26
Anchorage, Alaska – giovedì, ore 1.00
Preparandosi per quello che avrebbe potuto trovare Amarok strisciò verso il retro dello stabilimento, con la figlia di Edna Southwick al seguito. Dopo la truce visione del corpo in decomposizione di Emmett, era sicuro che Bishop fosse stato lì. Poteva ancora essere lì. Nell’edificio non c’erano veicoli, o almeno lui non ne aveva visti, ma ciò non significava nulla. Bishop ed Evelyn potevano trovarsi all’interno della fabbrica.
Lo scenario alternativo – ossia che qualcosa avesse spaventato Bishop e che lui avesse ucciso Evelyn per poi scappare o che l’avesse portata con sé – era un’altra delle possibilità, una possibilità che era troppo sconvolgente da prendere in considerazione.
E la madre di Ada? Dov’era finita?
Usando ancora una volta la sua pistola di servizio, una Glock 22 Gen4, Amarok fece cenno ad Ada di rimanere un po’ più indietro mentre lui si avvicinava alla finestra. Di solito preferiva usare il fucile, che era migliore per il tipo di cose di cui si occupava di solito per lavoro, ma non era adatto per quel caso specifico. Doveva contare su un’arma da fianco. Gli mancava anche Makita. Avvicinarsi al pericolo senza la vista e l’olfatto superiori del suo cane lo faceva sentire leggermente in svantaggio.
Aveva chiamato Phil non appena aveva trovato l’indirizzo dell’allevamento di polli a casa di Edna Southwick e gli aveva chiesto di ritornare ad Anchorage. Se Phil era partito subito lui e Makita sarebbero dovuti arrivare presto. Ma non poteva starsene lì fermo ad aspettare. Se Evelyn era nell’edificio ed era ancora viva non voleva che Bishop ritornasse prima che lui riuscisse a liberarla.
«Vedi qualcosa?» sussurrò Ada mentre Amarok cercava di sbirciare all’interno della stanza.
Anche se la luce era accesa un telo blu copriva la finestra, e rendeva difficile determinare cosa stava succedendo all’interno, sempre se stava succedendo qualcosa. «No.»
«Allora cosa farai?»
Amarok guardò la porta serrata con delle assi. Ci sarebbe voluto troppo tempo per abbatterle ed entrare da dietro. Anche se fosse riuscito a farlo in fretta, cosa impossibile, il rumore avrebbe rivelato la sua presenza.
Entrare attraverso il negozio sarebbe stata una mossa saggia? Rompere dei vetri avrebbe potuto essere una cosa veloce, ma non avrebbe fatto meno rumore.
Forse era aperto. Visto che il cancello aveva un lucchetto, ed era per questo che aveva dovuto scavalcare la recinzione sul retro, dubitava che Bishop avesse lasciato aperto l’edificio, ma valeva la pena tentare.
Fece un gesto ad Ada per intimarle di rimanere in silenzio mentre scivolavano verso una fiancata. Amarok doveva concentrarsi perché non gli sfuggisse qualcosa che avrebbe potuto uccidere uno di loro o entrambi.
Per fortuna, visto che l’interno era illuminato mentre all’esterno c’era buio aveva un leggero vantaggio, nonostante tutte quelle finestre.
Anche se le aveva fatto ben capire di non parlare Ada mormorò: «Il furgone non c’è più.»
«Quale furgone?» le chiese.
«Quello che c’era qui prima… sotto alla tettoia.»
«Era un furgone azzurro di un’impresa di pulizia moquette?»
«No. È stato dipinto di nero con una bomboletta spray.»
Questo non escludeva il furgone dell’impresa di pulizie. Chiunque poteva dipingere un veicolo con dello spray. Questo gli diede la speranza che tutti i pezzi si stessero incastrando mentre sbirciava all’interno del negozio.
«Vedi nessuno?» gli chiese.
«No» sussurrò lui. «C’è un modo per entrare senza dover rompere qualcosa?»
«Sì.» Ada estrasse una chiave dalla tasca.
«Hai una chiave?» gli disse, sorpreso.
«L’ho presa a casa di mia madre.»
La fissò sbalordito. «Volevi entrare da sola?»
«Non lo so. L’ho portata per ogni evenienza.»
Sarebbe potuta finire direttamente tra le braccia di Lyman, e non sarebbe stata per niente una buona cosa. Ma Amarok non disse nulla. Era felice di essersi imbattuto in Ada, lì fuori. Grazie a lei stava finalmente avendo un colpo di fortuna.
Il portone d’ingresso si aprì quasi senza far rumore, nessun scampanellio ad annunciare il loro arrivo. Immaginò che tutto questo, se mai fosse esistito, doveva essere stato disattivato quando l’allevamento di polli era fallito.
«Sai com’è fatta la struttura?» le chiese a bassa voce.
Lei annuì, con occhi guardinghi e sgranati.
La luce proveniente dal corridoio fece in modo che Amarok non dovesse accendere la torcia per vedere l’immondizia ai loro piedi. Non c’era un buon odore lì dentro, ma almeno non sentiva il puzzo nauseante della decomposizione. «Cosa c’è lassù?» Indicò la porta che portava al resto dell’edificio.
«Una cella frigorifera e un bagno sulla destra, invece sulla sinistra c’è una sala del personale con un cucinino.»
Se Bishop ed Evelyn erano lì probabilmente sarebbero stati nella sala del personale, o almeno così pensava finché non vide la pesante catena appesa alla maniglia della cella frigorifera.
Diede una leggera gomitata ad Ada per attirare la sua attenzione e gliela indicò.
Quando lei si rese conto di quello che stava cercando di mostrarle si coprì la bocca e si voltò in quella direzione, ma Amarok scosse la testa. Prima doveva ispezionare il resto dell’edificio.
Per fortuna il posto era piccolo, e non fu un compito difficile. Non trovò Bishop, Evelyn o Edna. Ma dopo aver visto quella sinistra catena appesa alla maniglia della cella e il foro che era stato praticato sulla porta capì che Evelyn non era stata rinchiusa nella sala del personale.
«Se n’è andato» disse Ada.
Sì. Erano arrivati troppo tardi. Bishop non se n’era solo andato, non sarebbe nemmeno tornato. Il posto era stato sgombrato.
«È meglio che tu rimanga qui» le disse mentre si dirigeva verso la cella frigorifera.
Ada si sforzò di deglutire. «Credi che mia madre sia lì dentro?»
«Non so chi o cosa troverò, ma conoscendo Bishop non sarà un bello spettacolo.»
Sul viso di Ada si leggeva la preoccupazione mentre si fermò alla fine del corridoio e si strinse le braccia attorno al corpo mentre Amarok avanzava. Lui cercò di pensare a lei e a quanto sarebbe stata devastata se sua madre fosse morta. Ma poteva esserci anche Evelyn in quella cella. Forse Bishop aveva deciso di vendicarsi per poi mettersi in viaggio. Sarebbe stato molto più facile spostarsi senza qualcuno di cui occuparsi o da tenere in ostaggio, soprattutto una donna che avrebbe partorito fra qualche mese.
Inspirò a fondo e, preparandosi al peggio, sbirciò attraverso il pertugio.
C’era una donna stesa a terra, ma non era Evelyn.
«Chiama un’ambulanza» ringhiò.
«Cosa vedi?» La voce di Ada aumentò assieme al livello del suo panico.
«Credo che sia tua madre.»
«No!» gridò, con la voce rotta dal pianto, e corse dietro di lui.
Amarok cercò di trattenerla. Vedeva un rivolo di sangue che scorreva dalla testa di Edna verso lo scarico al centro della stanza e pensò che fosse troppo tardi. Non voleva che quello fosse l’ultimo ricordo che Ada avrebbe avuto di sua madre. Ma lei si rifiutò di farsi trattenere. Si divincolò dalla stretta e si accasciò subito accanto a Edna.
«Mamma?» gridò, scoppiando a piangere. «Mamma?»
Fu Amarok a chiamare l’ambulanza. Pensò che avrebbe dovuto contattare il medico legale, ma non era un dottore, quindi non avrebbe preso lui quella decisione. Si stava aggrappando alla speranza e, un attimo dopo, fu sollevato per non aver del tutto accettato la morte di Edna, perché quando la donna gemette cambiò tutto.
Tra Anchorage e Fairbanks, Alaska – giovedì, ore 1.30
Lyman Bishop si disse che quello che era successo ad Anchorage non aveva importanza. Si rifiutava anche solo di pensarci. Lasciarsi il passato alle spalle e anche tutto quello che lo turbava, questo era il suo motto. Comunque aveva fatto bene ad andarsene dalla fabbrica e tagliare i ponti con ciò che riguardava Emmett Virtanen. Adesso che se n’era andato ed era lontano da quel corpo in decomposizione nel pollaio, dai cani, che non sapeva come curare a parte dargli cibo e acqua, e non doveva più preoccuparsi di una padrona di casa ficcanaso, di sua figlia o della polizia che gli stavano col fiato sul collo come avvoltoi, si sentiva più felice di quanto non lo fosse stato da giorni.
Era libero! E anche se aveva dovuto trascorrere tre ore e spendere un bel po’ di soldi nella parte peggiore di Anchorage per procurarsi una pistola semiautomatica non registrata prima di partire, ne era valsa la pena. Adesso sarebbe riuscito a controllare Evelyn se si fosse svegliata prima del previsto.
Diede un’occhiata alla pistola posata sul sedile del passeggero, dove poteva afferrarla con facilità. Aveva molte ragioni per sentirsi fiducioso e sollevato. Ma non sapeva dove stava andando. Non aveva ancora la casa a Fairbanks. La società immobiliare gli aveva detto che stavano sbrigando le pratiche, magari andare lì avrebbe accelerato il tutto. Se si fosse presentato in ufficio l’indomani mattina e gli avesse dimostrato quant’era educato, colto e affidabile, forse avrebbe fatto la differenza.
Quel tipo di approccio aveva già funzionato. Aveva avuto parecchio successo in passato, era uno dei vantaggi dell’apparire assolutamente normale, innocuo e comune, quindi era questo il suo nuovo piano. L’unico problema era che non sapeva cosa avrebbe fatto con Evelyn mentre lui andava in ufficio e sbrigava altre commissioni per assicurarsi che avessero tutto il necessario. Non poteva drogarla di nuovo. Ormai se ne sarebbe accorta e probabilmente si sarebbe rifiutata di mangiare, anche per il bene del bambino.
Ma poteva tenerla legata e imbavagliata per uno o due giorni. Anche se pensava che nemmeno quello fosse un bene per una donna nel suo stato, non aveva molte altre opzioni.
Basta rimuginare sulle cose negative. Non aiuta, mai. Doveva rimanere ottimista. Doveva andare avanti a testa alta. Quella era la sua possibilità per ricominciare, per la prima volta in vita sua avrebbe avuto una compagna degna di lui.
Si voltò per guardare il retro del furgone. Era da tanto che non stava con una donna. Aveva sempre avuto una libido forte, dall’emorragia gli era mancato il sesso più di qualsiasi altra cosa, quindi aveva passato molto tempo a pensarci, a volerlo, a desiderarlo con tutto se stesso. Ed Evelyn era ancora incosciente, del tutto inerme. Se avesse agito in quel momento non avrebbe dovuto preoccuparsi di contrastare qualsiasi tipo di resistenza. Doveva anche riuscire a vivere Evelyn come una persona a tutto tondo, vedere l’intelligenza nei suoi occhi quando lo guardava… un’opportunità che non avrebbe avuto a lungo.
Controllò gli specchietti. Non c’era nessuno per la strada. A Fairbanks non c’era niente e nessuno ad attenderlo. E se si fosse svegliata? Aveva la pistola. Poteva semplicemente puntargliela alla tempia e ordinarle di rimanere ferma.
Con tutte quelle cose in suo favore perché non fermarsi e consumare la relazione con la madre del figlio che a breve avrebbe fatto suo?
Anchorage, Alaska – giovedì, ore 1.40
Makita continuava a strofinarsi contro la gamba di Amarok per dimostrargli quanto fosse contento che fossero di nuovo insieme. Lui era altrettanto sollevato. Non era abituato a stare senza il suo cane. Ma era troppo concentrato sul salvare Evelyn per dare piena attenzione a Makita. Prima che arrivassero i paramedici Edna era rinvenuta abbastanza a lungo per dirgli in un sussurro roco e incrinato che probabilmente Bishop aveva portato Evelyn a Fairbanks. A quanto sembrava gli aveva sentito dire che stava cercando di affittare una casa lì o qualcosa del genere.
Era difficile comprenderla, e lei era troppo malconcia per fornire altre informazioni. Amarok non sapeva se anche Evelyn fosse stata malmenata o se portava ancora in grembo la bambina… sapeva solo che era viva.
Desiderò aver ottenuto qualche altro dettaglio, per esempio da quanto tempo Bishop se n’era andato con Evelyn o qualcosa sulla casa che stava per affittare. Ogni dettaglio poteva aiutarlo a restringere il campo di ricerca. A quel punto non poteva nemmeno escludere un condominio, una bifamiliare o una casa a un piano con molto terreno.
Fairbanks distava cinquecento chilometri. E non era piccola come Hilltop. Bishop poteva tranquillamente mimetizzarsi laggiù e Amarok avrebbe faticato a trovarlo, soprattutto se Bishop non usava il suo vero nome, e non era così stupido da farlo.
«Mamma, per favore rilassati» sentì dire ad Ada mentre lui, Makita e Phil superavano i paramedici, che stavano caricando la donna nell’ambulanza. Erano sopraggiunti nel viale dopo aver usato un paio di tronchesi per entrare nella proprietà, ed Edna aveva ripreso di nuovo conoscenza adesso che la stavano trasportando, continuava a bofonchiare cose incoerenti e piangeva. «Non cercare più di parlare. Andrà tutto bene» aggiunse Ada.
Edna aveva lividi attorno al collo. Nessuno aveva detto qualcosa, ma era chiaro che Bishop l’aveva strangolata e l’aveva lasciata a morire. Era un miracolo che fosse sopravvissuta, soprattutto alla sua età, perché aveva anche una ferita alla testa che sanguinava ancora. Se non l’avessero trovata in quel momento chissà cosa sarebbe potuto succedere. Amarok ammirava sua figlia per essere andata a cercarla, nonostante il rischio. Ada era una combattente. Gli ricordava Evelyn.
«C’è un cadavere in uno dei pollai sul retro… quello alla fine della proprietà» disse a Phil, che lo stava accompagnando al suo furgone. «La polizia di Anchorage arriverà a momenti. E anche il medico legale. Rimani per parlare con loro. Poi puoi andare a casa.»
«E tu dove vai?»
«A Fairbanks.»
«Adesso? È notte fonda! E ci vogliono più di sei ore.»
Avevano raggiunto il furgone. Amarok aprì la portiera e Makita salì nell’abitacolo. «Supponendo che Bishop abbia aspettato che fosse buio o quasi buio per partire ha un vantaggio di due o tre ore. Forse di più, se non ha aspettato il buio.» Si sedette al posto di guida. «Se aspettiamo sarà sempre più difficile trovarlo.»
«Non sarà facile neanche adesso» disse Phil, con una mano sulla portiera aperta. «In caso te lo sia dimenticato Fairbanks è una grande città.»
Certamente non per il resto del mondo, ma per loro sì. «Non ci saranno così tante case in affitto.»
«Potrebbero essercene molte più di quanto pensi, soprattutto se si riferiva all’area di Fairbanks e non solo alla città. O magari ha parlato di Fairbanks ma nel frattempo ha cambiato idea. È anche possibile che la signora non ricordasse bene quando ti ha dato l’informazione. Ha una brutta ferita alla testa.»
«Sono arrivato fino a questo punto. Non posso perdere Evelyn adesso.»
«Ma senza altri indizi girerai a vuoto.»
«Devo cominciare a cercare.»
«Come?»
«Andrò a ogni casa in affitto finché non troverò il furgone.»
«E nel caso in cui se ne fosse già sbarazzato?»
«Ha Evelyn con sé. Finché non trova un altro posto dove metterla dubito che avrà l’agilità per fare molto.»
«Potrebbe lasciarla nel furgone mentre va a rubare un’altra macchina, e poi tornare a riprenderla.»
Amarok inserì la chiave. «Non sa che sono al corrente del furgone. Perché dovrebbe rischiare di farsi prendere per cercare di rubarne un altro? Forse non ne è neanche capace. È stato il tizio morto nel pollaio a rubare il furgone, ricordi?»
Phil trattenne uno sbadiglio. «Come fai a sapere chi ha rubato il furgone?»
«Be’, non è stato Bishop. Era ancora a Beacon Point quando Evelyn è stata rapita.»
Phil assunse un’espressione imbarazzata. «Oh, giusto.»
«E Bishop credeva che la donna anziana fosse morta quando se n’è andato da qui, quindi non sa nemmeno che so dove sta andando. Non ha motivo di cambiare idea.»
Phil si grattò il collo. «Vero. Sono così stanco da essere stordito. Non so come fai ancora a ragionare.»
Amarok pensò a Evelyn e a quello che rappresentava per lui. Avrebbe dato tutto per lei e per la loro bambina, anche la sua stessa vita. «Quando succede qualcosa alla persona che ami fai quello che devi fare» disse, e richiuse la portiera.
Tra Anchorage e Fairbanks, Alaska – giovedì, ore 1.45
Evelyn sentì che il furgone si fermava e si irrigidì. Erano già a Fairbanks? Erano ripartiti solo da pochi minuti. Ma avevano lasciato la statale. Era riuscita a capirlo perché le gomme facevano un rumore diverso. Ruotavano su terra e sassi, non sull’asfalto.
Forse Bishop si era fermato a prendere delle chiavi o altro. Evelyn aveva perso la concezione del tempo. Comunque sembrava fosse passato un bel po’ da quando Bishop si era lamentato di come fosse difficile affittare una casa di quei tempi. La società immobiliare alla quale si era rivolto doveva avergli dato una mano.
Almeno l’attesa era finita. Per quanto fosse terrorizzata per quello che stava per succedere, era anche ansiosa di farla finita, di riunirsi finalmente ad Amarok, se possibile.
La portiera del guidatore scricchiolò come prima e, ancora una volta, nell’abitacolo si accese la luce. Era così spaventata da quello che la aspettava che cominciò a sudare e a tremare. Il ricordo di quando aveva accoltellato Emmett riaffiorava, anche se cercava di non pensarci, facendole schizzare l’adrenalina alle stelle troppo presto. Non riusciva nemmeno a tenere ben chiusi gli occhi e temeva che Bishop avrebbe notato quanto si stesse sforzando per non aprirli.
La stava guardando? Ci stava mettendo un po’ a scendere. Moriva dalla voglia di sapere perché.
Cosa stava facendo? Dopo averlo sentito rovistare nel sedile del passeggero Evelyn sentì il profumo di un’acqua di colonia scadente. Bishop se n’era messa così tanta che Evelyn stava quasi per soffocare.
Si stava preparando per qualcosa. Ma cosa? Fuori era ancora buio. Di sicuro non doveva incontrare qualcuno in piena notte…
Ripiegò le unghie nel palmo, in attesa di vedere cosa sarebbe successo.
Bishop richiuse la portiera sul lato del guidatore, ma piano, come se avesse paura di svegliarla, e proprio quando pensò che si fosse allontanato e stava per sollevarsi sulle ginocchia per guardare attraverso il parabrezza – pensando di riuscire a uscire dal furgone mentre lui non c’era e sgattaiolare via senza doverlo affrontare – lo sentì aprire la portiera posteriore.
Stava andando a prenderla.
Odiava avere ancora addosso il bavaglio. Riusciva a malapena a respirare, cominciava a mancarle l’aria ancora prima di dover agire. Ma senza il bavaglio Bishop avrebbe capito subito che qualcosa non andava.
Calma. Se non vuoi che stanotte ti infilzi un punteruolo da ghiaccio nelle orbite e ti rimesti il cervello devi giocartela bene.
Aveva anche bisogno di un po’ di fortuna e molto sangue freddo. Teneva il cacciavite nella mano destra, lo nascondeva dietro di sé come se avesse ancora i polsi legati, ed era riuscita a posizionarsi un po’ meglio. Adesso era stesa orizzontalmente su un lato, come se il movimento del furgone l’avesse spostata. Sollevarsi da una posizione prona e nelle sue condizioni non era una cosa facile, naturalmente, ma l’aveva già fatto con Emmett.
Se solo avesse avuto una mira altrettanto buona…
Almeno aveva un’arma più solida.
Ma era anche più leggera e spessa. Avrebbe dovuto impiegare tutta la forza che aveva per conficcarglielo in corpo.
«Evelyn?» Il tono di Bishop non era autoritario. Non stava cercando di svegliarla; stava cercando di capire se stesse dormendo.
Lei non reagì. Doveva farlo avvicinare di più, farlo concentrare su come farla uscire dal furgone con le sue sole forze. Solo allora avrebbe avuto la possibilità di accoltellarlo, dargli un calcio, strisciare fino alla parte anteriore del furgone e partire, lasciandolo sulla strada.
Meritava di dissanguarsi proprio lì; in realtà si meritava di peggio, e lei non aveva scrupoli, non quando stava rischiando la sua vita e quella di sua figlia.
Ma Bishop non cercò di farla uscire per portarla all’interno della casa dove sarebbero stati da quel momento in poi.
Sentì la fibbia che tintinnava mentre si slacciava i pantaloni.
Poi cominciò a infilarsi accanto a lei.