18

Anchorage, Alaska – domenica, ore 15.40

«Spero non le dispiaccia se sono passata di qua. Ero nei paraggi, così ho pensato di cogliere l’opportunità per conoscerla.»

Bishop si asciugò il sudore dalla fronte. Aveva sorpreso la padrona di casa, Edna Southwick, con le chiavi in mano. Stava per entrare nel negozio.

O forse stava uscendo…

La guardò attentamente, cercando di determinare da quanto fosse nella proprietà e cosa potesse aver fatto prima che lui arrivasse. Aveva visto qualcosa che avrebbe potuto metterlo in pericolo?

Non credeva. Se fosse così sarebbe stata molto più nervosa. L’aveva incrociata giusto in tempo.

«Mi fa piacere che sia passata» mentì. «Ma è un bene che sia arrivato adesso, altrimenti avrebbe fatto un viaggio a vuoto. La prossima volta spero mi avvertirà.»

«Certo.»

Quando la donna guardò le chiavi che penzolavano ancora dalla serratura, Bishop ebbe l’impressione che sperasse l’avrebbe invitata a entrare, ma non ne aveva alcuna intenzione. Avrebbe dovuto condurla fino alla sala dei dipendenti per farla sedere, perché sarebbe sembrato strano se l’avesse fatta entrare nel negozio solo per farla rimanere in piedi tra l’immondizia che ricopriva il pavimento, e questo significava che avrebbe visto che il congelatore aveva un foro nella porta che Emmett non aveva avuto il permesso di praticare, oltre a una catena e a un lucchetto alla maniglia perché non si potesse aprire.

Bishop non voleva doversi inventare una storia per spiegare quelle cose. Era già abbastanza grave che la donna potesse vedere il suo viso in tv e riconoscerlo se fosse stata denunciata la sua scomparsa e la polizia si fosse fatta in quattro per ritrovarlo.

«Che dice, ha tutto quello che le serve qui?» gli chiese lei rimettendo le chiavi nella borsa. «Non è un luogo troppo isolato, spero.»

Assomigliava all’attrice Betty White: dolce e minuta, con i capelli bianchi e un maglione sopra alla camicia turchese e pantaloni in coordinato, anche se quel giorno faceva parecchio caldo. Era una donna curata. E Bishop la ammirava per questo. Sentiva il suo profumo alla lavanda, cosa che gli riportò alla mente un vago ricordo della nonna. La signora Southwick sembrava innocua come la nonna Henning. Bishop aveva sempre pensato che la sua vita sarebbe stata completamente diversa se la nonna non fosse morta quando lui aveva sei anni.

Ma, a differenza della nonna Henning, Edna aveva lo sguardo furbo. Non credette nemmeno per un secondo che fosse andata lì per conoscerlo. Voleva controllare la proprietà, ecco tutto.

«Ammetto che non è l’ideale» si ritrovò a dirle. «La puzza a volte è un po’ troppa. Ma come ci siamo detti al telefono è solo per tre o quattro mesi. Posso cavarmela.»

«Dove tiene i cani?»

«In uno dei pollai sul retro.»

«Se ha un momento mi piacerebbe proprio vederli.»

Bishop esitò. Voleva che se ne andasse e pensasse agli affari suoi. Emmett aveva pagato l’affitto fino alle successive tre settimane. Ma Lyman sapeva che il miglior modo per assicurarsi di non avere problemi con Edna in futuro era acquietare qualsiasi curiosità, preoccupazione o interesse l’avesse portata fin lì.

«Certo. Ho appena cominciato, quindi ce ne sono pochi. Emmett ha già trovato casa agli altri» disse, trovando una scusa per il fatto che non aveva idea di quanti cani Emmett le avesse detto stava ospitando.

«Sono sorpresa che Emmett se ne sia andato, soprattutto così presto» disse Edna. «Da quello che ho visto si dava un gran da fare a salvare gli animali.»

Bishop, sforzandosi al massimo per minimizzare la zoppia, le fece fare il giro dell’edificio dall’esterno. Dopotutto la porta sul retro era sbarrata, e lei doveva saperlo. «È stata una sorpresa anche per me, ma suo padre è appena morto. È dovuto ritornare nel Montana per aiutare sua madre.»

«Oh, capisco. Allora… non lo sostituirà?»

«No. Adesso che sono qui posso anche rimanere. Non ha idea di quanto sia difficile trovare qualcuno in gamba che ti aiuti.»

«Oh lo so eccome.» Fece una smorfia. «Sono sicura che ha notato in che condizioni il mio ex direttore di stabilimento ha lasciato questo posto. Ho intenzione di assumere qualcuno per dargli una ripulita. In parte è per questo che speravo di incontrarla di persona oggi. So che se lo facessi lei starebbe meglio qui, e mi aiuterebbe anche a vendere la proprietà. Volevo vedere se fosse interessato a occuparsi lei di sistemare il posto, in cambio di una riduzione dell’affitto.»

«Ah… no.»

«Capisco.» Sollevò una mano dalla pelle sottile, su cui risaltava l’azzurro delle vene. «Posso trovare qualcun altro. È solo che non so chi chiamare. Sono stata così sopraffatta da tutte le cose che ci sono da fare quando si perde una persona cara che non sono riuscita a pensare al resto.» Le si inumidirono gli occhi. «Io e Bernie eravamo insieme da cinquantaquattro anni, da quando io ne avevo sedici. Non so più quasi chi sono senza di lui.»

«Mi dispiace per la sua perdita» bofonchiò lui. Era quello che ci si aspettava dicesse, ma non era un tipo empatico. Quella donna pensava di aver avuto una vita difficile? Era tentato di raccontarle quante ne avesse passate lui, cos’aveva fatto sua madre a lui e a Beth, il modo in cui era stato bullizzato a scuola, cosa gli era costata l’emorragia cerebrale. Ma sapeva di non poter divulgare niente su di sé, o comunque niente di vero.

«E poi scoprire che eravamo così indebitati…» Scosse la testa. «Immagino che non avesse il cuore di dirmelo. Non voleva che mi preoccupassi.»

«Dev’essere stato un duro colpo.» Bishop notò del sangue a terra, probabilmente da quando aveva trascinato il corpo di Emmett sul retro, ma adesso era bagnato, grazie alla pioggerella di quella mattina.

Si assicurò di mantenere il contatto visivo con la padrona di casa, per non farglielo notare. Pensava di aver pulito meglio, ma era stato così stanco, e non aveva avuto la possibilità di uscire a controllare il lavoro. Aveva avuto troppa voglia di andare a comprare quello che gli serviva per camuffare il furgone rubato, che sperava Edna non avesse visto parcheggiato sotto alle intricate piante rampicanti che ricoprivano la tettoia.

«Infatti. Ho ereditato questa fabbrica da mio padre. Non avrei dovuto lasciare le redini a qualcun altro. Ma i tempi all’epoca erano diversi. Ci si aspettava che stessi a casa e crescessi i nostri figli, ed è quello che ho fatto. Non mi pento della mia scelta. Amo le mie quattro figlie.»

«Che bello.» Bishop si sforzò di sembrare sincero, ma non era sicuro di riuscirci.

«È solo che ritrovarmi di nuovo nel mondo degli affari dopo così tanto tempo… mi sento come un pesce fuor d’acqua» disse con una risata autoironica.

Era ovvio che soffriva ancora per la morte del marito e la perdita della loro attività. Anzi, era così presa dalla propria personale angoscia da non prestare attenzione alla fabbrica, per fortuna.

«Dubito che avrebbe potuto fare qualcosa per salvare questo posto» le disse in tono piatto.

Quando la donna sollevò di scatto la testa Bishop, si rese conto che il suo commento era sembrato troppo duro, troppo superficiale.

«Non per essere insensibile» aggiunse. «È solo… perché darsi colpe per qualcosa che non era in suo potere? Ecco tutto. Se suo marito ha gestito questo posto per tutto il tempo in cui siete rimasti sposati deve aver fatto un lavoro decente.»

«Oh, non sto dicendo che non l’ha fatto!» replicò lei. «Ha fatto tutto il possibile, naturalmente. Le piccole industrie di allevamento non possono più competere con i colossi. Ecco tutto. Non lo sto biasimando. Vorrei solo essere stata più preparata a vivere senza di lui.»

«E le sue figlie?» Si impose di sembrare interessato. Voleva continuare a farla parlare, a distrarla. Poteva essergli sfuggito qualcosa, come il sangue che aveva notato poco prima, e questo l’avrebbe insospettita. «Non sono mai state interessate all’azienda di famiglia?»

«No. Forse se avessimo avuto un maschio sarebbe stato diverso. Ma le ragazze sono andate tutte all’università in America, e solo una è tornata in Alaska. Adesso è sposata e lavora per un veterinario.»

Il cielo si stava oscurando, prometteva altra pioggia. Bishop sperava che questo avrebbe spinto la signora Southwick ad andarsene prima del previsto. «Magari una delle altre potrebbe tornare.»

«Ne dubito. È troppo dura mantenersi qui, a meno che tu non sia un pilota, uno di quegli scavezzacollo che lavora con il petrolio o un guardiacaccia. L’unica cosa che è rimasta è il turismo, e si sono stancate di questo quando hanno finito il liceo.»

«C’è la clinica veterinaria, giusto?»

«Ada lavora lì perché ama gli animali. Guadagna molto poco, ma le basta. Suo marito è un ginecologo ed è ben avviato.»

I cani, che avevano cominciato ad abbaiare non appena i due avevano fatto il giro dell’edificio, presero a mugolare e a saltare contro le pareti.

Bishop aprì la porta e, prestando attenzione a non farli uscire, la tenne aperta perché la signora Southwick potesse guardare all’interno.

«Ne sono rimasti solo cinque, eh? Come si chiamano?»

Bishop serrò la mascella. Quella donna era un’impicciona. Se non fosse stata attenta sarebbe finita a marcire con Emmett Virtanen nel pollaio vicino alla recinzione, in fondo alla proprietà.

Sciorinò qualche nome comune di cane e disse che non ricordava l’ultimo, semplicemente perché non gliene veniva in mente un quinto.

«Come gli trovate una casa?» gli chiese.

Bishop aveva raggiunto il limite. Non l’avrebbe accontentata oltre. Non era tenuto a farlo. Aveva pagato l’affitto. Quella donna non aveva motivo di infastidirlo. «Signora Southwick, mi spiace, ma ho la spesa in macchina. È possibile parlarne un’altra volta? Dopotutto non pensavo sarebbe passata.»

La donna era perplessa. «Certo. Mi scusi se l’ho disturbata.»

«Nessun problema. È stata inopportuna» ammise «ma sono stato molto ospitale. Non crede?»

«Non credo proprio» bofonchiò lei, e si strinse la borsa al petto mentre si avviava verso la macchina.

«Non può presentarsi qui e aspettarsi che mi vada bene!» le gridò dietro.

Edna si voltò, stupita. «Questa è la mia proprietà!»

«Io le pago l’affitto. Mi merito un po’ di privacy.»

«Peccato che Emmett se ne sia andato. Mi piaceva molto più di lei.»

Quella era la storia della vita di Bishop. Non piaceva a nessuno, e non capiva perché. Aveva il diritto di porre dei limiti, no? Gli altri lo facevano di continuo, e in qualche modo mantenevano i loro amici. Lei lo intralciava, aveva interrotto la sua mattinata senza preavviso… quindi come poteva essere lui quello in torto?

«Ho cercato di essere gentile» le disse seguendola attorno all’edificio.

«Ho passato l’inferno negli ultimi sei mesi. Il minimo che potrebbe fare è concedermi una visita di quindici minuti. Le stavo chiedendo dei cani perché pensavo di adottarne uno. Adesso che Bernie se n’è andato ho bisogno di qualcos’altro nella mia vita. A volte di notte mi sembra di impazzire.» Le si incrinò la voce, cosa che lo portò a dire quello che tutti si aspettano quando qualcuno comincia a piangere.

«Mi dispiace. È solo che sono… impegnato e… e stressato.» Cosa c’era di più stressante di avere un uomo morto nel pollaio sul retro e una vittima di rapimento rinchiusa nella cella frigorifera? Stava facendo una cosa che in pochi si arrischiavano a fare e ancora meno riuscivano a portare a termine, subito dopo essersi ripresi da un grave ictus. «Quando Emmett se n’è andato ho dovuto cambiare i miei piani all’ultimo minuto. E non ho ancora trovato una casa per questi cani, anche se ne ho altri in arrivo…»

Di fronte a quel tono conciliante Edna rallentò. «Certo. Capisco di non essere l’unica ad avere dei problemi.» Sembrava essersi ammorbidita, stava tentando di vedere la situazione dal punto di vista di Lyman. Bishop pensò di avere la possibilità di riparare al danno che aveva fatto.

Poi però la donna calpestò qualcosa, forse un punto soffice o fangoso a terra, che le fece abbassare lo sguardo.

E quando lui seguì il suo sguardo vide cosa stava guardando: c’era del sangue lungo tutto il bordo dei suoi pantaloni turchesi.

Anchorage, Alaska – domenica, ore 16.00

Se Evelyn avesse avuto il minimo sentore che Bishop stava mostrando la proprietà a una persona in visita, qualsiasi indizio, si sarebbe precipitata alla porta. Ma era impegnata a costruire un altro coltello quando sentì un fruscio e la porta si spalancò.

Sorpresa nell’atto di strappare la branda impiegò un secondo per rendersi conto che Bishop non le stava comunque prestando attenzione. Vide solo un guizzo della sua testa calva mentre lei si alzava in piedi con difficoltà, non molto velocemente adesso che era così avanti nella gravidanza, e Lyman che scaraventava una donna anziana lì dentro con lei, per poi richiudere la porta.

Con l’intenzione di salvare entrambe, Evelyn superò di corsa la donna, che sanguinava dal naso e dalla bocca, e si gettò contro la porta. Sperava di raggiungere Bishop prima che la richiudesse, magari metterlo al tappeto, così lei e chiunque fosse quella donna avrebbero forse potuto sovrastarlo, o, quanto meno, superarlo e cercare di fuggire.

Ma fu tutto inutile. Riuscì solo a farsi male a una spalla. Lyman si era ovviamente preparato per quella reazione e aveva richiuso subito la porta.

«Maledizione!» gridò, frustrata.

Un gemito, proveniente dal pavimento dov’era caduta l’altra donna, attirò la sua attenzione e la trattenne dal picchiare i pugni contro la porta.

«Chi è?» le chiese piegandosi per aiutare la sua nuova compagna di cella a raggiungere il letto.

La donna era sulla settantina. Aveva i capelli bianchi e ossa fragili, come quelle di un uccellino, e sembrava frastornata.

Guardò Evelyn, confusa. Poi si portò una mano alla testa. «Cos’è successo?»

«Non lo so» rispose Evelyn. «Speravo fosse in grado di dirmelo lei.»

L’espressione della donna si fece sempre più spaventata mentre si guardava intorno. «Siamo nella cella frigorifera!»

«Sì, ho paura di sì.»

«Ma… perché c’è un letto qui dentro? E un water?»

Evelyn le prese la mano nel tentativo di calmarla. «Sono prigioniera qui da non so quanto tempo. Parecchi giorni.»

Edna sgranò gli occhi. «È stato l’uomo che mi ha aggredita?»

Stava pian piano mettendo insieme i pezzi. «Se si riferisce a Lyman, lo stesso uomo che l’ha appena scaraventata qui, sì.»

«No. Non era Lyman. Non mi sembra di aver mai sentito quel nome. Era… era il mio affittuario. Si chiama…» Probabilmente troppo scioccata e stordita per ricordarlo, non concluse la frase mentre si toccava il naso e allontanava la mano per esaminare il sangue.

«Qual era il nome dell’affittuario?» la incalzò con gentilezza Evelyn.

«John qualcosa» decise l’altra.

Senza dubbio uno pseudonimo. Di sicuro Bishop avrebbe scelto un nome comune. «Mi faccia indovinare… Smith?»

Edna non rispose. «Sono venuta a vedere un cane» spiegò. «E a controllare un altro po’ di cose. Una ditta di fertilizzanti è interessata a comprare il letame accatastato nei pollai. Mi servivano i soldi, e mi avrebbe dato una mano a ripulire questo posto, cosa che ho avuto in mente di fare da quando… da quando…»

Non continuò, fissando di nuovo un altro punto. «Ma non ci sono riuscita, non ho avuto la possibilità di menzionare la ditta di fertilizzanti prima…» Guardò scioccata i suoi pantaloni. «Questo non è sangue mio» disse. «Era tra le erbacce. Ce n’era una pozza. Non appena mi sono resa conto di cosa avevo calpestato lui mi ha colpita.»

L’aveva colpita, ma non l’aveva uccisa. Perché? Ovviamente sapeva troppo, avrebbe potuto denunciare quel sangue, quindi non poteva lasciarla andare.

Ma rinchiuderla con Evelyn? Era una scelta interessante.

Evelyn temeva che avesse in mente di fare pratica con la lobotomia. Forse aveva perso fiducia nella sua capacità di operare dopo l’emorragia cerebrale.

«Come si chiama?» Le chiese.

«Edna Southwick.»

Evelyn bagnò la manica della sua giacca con l’acqua di una delle bottigliette per aiutare Edna a ripulire il sangue sul viso. «Io sono Evelyn Talbot.»

Edna abbassò lo sguardo e sgranò gli occhi. «Sei incinta.» Stava asserendo l’ovvio, ma Evelyn era consapevole che c’erano così tante cose da assorbire.

«Sì.»

«Quanto manca al parto?»

«Tre mesi, se riesco a resistere così tanto.»

L’anziana corrugò la fronte per la preoccupazione. «Non sei terrorizzata? Uscirai di qui in tempo?»

«Non lo so» ammise.

Gli occhi azzurri di Edna fissarono il viso di Evelyn. «Cosa ci succederà?»

Evelyn pensò se dirle chi fosse Lyman Bishop e cos’aveva fatto in passato. Ma Edna Southwick era ferita e spaventata e non le sembrava il caso di peggiorare la situazione. «Faremo il possibile per sopravvivere e tornare dai nostri cari» rispose.

«Non credi che le probabilità siano a nostro favore.»

Le aveva fatto capire in qualche modo cosa provava davvero? Aveva cercato di non farlo.

Evelyn si sedette sulla branda con lei. «Se può esserti di conforto, tu probabilmente hai più possibilità di me.»

«Perché?»

«Perché non sei il suo obiettivo. Ti sei ritrovata involontariamente in mezzo.»

«Obiettivo?» ripeté l’altra. «In cosa mi sono cacciata?»

«In niente di buono» disse Evelyn con un sospiro.