ore.»
«Dovresti saperlo» gli disse semplicemente.
«Sapere cosa?»
Un serial killer che aveva seppellito così tante vittime doveva avere una certa dimestichezza con il rigor mortis. Ma lasciò perdere. Stava troppo male per discutere.
«Cosa gli è successo?» le chiese.
«Non ne ho idea» mentì.
«Interessante.» Scomparve dal pertugio ed Evelyn sentì dei movimenti. Quando tornò le mostrò il coltello che aveva fatto. «Perché nessuno nel mondo esterno userebbe questo tipo di arma.»
Lei non disse nulla alla vista del coltello insanguinato, si limitò ad accasciarsi contro la parete della porta, così Bishop non poteva più vederla, e chiuse gli occhi. Aveva ucciso l’uomo che l’aveva rapita.
Emmett. Bishop l’aveva chiamato Emmett. Fino a quel momento non aveva nemmeno saputo come si chiamasse! Ma era sorpresa da quanto poco le interessasse. Se avesse potuto mettere le mani su quel coltello, avrebbe ucciso anche Bishop. Avrebbe ucciso chiunque avesse cercato di impedirle di uscire da quella maledetta cella.
«Evelyn?»
Non si prese la briga di rispondere.
«Ehi? Dove sei andata?»
Che apra pure la porta. Non gli avrebbe reso le cose facili.
«Come sta il bambino? Va tutto bene lì dentro?»
«Morirà, senza acqua pulita. È questo che vuoi?» Credeva di sì. Per la maggior parte degli uomini pericolosi che aveva conosciuto un feto, nel migliore dei casi, sarebbe stato una scocciatura e, nel peggiore, un metodo per infliggerle massimo dolore e tortura.
Era quello che Bishop aveva in serbo per lei?, si chiese. Aveva in mente di strapparle la bambina dal ventre e ucciderla di fronte a lei, come avrebbe fatto Jasper?
«Ovvio che non è quello che voglio» disse, quasi scioccato per il fatto che lo avesse anche solo suggerito. «Sono emozionato all’idea del bambino. Potrebbe essere il mio unico figlio.»
Il suo unico figlio? Cosa voleva dire? Non ne aveva idea, ma non gliel’avrebbe chiesto. In quel momento le interessava solo avere qualcosa di salutare da bere. «Allora dammi dell’acqua, cazzo» gli disse.
Hilltop, Alaska – sabato, ore 16.30
Jasper studiò lo schermo. Ai carcerati non veniva concesso molto tempo al computer. C’era una concorrenza agguerrita per simili lussi. Molti dovevano guadagnarseli sottoponendosi a vari studi, cosa che lui fino a quel momento si era rifiutato di fare. Non avrebbe permesso a Evelyn di esaminarlo come una specie di topo da laboratorio. L’unica soddisfazione che gli era rimasta era negarglielo.
Evelyn fingeva non le importasse che lui avesse rifiutato, gli aveva detto che alla fine si sarebbe fatto prendere dalla noia e avrebbe desiderato quei benefit così tanto da cambiare idea.
A volte temeva che avrebbe avuto ragione. A Jasper serviva uno stimolo importante: qualcuno che uccideva per divertimento era sempre alla ricerca di qualcosa di forte. A volte si chiedeva se cercare quella scarica di adrenalina fosse l’unica ragione per cui aveva fatto quello che aveva fatto.
Ma non se lo chiedeva abbastanza da cedere. Finché aveva i soldi poteva pagare per i privilegi che non si guadagnava. Fino a quel momento le donne con cui teneva una corrispondenza epistolare si erano prese cura di lui. Il denaro che gli inviavano gli consentiva di vivere egregiamente, per essere un detenuto, e più degli altri, grazie alla sua notorietà e al suo bell’aspetto.
Uscì da Internet per controllare di nuovo la sua posta elettronica. Sperava di ricevere notizie da Chastity Sturdevant. Era troppo giovane per essere in grado di offrirgli le stesse risorse di alcune delle altre donne con cui era in contatto. Si era diplomata solo da due settimane, non aveva un lavoro. Ma metteva altre cose sul piatto. Era molto più attraente della tipica “fan disperata di un carcerato”: era sexy e abbastanza giovane da rendere gelosi gli altri carcerati, il che era divertente. A Jasper piaceva essere ammirato. E il fatto che vivesse così vicina a Minneapolis e potesse andare in macchina al Beacon Point Mental Hospital era stata proprio una fortuna.
Nessun nuovo messaggio. Maledizione! Dov’era? Doveva già essere arrivata. Bishop era ancora in ospedale? E, in caso contrario, lei aveva chiamato il sergente Murphy come le aveva detto di fare?
Se non l’aveva fatto, un giorno l’avrebbe uccisa.
Diede uno sguardo all’orologio a muro della piccola biblioteca della prigione. Gli restavano solo cinque minuti. Se non si metteva subito in contatto con lui avrebbe dovuto aspettare finché non avesse potuto permettersi altro tempo al computer, e ci sarebbero potuti volere parecchi giorni. In quella prigione c’era chi aveva un cellulare, ma la mazzetta per poterlo usare era troppo costosa. Non si era reso conto che potesse servirgli, quindi non aveva messo da parte i soldi.
«Sbrigati cazzo!» Stava parlando con Chastity anche se lei non era lì, il detenuto seduto accanto lo guardò.
«Ce l’hai con me?»
«Secondo te?» Jasper gli rivolse uno sguardo fulmineo come a dire “pensa agli affari tuoi o ti taglio la gola”, e il suo vicino prese la giusta decisione, tornando a concentrarsi sul suo computer.
Con un sospiro, Jasper uscì ancora una volta dalla posta e tornò su Internet. Mentre aspettava notizie da Chastity avrebbe cercato qualcosa che potesse significare che Bishop era a piede libero: qualsiasi notizia della fuga o del rilascio del Fabbricatore di Zombi, la denuncia di qualcuno che diceva di essere stato aggredito da un uomo che brandiva un punteruolo da ghiaccio, qualche indizio sul fatto che Beth Bishop, la sorella di Lyman, era sparita dal suo istituto.
Le ricerche non diedero alcun risultato.
Mentre il tempo che gli rimaneva al computer scorreva e non riceveva parola da Chastity, Jasper stava quasi per prendere a pugni lo schermo. Maledetta! Le aveva detto di farsi sentire il prima possibile. Cosa stava aspettando? Poteva controllare le mail e rispondere dal telefono. Ma lei non poteva sapere che Jasper era riuscito a barattare una sua foto e il suo indirizzo con un altro carcerato per godere dei suoi privilegi alla biblioteca.
Si spremette le meningi per trovare un altro modo di scoprire se Lyman Bishop non era più dove doveva essere e cercò usando le parole “ricercatore oncologico condannato”, “assassino del punteruolo di ghiaccio” e “lobotomia con punteruolo da ghiaccio” per recuperare più informazioni su di lui.
Quelle ricerche generarono così tanti link che non poteva scorrerli tutti in tempo, ma controllò le date. Erano vecchi di anni o mesi.
Una guardia carceraria, M. Cadiz, gli fece cenno che era ora di tornare in cella, ma lui non si mosse. Rimase dov’era e digitò “Beacon Point Mental Hospital”. Non lo aveva provato perché gli sembrava improbabile. Sapeva che avrebbe generato ogni tipo di informazioni dell’ospedale in sé, non necessariamente sui pazienti.
Ma proprio mentre l’agente Cadiz si stava avvicinando notò un articolo recente dal titolo: Addetto alle pulizie del Beacon Point Mental Hospital morto a Swede Hollow.
«Un secondo» disse all’agente, e ci cliccò sopra.
Terry Lovett, un addetto alle pulizie al Beacon Point Mental Hospital, è stato trovato morto nella sua auto dopo essere uscito fuori strada dalla Settima a Swede Hollow, ieri pomeriggio. Quattro adolescenti si trovavano al parco, non lontano dalla scena dell’incidente. Fortunatamente non ci sono stati altri feriti.
«È stato strano» ha detto uno dei ragazzi, di sedici anni. «Stavamo facendo un giro, parlavamo dopo scuola, e all’improvviso questa macchina precipita giù dal burrone. Si è schiantata a circa sei metri da noi. Volevamo vedere se l’automobilista stava bene, ma non ci siamo arrischiati ad andare troppo vicino. Abbiamo pensato che avrebbe potuto andare in fiamme.»
Lovett è stato ritrovato privo di sensi al volante ed è morto prima di arrivare in ospedale. I primi rapporti indicano un possibile suicidio. Lovett non solo era stato licenziato dal posto di lavoro quello stesso giorno, ma era anche pieno di debiti e, secondo dei vicini, non andava d’accordo con la moglie. Ma i genitori e i fratelli insistono nel dire che non si sarebbe mai tolto la vita. Su loro richiesta la polizia ha ordinato un’autopsia per confermare la causa della morte.
«Devi muoverti.» M. Cadiz era in piedi accanto alla sua spalla, il taser pronto a sparare. «Subito.»
Jasper sapeva che avrebbe potuto essere colpito con il taser, ma non poteva ancora andarsene. Sollevò la mano. «Aspetta. Per favore.»
«Per favore? Stai chiedendo per favore a me? Ieri hai cercato di sputarmi in un occhio. No, cazzo. Non ti concedo neanche un secondo di più.»
Ignorando la risposta, Jasper digitò in fretta nella barra di ricerca: “Terry Lovett”. Sperava che avessero completato l’autopsia e che avessero stabilito la causa della morte. Altrimenti avrebbe dovuto aspettare per avere più informazioni anche su questo.
C’era la possibilità che la morte di Lovett non avesse niente a che fare con Bishop, ma quell’incidente era l’unica cosa recente relativa a Beacon Point, quindi Jasper non l’avrebbe escluso finché non ne fosse stato del tutto sicuro. Se Bishop era scappato da Beacon Point, aveva dovuto farlo in qualche modo e ci sarebbero state delle piccole prove a testimonianza del fatto che qualcosa non andava.
«Togliti dal computer, o ti stendo» disse Cadiz. «Consideralo il tuo unico avvertimento.»
Jasper sollevò lo sguardo verso di lui. Non poteva tornare subito in cella. Aveva appena intravisto un link che indicava che l’autopsia era stata completata, cosa che la diceva lunga. Di solito per le autopsie ci volevano giorni, a volte settimane, dipendeva dall’arretrato di lavoro. Le autorità dovevano essere preoccupate per qualcosa per averla fatta eseguire entro due giorni.
«Detenuto Moore?» lo incalzò Cadiz.
«Smettila di fare lo stronzo» ringhiò Jasper.
Quella risposta scioccò a tal punto la guardia che si limitò a fissarlo anziché azionare il taser. Alle guardie di Hanover House non piacevano gli scontri. Avevano a che fare con criminali incalliti, sapevano di non possedere il loro stesso istinto assassino e non se la sarebbero cavata se avessero calcato troppo la mano con gli ossi più duri, proprio come Jasper.
L’esitazione di Cadiz diede a Jasper tempo sufficiente per cliccare sul link e scorrere l’articolo.
Si alzò proprio mentre l’agente Cadiz aveva raccolto il coraggio per mettere in pratica la sua minaccia. Gridò: «Taser, taser, taser!» e sparò.
Si sentì un ticchettio mentre le scariche lo colpivano e cinquantamila volt di elettricità gli immobilizzavano il corpo. Non riusciva a muovere un singolo muscolo e sarebbe caduto, se l’agente McKim non avesse reagito a quello che stava succedendo e fosse accorso dall’altro lato della stanza per sorreggerlo.
Quell’intenso e pungente dolore fece infuriare Jasper. Ma aveva quello che voleva. Terry Lovett non si era suicidato. Era stato ucciso con una coltellata al petto.
Non appena finì il ticchettio scomparve anche il dolore. Jasper sentiva i muscoli irrigiditi, come se si fosse sottoposto a un allenamento estenuante, ma riusciva a muoversi di nuovo. Lo dimostrò facendo il dito medio a Cadiz.
«Che c’è, non ne hai avuto abbastanza?» gridò Cadiz. «Ne vuoi un altro po’?»
«Hai reso l’idea» lo avvertì McKim, con voce roca. «Gli hai già dimostrato chi è che comanda. Non farti prendere la mano.»
Jasper digrignò i denti mentre lo trascinavano in cella, e giurò a bassa voce che avrebbe trovato un modo per pareggiare i conti. Non dimenticava mai un insulto o chi gli faceva del male. Ma non poteva vendicarsi subito, quindi rimase concentrato sul suo scopo originario. Quei secondi extra al computer erano valsi la pena? Quello che aveva trovato significava qualcosa?
Forse. Terry Lovett era stato ucciso dopo il rapimento di Evelyn. Questo suggeriva che forse le due cose non erano connesse. Ma un omicidio era comunque un’anomalia, una cosa che di solito non succedeva a Beacon Point, ed era accaduto nella stessa settimana.
Non poteva essere solo una coincidenza.