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Minneapolis, Minnesota – giovedì, ore 14.30
«Perché mi chiami?» chiese Terry, in un sussurro roco.
Adattandosi al caldo umido dell’estate del Midwest, Lyman Bishop si tolse la felpa e si appoggiò alla panchina del parco. Era così bello sentire il sole sul viso e sapere che non avrebbe più dovuto incontrare infermieri e dottori del Beacon Point Mental Hospital. «Sono andato in banca e ho preso i soldi, ma non sono riuscito a trovare un volo fino a sabato mattina. E anche così il biglietto è costato un occhio della testa.»
«Di solito è così con i voli last minute.»
«Avrei dovuto far prenotare a te il biglietto. Scommetto che avrei risparmiato trecento dollari.»
«Ehi, ho già anticipato troppi quattrini per cercare di portare il tuo culo marcio fuori da quel posto. Cosa credi, che li coltivi, i soldi?»
Bishop si irrigidì. L’umore di Terry non era migliorato rispetto alla sera precedente. «È uno spreco inutile. Ecco tutto. Non ti sto criticando; è solo che odio lo spreco.»
«Come tutti, no? Benvenuto nel mondo reale, amico. Mi sa che adesso che non sei più un importante ricercatore dovrai vivere come tutti i comuni mortali.»
Lyman fece una smorfia. Come faceva Terry a dire una cosa del genere dopo tutto quello che aveva passato? A volte non gli piaceva molto, eppure era stato quasi il migliore amico che Lyman avesse mai avuto. Dubitava che qualcun altro lo avrebbe aiutato ad andarsene da Beacon Point. Gli assistenti e lo staff medico lo avevano trattato come una specie di lebbroso. Uno in particolare menzionava sempre le lobotomie e diceva che il fatto che avesse perso la testa fosse una giustizia poetica.
«Ho ancora il cervello che mi ha reso un ricercatore» puntualizzò, cosa che lo rendeva migliore di Terry. Cos’aveva fatto lui? Niente. Non era molto intelligente. Non sapeva che sua moglie stava per lasciarlo, anche se, a giudicare da quello che Lyman aveva sentito sui loro litigi, intuiva che già lei avesse un piede fuori dalla porta.
«Sono proprio felice per te» disse Terry con sarcasmo. «Ma non posso starmene qui a chiacchierare. Fra poco Bridget arriverà a casa con i bambini. Devo trovare un modo per dirle che ho perso il lavoro senza scatenare un’altra lite furiosa.»
«Oh. Okay. Nessun problema. Pensavo solo che magari, visto che sarò qui tutto il giorno, volessi incontrarmi e prenderti i tuoi soldi. Speravo che ti aiutasse avere un po’ di grana in mano quando avresti parlato con Bridget. È per questo che ti ho chiamato.»
«Così pensi che dovremmo vederci?» Sembrava più interessato. «Pensavo avessi detto che sarebbe eccessivamente rischioso.»
«No, se troviamo un posto appartato. Non vogliamo mica che qualcuno ci veda insieme, ma…»
«Non sarà un problema» lo interruppe. «Lascerò un biglietto a Bridget dicendole che sono andato a fare una commissione veloce. Dove sei? Dove ci incontriamo?»
Bishop guardò con sufficienza il traffico di St. Paul che lo circondava. «Conosci Swede Hollow?»
«No.»
«È un burrone appena fuori dalla Settima Strada, vicino alla vecchia Hamm’s Brewery.»
«So dov’è…»
«Allora la troverai facilmente. Vienimi a prendere alla Metropolitan State University fuori dalla Settima, che è lì vicino, e ti pagherò. Poi puoi portarmi all’aeroporto.»
«Credevo mi avessi detto che il volo non parte prima di sabato mattina.»
«Infatti, ma non ho voglia di trovarmi una camera e poi un altro passaggio. Aspetterò lì.»
«Okay, ma perché andiamo così vicino al centro? Non ci saranno un mucchio di persone?»
«Swede Hollow è un posto molto appartato. Lo sapevi che era una baraccopoli fino agli anni Cinquanta, quando è stata soppiantata dalla città e gli abitanti abusivi sono stati cacciati via? Quasi nessuno sapeva che esistesse, eppure ci ha vissuto gente senza elettricità o acqua corrente per più di cento anni.»
«No. Come fai a sapere tutte queste cose?»
«Oh, un articolo che ho letto tempo fa.» Lyman non vedeva il motivo di dirgli che una volta aveva seppellito un corpo nel parco, una donna di nome Starr Hoffman, che non era mai stata ritrovata. Non solo era un posto tranquillo e boscoso, era anche vicino a dove viveva un tempo. Gli era sempre piaciuto quel luogo, soprattutto per via di Starr, una studentessa universitaria così dolce e gentile con tutti, incluso lui, finché non aveva cercato di chiederle di uscire.
«Vabbè. Ascolta, sono lì tra venti minuti.»
«Ti aspetto.» Lyman riagganciò e allungò le braccia sopra la panchina, godendosi l’aria fresca finché non arrivò il momento di andare a incontrare Terry.
Arrivò per primo, innanzitutto perché non era così distante. Ma fu sorpreso quando vide arrivare Terry con il finestrino abbassato poco dopo, prima del previsto.
«Perché ti sei messo quella?» gli chiese senza nemmeno salutarlo, indicando la felpa che Lyman si era rimesso dopo essere uscito dal parco. «Non soffochi con questo caldo?»
Lyman attese che Terry togliesse la sicura alla portiera e salì. «La mezza paralisi mi fa notare dalla gente. Preferisco non attirare l’attenzione.»
Terry ridacchiò. «Ma ti farai notare lo stesso se indossi una felpa in giugno.»
«È scura. Nessuno ha detto niente.»
«Bene. Soffri pure» disse. «Allora… vuoi che vada alla gola? Come ci arrivo?»
«Attraverso gli archi dell’autostrada sulla Settima» disse mentre Terry usciva dall’università.
«Hai i miei soldi, vero?»
«Certo. Ma se hai così tanta fretta fermati qui.»
«Sulla strada?»
«Perché no? Vorrei dare un’occhiata al burrone. Da quello che ricordo è molto ripido.»
Terry si fermò sul ciglio della strada, ma non accennò a scendere. «Non m’importa di vedere il burrone. Pagami e basta. Poi dovrai arrangiarti ad andare all’aeroporto. Devo tornare da Bridget.»
Lyman aprì il sacchetto che aveva con sé. «Okay, ma assicurati che non ci veda nessuno.»
Non appena Terry voltò la testa per controllare Lyman estrasse il coltello da macellaio che aveva comprato quella mattina e lo piantò nel cuore di Terry.
«P-perché?» ansimò Terry, la mascella che si abbassava per l’incredulità mentre guardava il manico che fuoriusciva dal suo petto.
«Avresti dovuto informarti» rispose Lyman. «Avresti saputo che non ho un soldo. Ho speso quasi tutto per l’avvocato. E non posso permettermi che tu ed Emmett andiate alla polizia, a dirgli che sapete dov’è Evelyn Talbot.»
L’unica risposta che riuscì a emettere Terry fu un gorgoglio disperato e strozzato. E a Lyman andava bene.
«Sembra che Emmett abbia trovato il posto perfetto. Magari ci rimarrò per un po’. Ma non prenderla sul personale» aggiunse. «Sono fatto così. Sono una persona scrupolosa, non posso lasciare niente in sospeso.»
«Emmett ti… uc-ciderà… per questo» riuscì a dire l’altro mentre le convulsioni gli scuotevano il corpo.
«No, se lo uccido io per primo.» Lyman estrasse il coltello e lo pulì con dei fazzoletti di carta che aveva comprato, poi lo rimise nel sacchetto. Infine scese, fece il giro dell’auto fino al posto del guidatore e aprì la portiera.
Il viso di Terry esprimeva assoluta impotenza, oltre al dolore e alla paura. Si strinse una mano al petto mentre il sangue gli colava sulla camicia, come un fiore appena sbocciato, e tentò di uscire dall’auto. Forse aveva intenzione di fermare un motociclista di passaggio. Transitavano molti veicoli in quella strada, tutti ignari di quello che stava accadendo di fronte ai loro occhi.
Bishop lo bloccò, rimanendo tranquillamente in piedi come se stesse solo parlando con un amico che gli aveva dato un passaggio. Un automobilista suonò il clacson; non gli andava che occupassero parte della carreggiata, ma dopo aver fatto il dito medio li sorpassò.
«Mi sa tanto che non ho perso il mio tocco magico» disse Bishop quando Terry smise di muoversi e fissò con sguardo vacuo fuori dal parabrezza. «La sorpresa gioca sempre a favore.»
Si sporse nell’abitacolo fischiettando mentre inseriva la marcia, chiuse la portiera e si rimise il cappuccio, allontanandosi come se non c’entrasse nulla con il fatto che la macchina stava scivolando verso il burrone.
Quando qualche secondo dopo si schiantò, il rumore attirò un po’ di attenzione, ma i pochi che lo sentirono erano così scioccati e inconsapevoli di quello che poteva essere successo che Lyman stava già salendo in un taxi sulla Payne Avenue, diretto all’aeroporto prima ancora che si formasse un capannello.
A volte fare qualcosa in pieno giorno e in bella vista sollevava meno sospetti.
Hilltop, Alaska – giovedì, ore 11.40
Da quando era tornato da Anchorage, Amarok aveva preso i vecchi incartamenti di Evelyn dal garage e li aveva passati al setaccio. Mentre si accingeva a prendere l’ennesimo scatolone sentì qualcuno bussare al portone di casa. Makita cominciò ad abbaiare ma non aveva voglia di perdere tempo ad aprire. Non l’avrebbe fatto se chi era andato lì non avesse continuato a bussare.
«Andiamo, Amarok!» gridò Phil dall’esterno. «Apri!»
Più scocciato del dovuto, Amarok percorse la casa arrancando, lasciò cadere lo scatolone in salotto, disse a Makita di fare il buono e prese in braccio il gatto di Evelyn, così non sarebbe uscito mentre spalancava la porta. «Ho da fare. Che c’è?»
«Ho una sorpresa per te. Puoi venire al Moosehead?»
«No.» Richiuse la porta e mise a terra il gatto, ma non chiuse a chiave, così Phil entrò e seguì Amarok in salotto.
«Trovato qualcosa?» Indicò gli scatoloni che Amarok aveva scandagliato fino a quel momento, in cerca di una foto segnaletica di un tizio con una cicatrice sull’occhio.
«No.»
«Be’, mi spiace portarti via. Ma questi scatoloni possono aspettare mezz’oretta, no?»
«Temo di no» insistette Amarok. «Devo fare tutto il possibile, e devo farlo subito.»
Phil si portò le mani ai fianchi. «Amarok, pretendi troppo da te stesso. Non sei un fenomeno. Guardati, riesci a malapena a reggerti in piedi.»
«Sto bene» ribatté brusco. «Anche se ci provassi non riuscirei a dormire.»
«Ne dubito. Stai per collassare qui davanti a me, allora perché non lasci che ti aiutiamo?»
Sollevò il coperchio del nuovo scatolone. «Aiutiamo?»
Phil richiuse il coperchio, così Amarok fu costretto a guardarlo. «Vedrai.»
Ad Amarok bruciavano gli occhi, ma resistette all’impulso di sfregarli. Non voleva darla vinta a Phil. «Va bene» disse. «Ma faresti meglio a sbrigarti.»
Mentre Phil lo trascinava fuori casa, Amarok fischiò a Makita perché lo seguisse, ma Phil non lo avrebbe fatto guidare. «Tu non guidi, amico» disse, e trascinò Amarok nel lato passeggero del suo nuovo SUV per poi far salire il cane sul retro.
«Allora spicciati.» Distogliersi dalle ricerche lo faceva sentire come se stesse deludendo Evelyn.
Quando si fermarono di fronte al Moosehead, il parcheggio era pieno, anche se era metà mattina, e di solito Shorty non apriva a quell’ora, soprattutto nei giorni feriali. «Che succede?» chiese.
«Ho organizzato una squadra di ricerca.»
Gli ci volle un attimo per capire. Amarok stava crollando dopo le pillole di caffeina che aveva preso per guidare in sicurezza da Anchorage e rimanere sveglio. «Dove cercherete?»
«Sia qui che ad Anchorage. Cercheremo ogni traccia dell’uomo con la cicatrice, o chiunque abbia visto lui, il furgone o Evelyn, e setacceremo dappertutto finché i volontari ce la faranno.»
Più persone si mettevano alla ricerca più chance aveva Evelyn. Ad Amarok sembrava impossibile non averci pensato prima. Era la riprova che considerava l’accaduto più un problema personale che un crimine. «Buona idea» ammise.
Phil indicò le macchine. «Quando ho sparso la voce non avevo idea che avremmo avuto così tanta partecipazione. Nel bar ci sono tutti quelli che ti conoscono. Alcuni hanno chiuso i negozi e le attività. Facciamo sul serio.»
Amarok osservò quell’ammasso di veicoli, e ne riconobbe parecchi. Era cresciuto con quella gente, e quando suo padre si era trasferito ad Anchorage erano diventati la sua seconda famiglia. Non lo aveva mai compreso fino a quel momento. «Ma a qualcuno non piace Evelyn» commentò.
«Certo, c’è anche chi non è felice che abbia portato una prigione come Hanover House in zona. Ma non lo fanno per lei» gli disse piano. «Lo fanno per te. Ci sei sempre stato per noi. Adesso ti ricambiamo.»
Quel supporto diminuì la rabbia che lo aveva guidato fino a quel momento. La comunità si stava radunando proprio quando ne aveva più bisogno, e significava molto. Forse avrebbe fatto la differenza. Magari avrebbero trovato Evelyn, o il furgone rubato, così lui avrebbe potuto trovare Evelyn.
Ringraziò Phil, che aveva dormito più di lui da quando Evelyn era scomparsa ma comunque non abbastanza, e riuscì a sopravvivere ai successivi trenta minuti, durante i quali formò due diversi gruppi di ricerca, uno per Anchorage e uno più piccolo per Hilltop. Individuò dei capisquadra, spiegò loro come disporsi e camminare fianco a fianco nelle aree più selvagge con sonde da valanghe o altri bastoni per attraversare le boscaglie.
Anche se fece tutto in modo meccanico, cercando di distaccarsi dalle emozioni che provava, quando si fecero avanti i Ledstetter cambiò tutto. Pensò che fossero arrivati per creare problemi ma si sentì subito uno schifo per aver dubitato di loro. Si misero in fila per assumere un compito, proprio come gli altri.
Amarok attese che Davie e Junior si dirigessero verso la porta per intercettarli. «Non siete obbligati a farlo» disse.
Davie scambiò un’occhiata con Junior. «Se possiamo fare in modo che tu non soffra come abbiamo sofferto noi siamo felici di dare una mano» disse, e Amarok sentì un nodo in gola mentre Davie lo abbracciava, dandogli un paio di pacche sulla schiena.