27

Tra Anchorage e Fairbanks, Alaska – giovedì, ore 2.00

Makita era seduto sul sedile del passeggero, gli occhi incollati al parabrezza mentre Amarok sfrecciava lungo la East Parks Highway verso Fairbanks. Amarok sapeva che il cane percepiva la sua concentrazione, la sua ansia, la sua stessa attenzione, ed era totalmente focalizzato. In breve, Makita capiva che stavano lavorando e non vedeva l’ora di fare la sua parte.

«Stanotte non cerchiamo cacciatori» disse Amarok al cane. Ma immaginava che non fosse del tutto vero. Bishop era una specie di cacciatore. Solo che cacciava donne anziché animali.

Amarok diede un’occhiata al cellulare accanto a lui. Prima di partire da Anchorage aveva chiamato la polizia di Fairbanks, gli aveva detto che un noto serial killer con una vittima di sequestro era diretto in città e gli aveva chiesto di allestire un posto di blocco sulla AK-3N. Non aveva modo di sapere quanto vantaggio avesse Bishop. Ma c’era solo una statale che collegava Anchorage a Fairbanks. Se Bishop non era già arrivato, se era ancora per strada, almeno non poteva prenderne un’altra. Se avessero fermato ogni automobilista fino al mattino quando Amarok fosse arrivato forse sarebbero riusciti a intrappolare Bishop su due fronti.

Era stata una buona telefonata, una telefonata che gli aveva infuso un po’ di certezza sul fatto che quella faccenda sarebbe finita presto. C’era qualcun altro che avrebbe dovuto contattare? Cos’altro poteva fare? Si stava abituando a poter chiamare chiunque a qualsiasi ora, ma adesso era tornato in Alaska. Ci sarebbero stati lunghi tratti non coperti da segnale mentre avrebbe attraversato le aree selvagge dell’interno.

Pensò di chiamare Ada per vedere se sua madre ce l’avrebbe fatta e per capire se Edna fosse riuscita a dare maggiori informazioni su Evelyn, ma immaginò che non sapessero ancora molto. In ospedale ci voleva sempre così tanto per l’accettazione e perché i medici facessero gli accertamenti del caso.

Ada l’avrebbe chiamato se avesse avuto qualcosa da riferirgli. Avevano sviluppato una sorta di affinità durante il loro breve incontro alla fabbrica. Lei aveva appena ritrovato la persona che amava, e capiva quanto Amarok si facesse in quattro per ritrovare la sua.

«Makita, sei sul mio telefono» disse, quando cominciò a cercarlo e non lo vide.

Il cane, concentratissimo, non si mosse, Amarok dovette infilare la mano sotto il suo corpo e a recuperare il telefono.

Quand’era andato alla fabbrica aveva silenziato la suoneria per non farsi scoprire, così adesso controllò che fosse di nuovo inserita, e si rese conto che aveva già perso una chiamata. Non l’aveva vista quando aveva parlato con la polizia di Fairbanks, eppure eccola lì, e riconobbe il numero.

Il detective Lewis aveva cercato di mettersi in contatto con lui. Dopo tutto il bastardo aveva richiamato. Alla fine Lewis aveva ricevuto i tabulati di Emmett Virtanen? O era infuriato perché in qualche modo era venuto a sapere che Amarok aveva preso quella ricevuta d’affitto dalla posta di Emmett?

Premette il pulsante della segreteria e ascoltò il messaggio di Lewis.

“Amarok, abbiamo i tabulati. Qui è parecchio tardi, quindi sto andando a casa, ma volevo che sapessi che non ti stavo tenendo all’oscuro, come forse avrai pensato.”

Amarok aveva pensato che gli stesse mettendo i bastoni tra le ruote, quindi sentire Lewis che lo smascherava lo fece sentire come se si fosse comportato da stronzo.

“Continuo a non essere d’accordo con quello che hai fatto” continuò Lewis. “Ma…” sospirò, “capisco perché l’hai fatto. Comunque ti invio per mail una cartina dell’area di Anchorage dove il telefono di Emmett è stato usato per l’ultima volta. Ho evidenziato i confini entro i quali potrebbe trovarsi Evelyn e spero troverai un posto plausibile, o che almeno riuscirai a individuare i posti migliori dove cercare.”

Sembrava stesse per riagganciare, ma poi tornò in linea.

“Mi spiace, ma c’è un’altra cosa. Emmett non ha più usato il telefono da giovedì scorso. So che non promette nulla di buono. Se l’ha distrutto perché non potessimo rintracciarlo potrebbe trovarsi molto lontano da lì. Chiamami domani così possiamo parlarne.”

Emmett non aveva usato il telefono perché non poteva farlo. Probabilmente Lyman lo aveva ucciso non appena era arrivato in Alaska, anche se Amarok non riusciva a immaginare come avesse potuto avere la meglio su un uomo molto più robusto e forte di lui. Forse aveva una pistola e la troppa sicurezza o la fiducia avevano reso Emmett vulnerabile. Amarok non aveva osservato abbastanza il corpo per determinare come fosse stato ucciso. Non ne aveva avuto il tempo, non aveva voluto distruggere delle prove. E comunque determinare la causa delle morte era compito del medico legale.

Makita sembrava assonnato. Sbadigliò mentre Amarok richiamava Lewis. Non si aspettava che il detective rispondesse; voleva solo lasciargli un messaggio.

Ma prima che potesse farlo ricevette una chiamata.

Staccò il telefono dall’orecchio per vedere chi stesse cercando di contattarlo e imprecò. Era la telefonata che temeva.

Era Brianne, la sorella di Evelyn. L’intera famiglia di Evelyn era sulle spine. Evelyn mancava da più di una settimana. Da quando aveva ricevuto la notizia sua madre si era spenta.

E adesso doveva dire loro che non aveva fatto molti passi avanti nel ritrovarla.

Tra Anchorage e Fairbanks, Alaska – giovedì, ore 2.05

Evelyn cercò di non trattenere il respiro mentre Bishop le scostava i capelli dal viso. Aveva lasciato le portiere posteriori aperte quand’era salito sul furgone con lei, così, grazie alle luci dell’abitacolo, Evelyn sapeva che riusciva a vederla abbastanza bene nonostante il buio dei boschi circostanti.

Doveva fargli credere che stava dormendo tranquilla. A Bishop sarebbe sembrato strano se non avesse visto il suo petto sollevarsi e abbassarsi, o se teneva gli occhi troppo serrati. Ma era così difficile non cercare di sbirciare.

Voleva usare subito il cacciavite che aveva nascosto dietro alla schiena. Era in piena modalità attacco o fuga. Ma sentiva Bishop e immaginò che fosse troppo vicino alle portiere aperte. Se avesse cercato di colpirlo in quel momento lui si sarebbe sollevato per la sorpresa e sarebbe caduto, e poi sarebbe tornato da lei prima che Evelyn potesse gattonare verso la parte anteriore del furgone e scappare.

No. Doveva aspettare finché non fosse stato del tutto impegnato nello stupro che di sicuro aveva in mente di compiere. Solo quando avrebbe abbassato i pantaloni e le difese, sopraffatto dal desiderio, Evelyn avrebbe avuto l’opportunità di fargli abbastanza male per riuscire a salvarsi.

Quando lei non si mosse, non reagì al suo tocco o al suono della sua voce le disse: «Sei così elegante. Non ho mai visto una donna più bella di te. Credo di essermi innamorato fin dalla prima volta che ti ho vista.»

Innamorato? L’unica persona che Bishop amava era se stesso, ma aveva bisogno di attenzioni, di ammirazione, e, naturalmente, di gratificazione fisica.

Evelyn era così rigida che temeva di farsi scoprire prima di potersi concentrare e accoltellarlo.

«Fatti toccare» le sussurrò. «Cosa dici? Mi vuoi anche tu? Davvero? Non lo sapevo.»

La fantasia che stava mettendo in atto era troppo confusa per uno stupro. La stava avvicinando con tenerezza. Per fortuna Bishop non aveva una predilezione per la violenza, a meno che non si sentisse minacciato o fosse arrabbiato. Questo volgeva a favore di Evelyn e della sua bambina. Ma sapeva anche che sarebbe cambiato nell’attimo stesso in cui gli avrebbe opposto resistenza. Lo aveva visto trasformarsi in Mr. Hyde con Edna. E aveva sentito parlare dei suoi scontri con Beth.

In quel momento gli piaceva fingere di avere un rapporto consensuale, come se fossero amanti, cosa che si addiceva alle strane illazioni che aveva fatto sul diventare il padre della sua bambina.

Quando le strinse il seno con una mano Evelyn si sforzò di non indietreggiare. Rimase perfettamente immobile. Bishop iniziava a eccitarsi; lo capiva dal suo respiro affannoso. Evelyn aveva bisogno di questo, del testosterone che entrasse in circolo e interferisse con la sua capacità di pensare.

«Hai il corpo di una dea» le sussurrò. «E ho aspettato così tanto. Mentre ero via non pensavo ad altro che a fare l’amore con te.»

A un certo punto si sarebbe accorto che non aveva le gambe legate. Se aveva intenzione di penetrarla come prima cosa le avrebbe dovute slegare. Evelyn avrebbe dovuto agire non appena le sue mani si fossero abbassate abbastanza, ma Bishop non sembrava andare di fretta. Sembrava piacergli l’attesa, voleva godersi lo spettacolo fino in fondo.

Evelyn continuava a ripetersi di ignorare il modo in cui le sue dita le accarezzavano i capezzoli, il profumo nauseante della sua acqua di colonia e il tono roco della sua voce, tutte cose che la irritavano come unghie che graffiavano su una lavagna. Ma non riuscì a rimanere ferma quando le tolse il bavaglio e quelle labbra morbide e umide si posarono sulle sue, leccandole e succhiandole.

Nell’attimo in cui le fece scivolare la lingua in bocca lei lo morse con tutta la forza che poté, finché non sentì il gusto del sangue e fece ruotare in avanti il cacciavite per accoltellarlo.

Voleva sentire il metallo che si infilava nel suo addome, fino in fondo. Solo allora avrebbe potuto essere sicura di averlo colpito quanto serviva. Ma non riusciva a infilzarlo più a fondo di pochi centimetri.

Doveva aver colpito una costola!

Si ritrasse per colpire di nuovo; doveva agire in fretta.

Ma lui la colpì alla mandibola prima che potesse farlo. Era una reazione impulsiva per il dolore del morso e della prima coltellata, sferrati entrambi nello stesso momento, e non era stato un colpo particolarmente potente. Evelyn percepì tutta la sua furia un attimo dopo, quando lo shock iniziale perse efficacia e Bishop si rese conto che Evelyn non era solo sveglia, ma si era anche slegata e stava combattendo per la sua libertà.

Facendo leva sul suo corpo la fece rotolare sulla schiena e le inchiodò la mano destra sul pavimento dell’auto, stringendo così forte che lei dovette lasciar cadere l’arma. Poi Bishop sembrò frugare in giro in cerca di qualcosa che non riusciva a trovare – un’arma? Magari un coltello o una pistola? – concedendole qualche prezioso secondo prima di stringerle le mani attorno alla gola.

Imprecò mentre cominciava a stringere, proprio come aveva fatto con Edna.

Non riuscendo ad allontanare le sue mani Evelyn cominciò a scalciare, sbilanciandolo così tanto che lui dovette lasciare andare il collo per non cadere di lato.

Non appena poté Evelyn gridò per cercare aiuto con tutta la forza che aveva in corpo, e continuò a urlare e a dimenarsi, cercando di raggiungere di nuovo il cacciavite, o il martello.

Anche senza un’arma, se fosse stata in grado di superarlo e uscire avrebbe potuto scomparire tra il fitto bosco che aveva intravisto lì fuori.

«Zitta, puttana!» le gridò, e le diede un ceffone così forte che le ronzarono le orecchie.

La colluttazione non stava andando bene. Evelyn stava perdendo, e lo sapeva. Era solo questione di tempo prima che la sottomettesse di nuovo. E allora cos’avrebbe fatto? Si era già giocata l’elemento sorpresa, sapeva che non avrebbe avuto un’altra possibilità, non adesso che Bishop aveva capito quanto fosse determinata a scappare.

«Ho una pistola! Vuoi che uccida tuo figlio?» gridò lui. «Che ti uccida? Sono qui che ti offro amore, piacere. Ed ecco quello che mi dai. Non sono stato buono con te?» inveì, e, scuotendola come una bambola di pezza, ricominciò a strozzarla.

Dei puntini luminosi cominciarono a offuscarle la vista. Bishop aveva menzionato una pistola. Di sicuro prima stava cercando l’arma. Se solo fosse riuscita a trovarla.

Ma per farlo doveva toglierselo di dosso.

Anche se gli graffiava le mani, le braccia e il viso non serviva a niente. Stava perdendo le forze, sentiva che stava per perdere conoscenza.

E poi, all’improvviso, la pressione si allentò. Bishop afferrò qualcosa da terra lì vicino – era sicura che si trattasse della pistola – e si sollevò da lei.

Evelyn annaspò in cerca d’aria, riempiendosi i polmoni. Aveva gli occhi lucidi e gli arti molli.

Perché non le aveva sparato? Dov’era andato?

Impiegò qualche momento per tornare a pensare con lucidità, cosa che si rivelò una tragedia: se fosse riuscita a riprendersi prima avrebbe avuto un’altra opportunità per scappare. Ma si rese conto che qualcuno lo aveva interrotto solo quando lui richiuse con forza le portiere posteriori, balzò al posto di guida e mise in moto.

Era arrivato qualcuno. Evelyn ricordò di aver sentito delle voci: «Ehi, cosa ci fai lì? Cosa sta succedendo?»

Lei urlò e picchiò contro le pareti del furgone, ma temeva che chiunque fosse – cacciatori? La polizia? Il proprietario di una casa o di uno chalet lì vicino? – non potesse sentirla.

E poi la sua possibilità svanì.

Cadde all’indietro rotolando verso la parete opposta mentre Bishop faceva retromarcia così forte da far sbandare il furgone per poi ripartire, con le gomme che rimbalzavano su massi e solchi mentre si allontanava a tutta velocità.

Tra Anchorage e Fairbanks, Alaska – giovedì, ore 2.20

Bishop sentiva qualcosa di umido che gli inzuppava la camicia e capì che si trattava di sangue. Quella puttana lo aveva accoltellato! Non sapeva cosa avesse usato. Era troppo agitato per prestarci attenzione in quei secondi di furia cieca seguiti all’aggressione. Ma sentiva dolore, ed era colpa di Evelyn. Si era anche fatto male alla gamba storpia nella corsa per raggiungere il posto di guida e uscire dalla foresta prima che quei cacciatori, che senza dubbio stavano usando le luci per stanare gli animali, – come se stessero facendo qualcosa di più legale rispetto a lui –, potessero capire che aveva una donna sequestrata nel furgone.

Una parte di lui temeva che avrebbe forato una gomma uscendo dal bosco a quella velocità. Il furgone sobbalzava e oscillava, sballottandolo avanti e indietro e facendolo ansimare per il dolore mentre percorreva quella stretta strada sterrata fino alla statale, ma non ci volle molto per raggiungere l’asfalto.

Non appena arrivò sulla strada, si assicurò di avere la pistola che aveva afferrato mentre usciva dal retro del furgone, e schiacciò il pedale dell’acceleratore.

Evelyn, che veniva sballottata sul retro, stava ancora cercando di raddrizzarsi, così Bishop controllò attraverso lo specchietto retrovisore che non ci fossero fanali in vista.

Se ne stavano avvicinando un paio. Avevano acceso gli abbaglianti, ma li abbassarono all’improvviso.

Non credeva che fossero i cacciatori. Non potevano essere tanto vicini alle loro automobili quando lo avevano sorpreso, per riuscire a salire in macchina e a inseguirlo così in fretta.

Come previsto l’altra macchina rallentò e scomparve alla vista.

Grazie a Dio nessuno lo stava seguendo. Era al sicuro. Anche se i cacciatori erano saliti in macchina non sarebbero riusciti a raggiungerlo. Dubitava anche che sarebbero riusciti a dirlo alla polizia o a qualcun altro, non prima di tornare in città. Impossibile che i cellulari prendessero. Erano in mezzo al nulla, non erano nemmeno a metà strada per Fairbanks.

Ma Evelyn rappresentava ancora un problema. Non era più legata e aveva accesso all’arnese che aveva usato per colpirlo. Non era riuscito a prenderlo. Era troppo intento a riprendere la pistola.

Accese le luci nell’abitacolo per poterla vedere e controllò lo specchietto retrovisore. Immaginò che avesse cercato senza successo di uscire dal retro e balzare sulla strada, cosa che probabilmente l’avrebbe uccisa; adesso stava cercando di andargli addosso con un martello!

Sterzò, facendola sbilanciare e cadere. Ma doveva continuare a guidare come un pazzo per assicurarsi che rimanesse a terra, e aveva paura che così avrebbero avuto un incidente.

Doveva fermarsi per poterla legare di nuovo e controllare la sua ferita, e doveva farlo subito.

Già che c’era l’avrebbe tramortita con il martello che teneva in mano e le avrebbe fatto la lobotomia. Aveva avuto fin troppe possibilità per comportarsi bene. Non era colpa sua se le avrebbe perforato il cervello mentre era incinta.

Si afferrò il fianco per placare il sanguinamento e alleviare il dolore.

Ecco cosa si guadagnava a essere gentili.

Quella sarebbe stata l’ultima volta che Evelyn gli avrebbe causato dei problemi.

Tra Anchorage e Fairbanks, Alaska – giovedì, ore 2.30

Quando Brianne aveva telefonato erano appena passate le sei lì da lei. Amarok aveva pensato che volesse parlare con lui prima che sua madre si svegliasse. Stava dai suoi, così potevano aiutarla con il bambino.

Gli aveva detto che il piccolo Caden stava bene, e sembrava cavarsela anche lei. Ma era comprensibilmente abbattuta e preoccupata per Evelyn e anche per Lara. Per via di quello che stava succedendo Lara era caduta in una profonda depressione. Il medico le aveva prescritto una dose massiccia di ansiolitici e sonniferi per poter superare le notti.

Amarok si sentiva malissimo a non poter dire alla famiglia di Evelyn che aveva tutto sotto controllo. Magari avesse potuto farlo. Ma non aveva idea di come sarebbe andata a finire, e doveva essere onesto con loro. Non poteva ingannarli, dare loro false aspettative.

Studiò la strada che aveva di fronte, in cerca di fanali. Ogni veicolo che incrociava rinnovava la sua speranza, finché non si avvicinava abbastanza da capire che non aveva ancora trovato il furgone.

Puntò lo sguardo sull’orologio del cruscotto. Quanto ci sarebbe voluto ancora? Non stava arrivando a Fairbanks abbastanza velocemente. E se Bishop era già lì? Se fosse stato troppo tardi?

Si passò le dita tra i capelli e si sforzò di combattere l’ennesima ondata di stanchezza. Non era al meglio. Affatto. Non riusciva nemmeno più a pensare chiaramente.

Però non poteva arrendersi. Quella poteva essere la sua unica possibilità di ritrovare Evelyn e, Dio volendo, la loro bambina, se era ancora viva.

Prese il telefono per vedere se ci fosse campo.

Non c’era. Se lo aspettava, ma desiderò poter parlare con la polizia di Fairbanks e assicurarsi che avessero messo il blocco stradale. Anche se non fosse riuscito a raggiungere Bishop magari lo avrebbero fermato loro e avrebbero messo fine a quell’incubo.

Pensò alla telefonata che aveva ricevuto da Shorty dopo aver riagganciato con Brianne. Shorty voleva assolutamente dirgli che Jasper aveva passato l’informazione e aveva indicato un particolare magazzino nell’area industriale di Anchorage, come il luogo dove poteva trovarsi Evelyn. Ma Amarok non riusciva a immaginare come questo si collegasse con tutto quello che aveva scoperto da solo, quindi era felice di non essere andato fino a Hilltop. Se fosse andato a Hanover House anziché a casa di Edna Southwick avrebbe perso due o tre ore. Non avrebbe trovato Edna e non avrebbe ricevuto l’informazione molto più preziosa che lei gli aveva fornito.

Da quel che sapeva dopo aver parlato con lui era svenuta, quindi quelle due o tre ore avrebbero potuto fare la differenza. Se fosse andato alla prigione forse non avrebbe nemmeno avuto l’attuale possibilità di raggiungere Bishop, prima che scomparisse tra le trecentomila persone che popolavano la città di Fairbanks.

Stava albeggiando. Amarok vedeva il sole sollevarsi oltre le cime delle montagne ed era grato per quella luce. Non solo lo aiutava a rimanere sveglio, ma se avesse trovato Bishop sarebbe almeno riuscito a vedere lui e anche quello che teneva in mano.

Questo poteva fare la differenza.

Pensò a sua madre, a quello che gli aveva detto suo padre, ma scacciò in fretta quei pensieri. Quello che stava passando era già abbastanza terribile senza dover indirizzare il risentimento che provava verso la donna che l’aveva partorito…

Frenò di colpo.

Makita scivolò leggermente dal sedile, con un grugnito.

«Scusa, amico.» Guidava a una velocità così sostenuta, pensando che avrebbe trovato Bishop per strada e non fermo sul ciglio, che stava quasi per perdere di vista il furgone nero, di cui vedeva solo il retro, parcheggiato lungo una strada sterrata. Sembrava dipinto con una bomboletta spray, che fosse proprio il furgone che stava cercando, ma non poteva esserne sicuro. Era in parte nascosto dagli alberi. Se il guidatore si fosse fermato un po’ più in là Amarok non l’avrebbe visto. E se fosse successo un po’ prima non l’avrebbe comunque visto, per via del buio.

Lo aveva superato prima di rendersi conto di quello che aveva visto.

Li aveva raggiunti? Se era così non aveva rinforzi, nessun aiuto dalla polizia di Fairbanks, visto che i posti di blocco si trovavano a ore di distanza.

Il cellulare non prendeva, quindi non poteva nemmeno avvertire qualcuno. E non aveva idea di cosa si sarebbe ritrovato di fronte, se Bishop avesse avuto una pistola o qualche altra arma.

Ma era abituato a lavorare da solo.

Dopo essersi fermato tra gli alberi a quattrocento metri dal furgone afferrò il fucile, scese e attese che uscisse anche Makita. «Andiamo a prendere Evelyn» mormorò, e fece un cenno al cane, che sapeva di doverlo seguire silenziosamente e a una certa distanza per via delle innumerevoli volte che avevano dovuto avvicinarsi furtivamente a dei cacciatori di frodo.