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Prima di lasciare l’abitazione dei Calabrò osservai a lungo Steve. Rimase per tutto il tempo in un angolo tenendo gli occhi bassi, per sollevarli solo quando chiesi notizie di Stefania. Ciò che non sapevo potevo immaginarlo, il senso di colpa era una pagina scritta sul suo volto.
Da quando l’aveva tradita non faceva che pensare a Dineyra. Il rimorso è un ponte che collega le rive più distanti e la sua mente era con lei. Giurò a se stesso che non ci sarebbe ricascato, non era amore e per il piacere di una notte non si distrugge il progetto di una vita.
Fu tutto più evidente al ritorno di Stefania. Se lo mangiava con gli occhi e lui non ricambiava, una danza di sguardi a caccia o in fuga che conteneva ogni risposta.
Maria lavava i piatti con l’aiuto di Giordano. Quel maresciallo non cessava di sorprendermi, si prendeva carico della sicurezza dei Calabrò e sbrigava le faccende di casa con la stessa padronanza, come se stoviglie e turni di vigilanza fossero segmenti di un unico mestiere.
Mi aspettavano per festeggiare, non ne avevo voglia e accampai la scusa che non c’era il tempo. Dovevano prepararsi, l’appartamento di Mantova era bruciato e a breve gli uomini del Servizio centrale sarebbero venuti a prelevarci. Non volli indicare la destinazione finale, la presenza dei due sicari in città era una falla da chiarire e i miei sospetti, al riguardo, puntavano su Stefania. Era lei l’anello debole, ci avrei scommesso, ma la prudenza mi suggeriva di restare abbottonato con tutti. Avrei appurato i fatti appena possibile, nel frattempo bisognava andare.
Nell’aria però c’era anche un’incosciente allegria, le bambine avevano saputo dell’imminente arrivo del padre e in qualche modo occorreva festeggiare. Come sempre prevalse il compromesso. Giordano stappò il Franciacorta acquistato da Stefania con gesti sicuri, le piccole applaudirono al botto per poi avventarsi sulla torta. Per qualche minuto mi godetti lo spettacolo di una pace che sembrava sospendere il tempo, finché sul mio cellulare arrivò il messaggio che attendevo: Siamo in posizione.
Era il segnale convenuto. Con la mano sull’impugnatura della pistola mi affacciai sul pianerottolo e feci strada alla famiglia lungo le scale. Donne e bambini viaggiavano in ordine sparso, Steve procedeva a metà del gruppo e il maresciallo chiudeva la fila. Arrivammo alle auto senza incidenti.
Il viaggio non era lungo. Passai il tempo a guardare dal finestrino, meditando sulle cose da fare e su quelle che forse non avrei fatto mai. Sul mio futuro possibile con Vera. La vita è un percorso lineare, ma a volte si trasforma nel movimento circolare di una giostra ed è allora che ti frega, ti illudi di avanzare mentre stai solo girando in tondo.
Steve montò nell’altra auto, sospettai la scegliesse per non trovarsi con Stefania, che volli con me. La ragazza si addormentò quasi subito, la sua espressione beata mi trasmetteva un senso di amarezza al pensiero che non aveva motivo di gioire.
Durante il tragitto ricevetti diverse chiamate da Cordero, era in tensione per le notizie allarmanti ricevute e voleva accertarsi che non fossimo seguiti. Tranquillizzarlo non mi costò fatica, altri equipaggi ci facevano da staffetta e la situazione era sotto controllo, nessun pericolo in vista.
A un certo punto decisi anch’io di provare a riposare, ma come al solito ero fuori tempo, un minuto dopo imboccammo la strada piena di tornanti che ci avrebbe portati a destinazione. Tutte quelle curve mi scossero e mi resi conto che mi ero intorpidito, Stefania dormiva con la testa sulla mia spalla e non me n’ero accorto. L’autista del Servizio centrale invece sì, ci lanciava occhiate divertite dallo specchietto retrovisore. La allontanai dolcemente per non svegliarla. Mi girai indietro, Steve era accanto al conducente nell’auto che ci seguiva e per un attimo i nostri sguardi si incrociarono.
Se conosci a fondo qualcuno in un istante puoi cogliere tutto. In lui c’era la stessa ansia che provavo io per quella missione diversa dalle tante affrontate in precedenza. Rispondere dell’incolumità di una famiglia è un compito senza eguali, ti sembra di non avere abbastanza mani per proteggere, occhi per vedere, gambe e testa per portarti dove serve.
Speravamo entrambi che finisse al più presto, consegnare quella gente a una nuova casa e a chi ne avrebbe avuto cura era un obiettivo per il quale avremmo ceduto lo stipendio. Per Steve c’era anche altro. Il giovane carabiniere cresciuto fra Inghilterra e Campania in tutto quel suo ragionare aveva afferrato varie cose. La questione di Stefania era facile da risolvere, bastava lasciarsela alle spalle percorrendo a ritroso la strada che in quel momento mi provocava un leggero mal di testa. Quanto a Dineyra, però, non c’era soluzione. Lei forse non avrebbe saputo dell’altra, ma quel segreto sarebbe rimasto fra loro. Lo avrebbe portato con sé come un’ombra, si sarebbe trovato ad affrontare quell’oscura presenza ogni volta che avrebbe parlato con la sua promessa di un comune domani.
Superammo l’ultima curva. Non avevo misurato il tempo dalle notizie su Macrì e Buscemi alla decisione di cambiare località, dai festeggiamenti per l’arrivo di Nino alla partenza. Non avevo calcolato la durata del viaggio, non avevo previsto che nel frattempo anche l’altra procedura avviata con il dottor Cordero potesse completare il suo corso. Così rimasi sorpreso quando giunti alla nuova residenza, uno chalet di legno che per tre lati guardava le montagne, notai nel viale di accesso un SUV scuro.
Gli uomini del Servizio centrale sembravano già al corrente della novità. A bordo del veicolo non c’era nessuno, le persone che lo occupavano dovevano essere entrate. La porta dello chalet era socchiusa, mi avvicinai con sospetto nonostante la calma ostentata dai colleghi. Dall’interno giungevano voci maschili. Anche Maria era uscita dall’auto, se ne stava in piedi con le bambine alle gonne e il piccolo in braccio. L’aria era pungente, la respirai a pieni polmoni.
Mentre raggiungevo l’ingresso il mio sguardo fu attratto da uno spettacolo insolito: nel prato perfettamente curato che si stendeva ai bordi del viale, uno scoiattolo procedeva a balzi regolari verso il tronco di un pino. Mi divertii a osservarlo mentre puntava quell’albero coi suoi occhietti vispi e, arrivato ai suoi piedi, si arrampicava con incredibile agilità lungo il fusto. Sparì fra i rami in una manciata di secondi, una sequenza di movimenti perfetti che non si doveva a un faticoso allenamento, era un dono di natura.
Fu in quel momento che la sagoma dell’uomo apparve sulla soglia. Mi guardò ma non mi vide, i suoi occhi cercavano altro. Nello stesso istante la sua donna si staccò dalle figlie e cedette il piccolo alle braccia accoglienti della cugina. Pochi attimi per corrersi incontro e stringersi forte. Anche la loro ricerca di contatto era un moto istintivo, che trascendeva qualunque colpa o perdono. Per quell’abbraccio potevano vivere o morire, lo avvertii con una forza che mi stordì, e scorgendo una lacrima sulle guance di Nino distolsi lo sguardo.
Fu un istante di grande intensità. Ciascun elemento della scena – lo scoiattolo, le chiome dei pini mosse dal vento, i due corpi avvinghiati e oltre lo chalet le cime dei monti – era la tessera di un mosaico magnifico. Mi persi in quel chiarore, nel cielo un’aquila volava lontana.