28
Tra Anchorage e Fairbanks, Alaska – giovedì, ore 2.33
Il gusto metallico del sangue riempiva la bocca di Evelyn.
Aveva lasciato cadere il martello e aveva smesso di combattere un attimo dopo che Bishop le aveva puntato una pistola in faccia, urlandole che le avrebbe sparato se non fosse stata zitta e ferma. Ma era così irritato dal fatto che l’avesse accoltellato, così furioso che avesse cercato di scappare dopo tutto quello che aveva fatto perché potessero stare insieme, come diceva lui, che aveva perso il controllo. Legarle di nuovo mani e piedi non era sufficiente. L’aveva schiaffeggiata parecchie volte con la mano sinistra per poi usare la pistola nella mano destra per sferrarle un colpo ancora più violento, ed era per questo che il sangue le colava dal naso fin nella bocca.
Sanguinava anche lui, anche se non era riuscita ad accoltellarlo in profondità. Aveva la camicia inzuppata, e la chiazza rossa sui pantaloni si ingrandiva sempre di più. Lo vedeva bene adesso che stava sorgendo il sole.
«Se non riesco a sistemare le cose… se devo rischiare di essere preso perché devo andare in ospedale, ti uccido prima di andarmene!» ansimò, sollevando la camicia per dare un’occhiata alla ferita. «Sarei stato così buono con te. Ma tu non mi vieni incontro.»
Trasalì nel vedere quello squarcio sulla sua pancia morbida e bianca.
Si curò mentre Evelyn cercava di riprendersi. Qualunque farmaco le avesse somministrato la sera precedente con la cena aveva finito il suo effetto, ma sentiva ancora la testa intontita per i postumi, per quello che gli aveva visto fare a Edna, per la mancanza di sonno e per le percosse.
«Stavi… cercando… di stuprarmi» puntualizzò lei, parlando nonostante il labbro gonfio. Sperava che facendo appello alla logica Bishop avrebbe ragionato, lo avrebbe aiutato a calmarsi. Al di là di tutto era molto più colto della maggior parte degli psicopatici che aveva studiato. Doveva capire cosa l’aveva provocata, no?
«No. Non ti stavo stuprando» ringhiò. «Stavo facendo l’amore con te. Imparerai presto qual è la differenza.»
Quindi era così che lui razionalizzava la cosa. Stava per dirglielo ad alta voce ma si trattenne. Non voleva provocarlo ulteriormente.
«Cos’hai da dire su questo, saputella?» le chiese.
A quanto sembrava aveva capito che Evelyn aveva la risposta pronta sulla punta della lingua.
«Non sei così intelligente» sbraitò lui quando Evelyn rimase in silenzio.
Per quanto fosse colto non sembrava avere più di otto anni. Ma Evelyn aveva visto spesso quel tipo di cose nei suoi studi: uomini e donne arrestati a uno stadio di sviluppo precoce per via di un grave trauma emotivo. Essendo stato abbandonato da sua madre, che aveva preferito il nuovo marito ai figli, Bishop aveva sopportato qualcosa di molto doloroso. Fra tutti i posti possibili era stato abbandonato al centro commerciale con Beth, che all’epoca aveva solo dieci anni. E quando alla fine erano riusciti ad arrivare a casa con un autobus? L’avevano trovata vuota, completamente sgombra. Sua madre aveva lasciato non solo la città, ma anche lo stato, senza dare ai figli la possibilità di trovarla.
Ovviamente questo non scusava quello che era diventato. Molte persone subivano abbandoni e violenze senza diventare serial killer. Ma visto che sua madre era stata una delle sue prime vittime Evelyn era sicura che quell’infanzia gli avesse distorto la mente. Se non avesse subìto certe cose forse non sarebbe diventato quello che era.
«Non mi prometti che d’ora in avanti ti comporterai bene? Che non cercherai di scappare?» la schermì. «Be’, non preoccuparti. Adesso so che sei una bugiarda, proprio come mia madre. Non sai amare. Non posso fidarmi di te.»
Evelyn cercò delle parole per calmarlo. Non gli aveva fatto promesse; ogni promessa che lui ricordava era frutto della sua immaginazione. Ma sembrava riscrivere il copione a suo piacimento.
Eppure Evelyn doveva comunque fare qualcosa per guadagnare tempo, giusto? Non aveva più forze con cui combattere.
E d’altronde a che pro continuare a opporsi? Aveva già fatto del proprio meglio. A cosa sarebbero servite una o due ore in più? Amarok non sarebbe riuscito a trovarla tanto presto. Erano in mezzo al nulla, e Bishop le avrebbe fatto una lobotomia transorbitale prima di rimettersi in strada.
Una parte di lei avrebbe preferito farsi sparare anziché permettergli di rovistare nel suo cervello, ma l’improvviso pensiero che al di là di quello che sarebbe successo a lei, per qualche sorta di miracolo la sua bambina sopravvivesse e un giorno potesse essere salvata se solo fosse riuscita a portare a termine la gravidanza, la trattenne dal diventare troppo imprudente.
Poteva scegliere per se stessa di morire pur di non vivere con Bishop, ma non poteva compiere quella scelta per sua figlia.
Si sforzò di parlare nonostante le facesse male la gola. «Sbrigati… e basta. Magari se non ho più il mio cervello non mi verrà voglia di vomitare ogni volta che mi toccherai.»
Lui sbatté le palpebre, chiaramente scioccato da quelle parole al vetriolo. «Sei disgustosa! La peggior specie di puttana!» le gridò, e scomparve per parecchi secondi.
Evelyn chiuse gli occhi mentre lo sentiva frugare nel portaoggetti. Voleva che il suo ultimo pensiero fosse rivolto ad Amarok, ricordare l’amore e l’appagamento che le aveva dato.
Quando Bishop tornò con il rompighiaccio Evelyn desiderò potersi toccare la pancia nel tentativo di rassicurare sua figlia in qualche modo. O dirle addio. «Mi prometti una cosa?» gli chiese in tono piatto.
Sorpreso dalla calma nella sua voce Bishop esitò. «Cosa?»
«Se io non ce la faccio proverai a salvare la mia bambina?»
La fulminò con lo sguardo. «Certo. Anch’io voglio che viva» le rispose, burbero.
Il furgone oscillò quando ci salì, e il terrore che Evelyn credeva di aver sconfitto ricomparve. «Non mi stordisci?»
«Con cosa? Con il martello che hai cercato di usare contro di me? Quello potrebbe fare ancora più danni, che non so controllare altrettanto bene.»
«Cosa mi hai dato prima?»
«Dei sonniferi che ho preso da Beacon Point, quelli che mi davano ogni sera. Ma ci vorrebbe troppo perché facciano effetto. Mi servono solo pochi minuti.» Le si mise cavalcioni, premurandosi di sedersi sul suo petto e non sul bambino, come se le stesse facendo un grande favore prestando così tanta attenzione.
Evelyn pensò di farlo cadere a terra. Ma lui avrebbe ripreso a picchiarla, e se fosse diventato troppo aggressivo non sarebbe sopravvissuta. Quindi nemmeno la bambina.
Le lacrime le scorsero tra i capelli accanto alle tempie quando vide la punta del rompighiaccio che le andava incontro. E, anche se si era ripromessa di non farlo, non poté fare a meno di gridare.
Tra Anchorage e Fairbanks, Alaska – giovedì, ore 2.43
Amarok non ebbe il tempo di escogitare qualcosa che potesse attirare Bishop lontano dal furgone o che lo aiutasse a recuperare Evelyn senza uno scontro pericoloso. Aveva appena raggiunto l’area dov’era parcheggiato il furgone quando vide Bishop salire sul retro e sentì Evelyn gridare.
La stava violentando? Uccidendo? Stava facendo del male alla loro bambina?
Fece un cenno con la mano a Makita per dirgli di rimanere indietro.
Il cane obbedì mentre Amarok usciva di corsa dagli alberi tra i quali si era riparato. Non aveva un piano. Non c’era il tempo per organizzare niente. Poté solo dare una botta alla fiancata del veicolo per spaventare Bishop e magari distrarlo da Evelyn.
«Vieni fuori con le mani in alto!» gridò, il fucile sollevato sulla spalla mentre faceva il giro del furgone per guardare all’interno delle portiere aperte sul retro.
Come previsto Evelyn era lì. Viva, ma legata e sanguinante.
Bishop le afferrò i capelli e la fece alzare mentre Amarok si spostava verso il paraurti posteriore. «Se ti avvicini ancora le faccio saltare le cervella» lo avvertì, puntandole una pistola alla tempia con l’altra mano.
Amarok serrò gli occhi, finché non vide altro che il bersaglio. Sarebbe riuscito a sparare a Bishop prima che lui premesse il grilletto?
Era tentato. Voleva a tutti i costi raggiungere Evelyn, salvarla. Sembrava spaventata a morte. Il sangue le colava dall’occhio destro, dal naso e dalla bocca.
«È tutto finito» disse a Bishop. «Anche se le spari non te ne andrai da qui, quindi non ha senso.»
«Il senso che mi serve è assicurarmi che tu non abbia Evelyn, che lei avrà quello che si merita» gli rispose. «Ha distrutto la mia vita, mi ha tolto tutto quello a cui tenevo. Adesso abbassa il fucile. Se sei fortunato sparo solo a te e me ne vado con lei.»
Amarok sarebbe riuscito a eliminarlo?
No. Bishop era preparato a questo, stava usando Evelyn come uno scudo. E anche se non fosse stato dietro di lei non c’era alcuna garanzia che non avrebbero sparato simultaneamente.
Amarok non poteva correre il rischio.
«Non te lo chiederò un’altra volta» lo minacciò Bishop.
La mente di Amarok funzionava a mille mentre abbassava lentamente l’arma a terra.
«No!» gridò Evelyn mentre Bishop puntava la pistola contro Amarok. Ma Amarok non si era disarmato del tutto. Doveva solo assicurarsi che Bishop non premesse il grilletto mentre puntava la pistola contro Evelyn.
Con un fischio veloce Amarok richiamò il cane, e Makita sbucò fuori dagli alberi. Il suo ringhio era profondo e minaccioso e la macchia confusa del pelo attirò l’attenzione di Bishop, sorprendendolo.
Bishop arretrò… e sparò. Amarok sentì un bruciore lancinante alla spalla mentre quel rimbombo acuto riecheggiava attraverso la foresta, ma Bishop non avrebbe avuto la possibilità di sparare di nuovo. Makita lo aveva già trascinato fuori dal furgone e lo tratteneva per il braccio mentre rotolavano nella terra.
Addestrato a non mollare la presa il malamute lo teneva stretto con tutta la forza possibile.
Bishop lasciò cadere la pistola perché non riusciva più a trattenerla e gridò mentre Amarok impartiva un altro comando a Makita. Poi il cane gli lasciò il braccio, e si scagliò contro la sua gola.
«Bravo» disse Amarok, incoraggiando Makita mentre riusciva a riprendere il fucile e a trascinarlo verso il furgone.
«Richiamalo!» piagnucolò Bishop. «Per favore, mi ucciderà. Richiamalo!»
Amarok fischiò per far fermare Makita. Ma nell’attimo in cui il cane si ritrasse Bishop afferrò la pistola che era caduta assieme a lui dal furgone.
No…
Amarok puntò la canna della pistola dritta al cuore di Bishop, sempre che ne avesse uno, fece una smorfia per il dolore lancinante alla spalla e in qualche modo riuscì a premere il grilletto.
Tra Anchorage e Fairbanks, Alaska – giovedì, ore 2.47
Evelyn non riusciva a credere che fosse finita. Amarok era sbucato dal nulla e aveva messo la parola fine a tutto. Bishop le aveva appena graffiato la palpebra con il punteruolo, e solo perché aveva sussultato quando aveva sentito Amarok sbattere contro la parete del furgone. Non aveva avuto il tempo di conficcarlo all’interno del fine osso dell’orbita per raggiungere il cervello.
Evelyn stava bene, si sarebbe ripresa. Ma non sapeva se poteva dire lo stesso della bambina. Non sentiva alcun movimento. Niente calci né colpetti. Nemmeno un fremito. Il trauma che aveva subìto poteva essere stato troppo per la bambina.
«Stai bene?» Amarok usò la mano sana per slegarla.
Lei guardò Bishop, steso su un fianco, che fissava con sguardo vitreo sotto il veicolo.
«Non guardarlo» disse Amarok. «Guarda me.»
Evelyn non riuscì a trattenere le lacrime mentre le corde alle mani e ai piedi si scioglievano. Si disse che non c’era motivo di piangere, ma non poteva farne a meno. Il sollievo era così profondo. «Come mi hai trovata?» gli chiese, asciugandosi il sangue dal naso e dalla bocca.
Lui non si prese il tempo per rispondere, si limitò ad allungare una mano per stringerla a sé.
Evelyn gli si addossò al petto, purtroppo consapevole che Amarok aveva ricevuto un proiettile, grata per la mano forte che le sorreggeva la nuca mentre crollava e piangeva.
«Cosa ti ha fatto?» le chiese dopo un po’.
«Ti racconterò tutto» gli disse. «Ma non adesso. Dobbiamo portarti in ospedale.»
«Me la caverò» insistette lui, ma gli sembrava di non riuscire più a muovere il braccio destro, e di essere sul punto di svenire.
«Dov’è il tuo furgone?»
Amarok la lasciò andare, si accasciò sul paraurti del furgone di Bishop e mise la testa tra le ginocchia. «Quattrocento metri lungo la strada. Dammi un minuto. Non riesco ancora a camminare fin lì.» Inspirò a fondo. «Mi sembra impossibile che tu sia salva. Che ti ho di nuovo con me.»
Quando Amarok le guardò il pancione lei capì cosa voleva sapere ma sapeva anche che aveva paura di chiederlo. «Non so dirti niente della bambina» gli disse. «Solo che Bishop non è riuscito a violentarmi, o… a farmi del male.»
«Ma…»
A quanto sembrava Amarok riusciva a sentire l’esitazione nella sua voce. «Ma negli ultimi due giorni non ho sentito alcun movimento. Bishop mi ha trascinata sia per farmi uscire dalla cella frigorifera che per farmi entrare nel furgone. Non so che effetto possa aver avuto sulla bambina.»
«Ti portiamo da un dottore» le disse lui, in tono pratico, e in quel momento Evelyn capì che stava cercando di essere forte, di nascondere la preoccupazione per il suo bene.
«Okay, ma prima ci vai tu. Guideremo questo catorcio fino al tuo furgone e poi torneremo a prendere Bishop.»
«I due dell’Ave Maria» scherzò lui. «Andiamo.»
Evelyn sentì il naso umido di Makita contro la mano e si concesse un minuto per dargli una bella grattatina dietro alle orecchie. «Vuoi dire tre. Senza Makita non ce l’avremmo mai fatta.»
Amarok fischiò e il cane balzò sul retro del furgone. Evelyn vide Makita che gli leccava il viso mentre Amarok si appoggiava contro la fiancata interna.
Lei chiuse le portiere, con un sorriso. Poi si mise al volante e, prestando attenzione a non colpire il corpo di Bishop, guidò verso il furgone di Amarok e poi fino ad Anchorage.
Hilltop, Alaska – venerdì, ore 16.30
Evelyn sentiva la pelle morbida e i muscoli del corpo nudo di Amarok contro il suo e si rifiutò di aprire gli occhi. Avevano trascorso tutto il giorno precedente all’ospedale, a farsi medicare e a rassicurare amici e familiari, quindi adesso si stava godendo quel tempo a casa con lui, da soli.
Non voleva muoversi per paura di svegliarlo. Non era da lui cincischiare, non in pieno giorno. Quando non lavorava aveva sempre qualche progetto in mente. Era già una scocciatura che Phil avesse chiamato ogni paio d’ore per riferirgli varie cose: che la polizia di Fairbanks non solo aveva ritrovato il corpo di Bishop e l’aveva inviato al medico legale, ma aveva anche sequestrato il suo furgone. Che il cadavere che Amarok aveva scoperto alla fabbrica di uova era in effetti quello di Emmett Virtanen. Che Edna Southwick ce l’avrebbe fatta. E che sua figlia aveva chiamato per dire che era sollevata per il fatto che anche Evelyn fosse salva.
Evelyn non sapeva quanto ci sarebbe voluto prima che Phil o qualcun altro chiamasse di nuovo e aveva intenzione di godersi quei pochi minuti di tranquillità.
«Ehi» le mormorò Amarok, baciandole la nuca.
A quanto pareva Evelyn non doveva preoccuparsi di svegliarlo. Era già sveglio e aveva notato la sottile differenza nel respiro della sua donna o qualcos’altro che gli indicasse che anche lei era sveglia. «Ehi.»
«Stai bene?»
«Sì. Ma non sono ancora pronta per muovermi.»
«Nemmeno io. Mi piace troppo stare così.»
«Come va il braccio?»
«Comincia a farmi male. Dovrei prendere un altro antidolorifico.»
«Oh no! Io ero qui a pensare di tenerti a letto con me il più possibile e tu hai bisogno di qualcosa.» Cominciò a rotolare sul letto per andare a prendere le pillole ma lui la fermò.
«Non andartene. Non mi fa così tanto male. Posso resistere qualche altro minuto.»
Amarok si stese sulla schiena e la trascinò con sé.
«Essere a casa mi sembra un sogno. Non pensavo di rivedere questo posto, di tornare da te» gli disse.
«Mmm.» Lui si concesse di chiudere gli occhi. «Non avrei permesso che succedesse. Avrei inseguito Bishop fino in capo al mondo.»
«L’hai fatto. Fairbanks non è vicina ai confini del mondo?»
«Ci manca poco.»
Evelyn sentiva il sorriso nella sua voce mentre le passava le dita tra i capelli.
«Ci sposiamo ancora?» le chiese.
«Perché non dovremmo?»
Amarok si adombrò. «Per tutto quello che hai passato. Forse hai bisogno di un po’ più di tempo.»
«Se aspettiamo ancora la bambina nascerà.»
Avevano fatto un’ecografia all’ospedale il giorno prima, e il dottore le aveva detto che la bambina stava bene. Ovviamente non ne sarebbero stati sicuri finché non fosse nata, ma la loro bambina sembrava aver superato quella disavventura meglio di Evelyn. «Potremmo rimandare di sei mesi o un altro anno.»
«Vuoi aspettare?» gli chiese, sorpresa.
«Non ho mai voluto aspettare» le rispose. «Sto cercando di pensare a te.»
Lei si puntellò sui gomiti per guardarlo in viso. «Allora non cambieremo niente, perché voglio sposarti, adesso più che mai.»
Amarok le sorrise mentre lei abbassava la testa per baciarlo, ma il telefono li interruppe.
Per non farlo muovere troppo Evelyn prese il telefono dal comodino e, presumendo che si trattasse ancora di Phil, glielo porse.
«Pronto?» gli sentì dire. «Lewis… Già… Che succede? … Sul serio… Ci credo… Ho sempre pensato che fosse così… È una buona cosa che alla fine abbia vuotato il sacco…»
Evelyn riconobbe il nome del detective, e i due chiacchierarono per qualche minuto, poi Amarok riagganciò.
«Cosa aveva da dirti Lewis?» gli chiese.
«È stata la moglie di Terry a chiamarti, fingendo di essere mia madre.»
«L’ha ammesso?»
«Lewis ha detto che dopo aver scoperto che Bishop aveva ucciso suo fratello è crollata e gli ha raccontato tutto. Credo che lei ed Emmett avessero in mente di fare il doppio gioco con Terry.»
«In che modo?»
«Bridget aveva in mente di prendere la parte di denaro di Terry, così avrebbe potuto lasciarlo.»
«Lui avrebbe avuto da ridire.»
«Ne dubito. Non con Emmett dalla parte di Bridget.»
Evelyn era contenta che fossero riusciti a capire chi l’aveva chiamata spacciandosi per Alistair, ma si morse il labbro mentre ripensava a un’altra delle cose che Amarok aveva appena detto: dopo aver scoperto che Bishop aveva ucciso suo fratello è crollata e gli ha raccontato tutto.
«Che c’è?» chiese Amarok, notando la sua improvvisa reticenza.
Evelyn si mise a sedere, coprendosi con il lenzuolo. «Devo dirti una cosa.»
Lui la guardò preoccupato. «C’è dell’altro?»
Evelyn annuì portandosi i capelli dietro alle orecchie.
Con una smorfia Amarok riuscì a sedersi eretto. «Cosa c’è?»
«Non è stato Bishop a uccidere Emmett.»
«Come fai a saperlo?»
Lei inspirò a fondo. «Perché sono stata io.»
Amarok sgranò gli occhi. «Dici sul serio?»
«Sì.»
«Come?»
Lei scosse la testa. «Non voglio parlarne. È troppo sconvolgente. Ma… credi che dovrei dirlo alla polizia? Ha importanza se ho ucciso io Emmett o se è stato Bishop?»
La osservò per diversi secondi. Poi le accarezzò la guancia. «No.»
Lei gli prese la mano. «Sei sicuro?»
«Sì. Hai fatto solo quello che dovevi fare. E non è necessario che lo sappia qualcun altro.»
Evelyn deglutì, aveva un nodo in gola. «Ti amo.»
«Ti amo anch’io» le disse. «Supereremo questa cosa, proprio come abbiamo superato tutto il resto. Te lo giuro.»
Evelyn tirò su con il naso e si asciugò le lacrime dalle guance. «Lo so.»