16

Anchorage, Alaska – domenica, ore 11.45

Lyman Bishop sapeva per esperienza quanto avere una disabilità rendesse facile conquistare fiducia e compassione. Lo aveva sperimentato con Beth. Quando viveva con lei, Bishop veniva ammirato ed elogiato perché si prendeva cura della sorella handicappata, soprattutto dai suoi colleghi, visto che non aveva mai avuto molti amici. Essere il tutore di Beth lo aveva fatto sembrare buono, aveva creato una copertura perfetta per quasi tutto quello che voleva fare. E adesso vedeva che il suo stesso handicap – la difficoltà nel camminare e la paresi facciale – sarebbe servito allo stesso scopo.

Bofonchiava qualcosa sull’essere un veterano di guerra con un trauma cranico e la gente gli teneva aperta la porta, gli sorrideva e addirittura si affrettava a prendergli un carrello al supermercato oppure lo faceva passare davanti in fila alla cassa. Eppure non lo vedevano veramente o non gli prestavano particolare attenzione, quindi c’erano pochissime probabilità che si ricordassero di lui, se qualcuno avesse fatto domande sul suo conto. Era solo un’altra delle tante patetiche figure che incontravano mentre sbrigavano le loro faccende quotidiane, qualcuno che non significava nulla, a parte l’autocompiacimento che suscitava in loro l’aver provato a essere carini e la fuggevole gratitudine che sentivano per non essere nella sua stessa situazione.

Sorrise a una ragazza attraente che si affrettò a spostarsi mentre lui spingeva il carrello lungo il reparto frutta e verdura. Gli piacevano il cibo e il vino, si rifiutava di lesinare quando si trattava di queste cose. E adesso che era fuori da Beacon Point e poteva permettersi altro, a parte la brodaglia che gli avevano propinato negli ultimi diciotto mesi, una sbobba che avrebbe fatto schifo perfino ai maiali, voleva godersela fino in fondo. Anche la sua nuova fidanzata doveva nutrirsi bene, visto che era così avanti con la gravidanza.

Il ricordo di come l’aveva trattato Evelyn, quando aveva cercato di parlarle quella mattina, minacciò di rovinargli il buon umore, ma non glielo permise. Non poteva aspettarsi troppo da lei. Non all’inizio. Essere trattenuta contro la sua volontà dopo che aveva potuto fare praticamente tutto quello che voleva doveva rappresentare un terribile shock per lei. Era una donna intelligente e raffinata, e meritava un po’ più di libertà d’azione rispetto a quella che aveva offerto alle sue precedenti “fidanzate”. E poi non aveva idea di come Emmett si fosse comportato con lei. Magari era stato uno zotico. Di sicuro non l’aveva nutrita per bene.

Bishop decise che si sarebbe abituata a lui, avrebbe imparato ad amarlo come lo aveva amato Beth – o almeno a trattarlo come se lo amasse, cosa che per lui era lo stesso – soprattutto quando si sarebbe resa conto che era disposto a premiarla se si fosse comportata bene.

E se si fosse rifiutata di fare la brava?

Finì di riempire il carrello con zucca, cocomero, uva, lattuga, pannocchie e patate e si spostò in cerca del reparto che aveva una piccola sezione di utensili da cucina. Gli serviva un coltello, perché aveva gettato quello che aveva usato per uccidere Terry anziché attirare l’attenzione mettendoselo in valigia quando aveva preso l’aereo. Gli serviva anche un nuovo lucchetto per il cancello e un semplice punteruolo da ghiaccio, del tipo che la gente usava di solito in cucina, quindi doveva comprarne uno.

In uno Stato, dove praticamente tutti avevano una pistola, un punteruolo da ghiaccio non avrebbe stranito la gente più della vista di un uomo di quarantadue anni, alto appena uno e settantacinque, che aveva già perso la maggior parte dei capelli, mostrava un bel po’ di pancia e che era oltretutto zoppo.

Sorrise quando trovò quello che stava cercando. Costava solo 8.99 dollari, un piccolo prezzo da pagare per una piccola assicurazione, soprattutto perché era già ben rifornito di sonniferi.

Visto che controllava il cibo di Evelyn poteva fare in modo che dormisse quando l’avrebbe ritenuto necessario, e poi si sarebbe svegliata molto più malleabile.

Anchorage, Alaska – domenica, ore 11.50

Evelyn adesso conosceva meglio il posto in cui era rinchiusa. Era già qualcosa, no? Forse era un’inezia, ma doveva trovare uno spiraglio di luce in quello che era successo. Non aveva accoltellato Emmett per niente (grazie a Bishop adesso sapeva come si chiamava). Era uscita da quell’angusta prigione abbastanza a lungo da vedere dov’era trattenuta e, di conseguenza, aveva qualche indizio sulla disposizione dell’edificio.

Si rotolò sulla branda e guardò le lisce pareti bianche. Una volta quella era stata una cella frigorifera, come aveva immaginato: la cella frigorifera di un qualche tipo di fabbrica. C’era un’area per i dipendenti; ci si era precipitata mentre cercava una via d’uscita.

Al momento era stata troppo agitata per passare al vaglio quello che vedeva, o comunque non consciamente. Ma adesso che era di nuovo rinchiusa, era determinata a racimolare i ricordi e a cementare nella mente ogni dettaglio. Doveva credere che avrebbe avuto un’altra possibilità di scappare, e poi poteva trarre vantaggio da quello che aveva imparato per evitare di commettere gli stessi errori.

Per esempio, avrebbe dovuto ricordarsi di non andare a destra. Era lì che viveva Emmett, e molto probabilmente anche Bishop si sarebbe sistemato lì adesso che lui non c’era più. Aveva senso, visto che sembrava essere la zona più ospitale.

Aveva intravisto una stanza senza finestre con un grande macchinario, che puzzava terribilmente di uova marce, e un’altra stanza con molte finestre e spazzatura a terra.

No, non era tutta spazzatura, decise, mentre chiudeva gli occhi e lo rivedeva di nuovo. C’erano cartoni di uova. Molti cartoni di uova vuoti. Molto probabilmente quel posto era una fabbrica che produceva uova, decise. E la parte anteriore, con tutte quelle vetrine? Doveva essere il negozio dove le vendevano, come una bancarella che un coltivatore di fragole allestiva sulla sua proprietà.

Più si concentrava a mettere insieme i pezzi di quello che aveva visto per ricavarne un senso, più le sembrava possibile si trattasse di un’azienda agricola con tanto di galline per la produzione di uova. E se era così, forse non si trovava in un luogo troppo isolato. Una fabbrica di uova non si sarebbe trovata in centro città, ma doveva comunque essere abbastanza vicino alla civiltà. Una cella frigorifera di quella grandezza avrebbe contenuto molte uova eppure il piccolo magazzino non era abbastanza ampio da smistare una gran quantità di prodotto, quindi quel tipo di attività richiedeva un metodo di distribuzione, come furgoni che trasportavano casse di uova ad altri punti vendita.

Quindi era probabile che si trovasse nella periferia di un posto molto più grande di Hilltop. Anchorage o Juneau. Ma visto che Anchorage era più vicina a Hilltop, se avesse dovuto scommettere, avrebbe optato per Anchorage. Il Ted Stevens Anchorage International Airport era il più grande e affollato dello stato e avrebbe reso facile a Bishop dare il cambio a Emmett, visto che ovviamente era stato quello il piano.

La cattiva notizia era che non c’erano uova, al momento, in quella cella frigorifera e tutta la spazzatura che aveva visto sul pavimento nel magazzino, assieme a quei cartoni di uova, suggeriva che la fabbrica era abbandonata. Il che significava che non c’era possibilità che arrivasse un cliente benintenzionato o un dipendente, e che accorgendosi di quello che stava succedendo la salvassero.

Premette il palmo contro la fronte. Come poteva aggrapparsi alla speranza quando la situazione era così disperata? Bishop l’aveva presa completamente alla sprovvista, aveva pensato a tutto. Non poteva nemmeno costruire un’altra arma, non adesso che aveva accoltellato Emmett. Bishop avrebbe tenuto gli occhi aperti. E se l’avesse scoperta l’avrebbe punita.

E sapeva anche in che modo l’avrebbe fatto.

Non sarebbe mai uscita di lì. Stava solo fingendo che potesse accadere, sforzandosi di ricordare i dettagli della conformazione dell’edificio per distrarsi da quello che la preoccupava realmente.

Era da un po’ che non sentiva la bambina muoversi.

«Dove sei?» le sussurrò mentre si accarezzava il ventre preoccupata, e sentì una lacrima scivolarle sul viso.

Boston, Massachusetts – domenica, ore 16.30

Lara Talbot dovette prendere una sedia. Per una volta si era sentita così emozionata, così felice. Anche se Brianne non era sposata, come Lara avrebbe preferito, aveva un buon lavoro come direttrice d’ospedale, guadagnava bene e fra due mesi avrebbe compiuto trentotto anni: abbastanza adulta da essere in grado di prendersi cura di un bambino da sola. Parecchi degli amici più credenti di Lara avevano espresso la loro disapprovazione sul fatto che Brianne avrebbe avuto un bambino fuori dal matrimonio, ma Lara aveva deciso di non permettere a questa cosa di rovinare la gioia per l’arrivo del primo nipotino.

Non immaginava che avrebbe avuto problemi ben più importanti di cui preoccuparsi…

«Non di nuovo» disse, mentre le parole di Amarok trafiggevano, come un ago in un palloncino, l’euforia che aveva provato durante il viaggio di ritorno dall’ospedale.

Sapeva che l’improvviso dolore e la paura nella sua voce avevano attirato l’attenzione del marito quando Grant, che stava appendendo le chiavi a un gancio, voltò di scatto la testa per guardarla.

«Che succede, tesoro?» le chiese, avvicinandosi a gran passi verso lo sgabello su cui si era accasciata, accanto alla penisola in granito della cucina. «Non è il bambino, vero? Brianne e il piccolo Caden stanno bene…»

«Non posso rivivere quell’incubo» disse lei semplicemente, e gli porse il telefono, per poi andare subito in camera da letto a prendere gli ansiolitici che teneva nel comodino. Dopo che Evelyn era stata rapita la prima volta, erano diventati un punto fermo nella sua vita, fino agli ultimi diciotto mesi, quando tutto sembrava finalmente andare per il verso giusto.

Percepì che Grant non sapeva se seguirla mentre prendeva in mano il telefono, ma non lo fece, e Lara ne fu felice. Lo sentì dire: «Pronto? Amarok?» proprio mentre lei entrava in camera e chiudeva a chiave la porta.

Hilltop, Alaska – domenica, ore 12.40

La telefonata era stata difficile esattamente come Amarok si era aspettato. Non aveva nemmeno avuto la possibilità di spiegare l’intera situazione a Lara prima che si eclissasse e al telefono si presentasse Grant.

Grant aveva ascoltato in silenzio, non aveva inveito né accusato Amarok di non essere stato abbastanza diligente. Aveva detto a malapena una parola, e Amarok si era sentito in dovere di colmare il silenzio, cosa che aveva fatto con impaccio. Aveva giurato a Grant che stava facendo tutto il possibile per trovare Evelyn e aveva ripetuto tutte le stesse vuote banalità che gli altri avevano detto a lui: che era una donna forte, che aveva già affrontato situazioni difficili in passato e avrebbe superato anche questa, che la bambina sarebbe stata bene.

Ma Grant capiva quanto la situazione potesse precipitare e quali erano le vere speranze. Ci era già passato. Aveva riavuto sua figlia, ma era stato un miracolo. Non si aspettava di avere un’altra volta la stessa fortuna.

«Quello che gli hai detto è vero» disse Phil dopo che Amarok aveva promesso di tenerli informati e aveva riagganciato. «Riporteremo a casa Evelyn sana e salva.»

Amarok si era dimenticato perfino che Phil fosse nella stessa stanza. Distolse lo sguardo dal punto su cui l’aveva fissato, come se i suoi occhi fossero raggi laser e potessero forare la scrivania, e annuì. Non poteva parlarne; sarebbe crollato. Ed era l’ultima cosa che poteva permettersi di fare. Doveva rimanere forte e lucido, per il bene di Evelyn. Per superare tutto questo poteva solo pensare al passo successivo, che includeva un’altra difficile telefonata.

Desiderò che Phil non lo guardasse mentre componeva il numero di sua madre. Ma per quanto preferisse un po’ di privacy non gli avrebbe chiesto di andarsene. Phil gli era stato del tutto fedele e aveva fatto il massimo per tenere al sicuro Hilltop, da quando Amarok lo aveva scelto come agente di pubblica sicurezza. In quel momento stava dimostrando la sua dedizione, facendo tutto il possibile per supportare e dare una mano nell’indagine su Evelyn.

Quando sua madre non rispose subito, l’ansia di Amarok crebbe. Forse Phil aveva ragione e le avevano fatto del male. Anche se non voleva avere niente a che fare con sua madre provava sentimenti molto più complessi di quanto fosse disposto ad ammettere, anche a Evelyn, ed era forse per questo che lei aveva continuato a chiedergli se fosse davvero sicuro di non voler invitare Alistair al loro matrimonio. Evelyn sapeva che doveva essere combattuto a qualche livello; era una professionista della salute mentale. E aveva ragione. La morte di Alistair avrebbe solo complicato maggiormente quello che provava nei suoi confronti.

Stava per riagganciare e chiamare la polizia di Seattle per chiedere di andare a controllare, quando sentì un ansimante «Pronto?» come se Alistair avesse dovuto correre per raggiungere il telefono.

«Alistair?» La conosceva appena, si rifiutava di chiamarla mamma. Le aveva parlato solo qualche volta, da quando Jason l’aveva contattato al loro diciottesimo compleanno, e prima di allora non c’era stata alcuna comunicazione tra loro.

«Benjamin?»

Che lo chiamasse con il nome di battesimo non faceva altro che evidenziare il fatto che si era persa la vita del figlio, non sapeva nemmeno come lo chiamavano gli altri, tanto da poter utilizzare anche lei quel soprannome. «Sì, sono io.»

Adesso che l’aveva sentita, cosa che confermava che era viva, non sapeva cos’altro dire. Non si sentiva a suo agio a dirle “Ti chiamavo solo per assicurarmi che stessi bene”. Così sarebbe sembrato che ci tenesse parecchio, e visto che a lei non era importato abbastanza di lui da rimanere in contatto dopo averlo abbandonato quando aveva solo due anni, Amarok non era disposto a fingere che si potesse dimenticare tutto facilmente.

«Che bello sentirti» gli disse piano.

Lui non poté fare a meno di stizzirsi. Sarebbe stato bello sentire lei mentre cresceva senza una madre, ma non lo disse. «Speravo potessi rispondere a qualche domanda.»

Seguì una breve pausa, durante la quale la sentì irrigidirsi. «Riguarda il passato? Perché speravo potessimo parlarne, di poterti finalmente dire che mi dispiace per quello che ho fatto. Lo so che fatichi a crederci, ma ti volevo bene, e te ne voglio anche adesso.»

Lo dimostrava da schifo, ma dicendolo avrebbe solo ottenuto le scuse che lei aveva cercato di rifilargli in passato, facendolo arrabbiare. Una madre non abbandonava il figlio se aveva la possibilità di scegliere. Punto. «Il passato non c’entra» le disse, ignorando tutto il resto, incluso il tono di supplica nella sua voce.

«Cos’altro potrebbe essere?» Sembrava leggermente confusa. «Stai pensando di venire qui? Perché mi piacerebbe vederti.»

«No. Non ho in programma nessun viaggio.»

«E Boston? Jason mi ha detto che ti sposi il mese prossimo.»

«Io e Evelyn ci dovevamo sposare qui e poi fare una seconda cerimonia a Boston in autunno, dopo la nascita della bambina. Ma…» Gli si serrò la gola, minacciando di strozzare qualsiasi suono.

Deglutì, cercando di scacciare il nodo che stava quasi per soffocarlo. «Ma è successo qualcosa.»

«Cosa? Non dirmi che tu ed Evelyn vi siete lasciati. Da quello che so siete molto innamorati e perfetti l’uno per l’altra. E con una creatura in arrivo…»

A quanto sembrava, Jason stava raccontando alla madre più di quello che Amarok avesse pensato, ma avrebbe dovuto aspettarselo. Jason le era rimasto fedele, proprio come Amarok era rimasto leale a loro padre. «Evelyn è stata rapita.»

Seguì un silenzio scioccato. Poi sua madre disse: «È terribile. Sai chi l’ha presa, dove l’hanno portata o perché è successo?»

«Studia gli psicopatici per lavoro, ecco perché. E credo anche di sapere chi è stato.»

«Non dirmi che Jasper Moore è scappato…»

«No. Lyman Bishop.»

«Il Fabbricante di Zombi?»

Non si era reso conto che lei sapesse il nome che gli avevano affibbiato i media. «Sì. Sai chi è?»

«Seguo tutto quello che ha a che fare con Hilltop perché… Be’, so che probabilmente ti riguarda, in qualche modo.»

Amarok non disse nulla.

«Di recente al telegiornale non hanno parlato della sua fuga» aggiunse lei.

«L’ospedale non ha contattato la polizia, non l’ha detto a nessuno.»

«Perché no? Non sono tenuti a farlo?»

«Senza dubbio speravano di evitare una cattiva pubblicità.»

«Ma quell’uomo è pericoloso!»

«Credo che abbiano scelto di credere che fosse troppo invalido per far del male a qualcuno. Ma uno dei loro dipendenti è stato assassinato, quindi dubito che sia così invalido.»

«Credi sia stato lui?»

«Ha un senso.»

«Allora verranno sommersi dalle critiche.»

«Sì. Se lo scandalo non è già sui giornali, lo sarà presto. Non hai sentito nessuno che non conosci, vero? Magari qualcuno che ha menzionato Evelyn o che ti ha chiesto dove vivevo?»

«Stai parlando di Lyman Bishop? Cosa ti fa credere che cercherebbe di contattarmi?»

«Perché sono quasi sicuro che Evelyn pensasse di incontrarti a casa nostra quand’è stata rapita. Ha scritto il tuo nome e uno strano numero di telefono su un taccuino a Hanover House poco prima di sparire. Non l’hai chiamata, vero?»

«No. Ammetto di averci pensato ogni tanto. Volevo incontrarla, conoscerla… cioè, oltre a quello che ho letto su di lei e che ho visto in tv. Ma avevo paura che ti saresti allontanato ancora di più da me se avessi cercato di chiedere il suo aiuto.»

«Che tipo di aiuto speravi di avere da lei?» le chiese, spiazzato da quell’ammissione. «Lei non è in grado di spiegare perché hai fatto quello che hai fatto.»

Amarok non aveva mai affrontato l’argomento con Alistair di proposito. Sapeva che non avrebbe potuto trovare una scusa che lo soddisfacesse, quindi non ne vedeva il motivo. Ma in quel momento non era in sé, stava tenendo duro a fatica e sapeva che le cose sarebbero potute peggiorare di molto se Evelyn e la sua bambina erano morte.

«Non ho scuse» disse. «Lo ammetto. Volevo andarmene. Mi ricordo solo questo. Non sopportavo il buio e il freddo. Mi sembrava di impazzire. E sapevo che non sarei mai davvero fuggita di lì se non fossi sparita del tutto. Non volevo essere divisa tra due posti, soprattutto se uno dei due era un piccolo avamposto in Alaska. Sono stata egoista. Adesso lo capisco.»

«Sul serio?» Cos’altro poteva dirle?

Evidentemente Alistair non notò il sarcasmo nel suo tono di voce. Continuò semplicemente a parlare.

«Mi giustificavo convincendomi che stavo facendo la cosa giusta per tutti, che mi stavo comportando onestamente con Hank lasciandogli un maschietto e prendendomi l’altro.»

«E che mi dici dei miei sentimenti?» le chiese.

«Avevi solo due anni e adoravi tuo padre. Volevo convincermi che saresti stato felice. Sapevo che Hank sarebbe stato un buon padre…»

«Ero felice. Ma non significa che non avessi bisogno di una madre!» gridò, sconvolgendo se stesso e Phil, che sgranò gli occhi. Amarok non alzava mai la voce.

Phil assunse un’espressione preoccupata. «Forse questo non è il momento migliore per rivangare il passato» mormorò. Sembrava preoccupato eppure esitava a intervenire, ma Amarok sapeva che aveva ragione. Aveva perso il controllo. Era colpa dello stress, dell’ansia, della stanchezza, della mano gonfia che gli faceva male. All’improvviso tutte quelle cose lo soverchiarono, perché aveva investito tutto quello che aveva, tutto il suo cuore, nell’amore per Evelyn. Il pensiero che qualcuno le facesse del male era pura agonia.

«Mi spiace, Benjamin» gli disse sua madre.

Amarok sentiva che stava piangendo e la cosa lo fece sentire ancora peggio. «Non posso pensare anche a questo adesso» le disse. «Devo andare.»

Riagganciò prima che lei potesse rispondere e, non appena posò il ricevitore, il telefono squillò. Rispose immediatamente, pensando che potesse essere uno dei ricercatori o la moglie di Terry Lovett che lo richiamava e rispondeva ai suoi messaggi. Preferiva non affrontare Phil dopo quella conversazione con la madre, che rivelava più di quanto avesse mai dato a vedere, molto più di quanto sentisse di potersi esporre. «Pronto?»

«Sergente Murphy?»

Era la voce di un uomo: profonda, empatica, sicura. «Sì?»

«Sono Ted Bell dell’Anchorage Daily News

Non uno dei ricercatori. Non la moglie di Terry Lovett. Solo un’altra grana da risolvere. L’inferno che stava passando poteva peggiorare ancora? «Cosa posso fare per lei, Ted?»

Anche se la voce di Amarok era fredda, Ted si dimostrò imperturbabile. «Ho sentito dire che ha un problema laggiù» rispose mellifluo.

Amarok appoggiò la fronte al pugno. Per fortuna l’aveva detto ai genitori di Evelyn.