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Il pavimento era freddo. Stefania sollevò di peso una delle bambine e la mise a sedere sul divano. Lei non fece una piega, per tutto il tragitto mantenne gli occhi sul televisore, che mandava in onda l’ennesima puntata di Peppa Pig. La zia ribelle sorrise. Alle piccole pesti si era affezionata, anche se non lo avrebbe ammesso neppure sotto tortura.
Maria era andata al centro commerciale. Con lo stipendio passato dallo Stato riusciva a gestire la famiglia in modo perfetto. La lista della spesa era la stessa di quando ci andava la cugina, ma se era lei a occuparsene spendeva la metà. Stefania si avvicinò al computer che per le sue mani era un regno proibito. Ma insomma, non era una bambina, l’aveva capito che Internet era un pericolo, sapeva usarlo molto meglio di Maria! La stronza continuava a comportarsi come se fosse sua madre, pur avendo appena quattro anni più di lei.
Quasi quasi lo faccio apposta, pensò guardando lo schermo, ma in quel momento l’altra sorellina scivolò dal divano e lei si precipitò a raccoglierla perché non prendesse freddo sul pavimento. Il piccolo era fuori con la mamma. Se lo portava dappertutto, ma a tenere Stefania impegnata bastavano e avanzavano le due creature più grandi.
Per tutto il giorno nella sua mente aleggiò una sorta di premonizione. Se lo sentiva, a Fiorediluna era arrivato un messaggio, e fremeva dal desiderio di controllare.
Al rientro della cugina uscì per distrarsi, le scuse per mettere il becco fuori non le mancavano, ma una lealtà prepotente la faceva resistere ancora. Si arrese al suo tarlo intorno alle cinque del pomeriggio, mentre il sole lottava contro il tempo e, invece di calare, sembrava voler salire sempre più in alto. Era un effetto dell’estate in arrivo, le giornate si allungavano, eppure fu quell’errore apparente a convincere Stefania, suggerendole che nemmeno la natura fosse costantemente fedele alle proprie leggi.
Raggiunse l’Internet point dove era stata la volta precedente, quando aveva inviato un messaggio al suo idolo musicale. Si avvicinò al banco per noleggiare un computer, il pakistano che gestiva l’esercizio la riconobbe e si astenne dal chiederle il documento d’identità. Le indicò una postazione libera che lei occupò rapidamente, prima che l’uomo potesse cambiare idea. Con la mente in subbuglio si collegò al suo profilo, chiedendosi perché quella sporca vita dovesse riservarle soltanto amarezze. Non aveva pure lei il diritto di sognare?
Quando vide la notifica le venne da piangere, il messaggio del ragazzo era arrivato davvero. Solo poche righe, le rilesse all’infinito e, malgrado la situazione, il dubbio che potessero nascondere un tranello non la sfiorò. Il suo cuore chiedeva altro e a quello rispose, lasciando che le dita battessero sulla tastiera al ritmo del suo respiro accelerato.
Ciao Domenico, io sto bene, e tu? Anche io sono felice di sentirti, mi dispiace solo che non possiamo vederci. E giù ancora, parole come un torrente. Parlò di se stessa e di quanto fosse duro vivere lontana dal loro mondo, in un ambiente freddo e nuovo. Di quanto avesse atteso quel messaggio, sperando di vederlo apparire fra tanti inutili avvisi pubblicitari.
Frenò la tentazione di scrivergli il nome della città, avrebbe desiderato che lui la raggiungesse in quel momento ma c’era la questione del segreto, e poi chi le diceva che gli interessasse, che fosse disposto a mettersi in viaggio per venirla a trovare? Meglio aspettare un riscontro più esplicito prima di esporsi alle inevitabili discussioni con Maria, che di amore non capiva niente e, nel vedersi piombare a Mantova un ragazzo del paese, sarebbe montata su tutte le furie.
Ma intanto che meraviglia, il padrone dei suoi sogni le aveva scritto! Ecco perché il sole non si decideva a tramontare, quel giorno non poteva finire. Doveva andare subito in piazza, cercare la Gina e raccontarle tutto davanti a uno spritz.
Si avviò a passo veloce, avrebbe corso, ma guai a dare nell’occhio, sua cugina glielo raccomandava di continuo.
Nello stesso istante una Nissan Qashqai si fermò di fronte alla sua abitazione, sul lato opposto. L’autista restò a bordo continuando a fissare il portone, a lasciare l’auto fu un uomo dalla sagoma corpulenta e i tratti scuri tipici del Sud. Si guardò intorno prima di attraversare la strada. Non c’era nessuno, poteva avvicinarsi. Al citofono suonò con tre squilli, poi fece un cenno al tipo rimasto in macchina e varcò il portone.
Maria andò ad aprirgli tenendo in braccio il suo piccolo. Le bambine videro passare l’estraneo e non lo salutarono, il televisore acceso nel soggiorno le risucchiava.
La padrona di casa e l’ospite inatteso avanzarono in silenzio verso la cucina. «Ha notato movimenti sospetti, signora Calabrò?» chiese l’uomo corpulento col suo marcato accento campano.
«Tutto a posto, maresciallo». Si concesse un mezzo sorriso. «Le faccio un caffè?».
Lui era già al terzo, ma rifiutare gli sembrava scortese e in più non era abituato a contarli. «Stefania dov’è?».
Maria minimizzò. «È appena uscita, fra poco dovrebbe tornare». Con i rappresentanti della legge bisognava dire il meno possibile, era una regola che le avevano inculcato da bambina e non sapeva agire diversamente, nemmeno adesso che la prospettiva si era ribaltata e gli sbirri erano diventati i suoi unici alleati.
«Quella ragazza ha capito che deve stare attenta a chi incontra?».
Lei accese il fuoco. «Lo sa, lo sa».
Nella sua voce c’era un accento di stizza. A sua cugina pensava lei, quel ficcanaso andasse a comandare a casa sua, ammesso che ne fosse capace. L’uomo però continuava a fissarla.
«Il contratto l’ha firmato» aggiunse Maria nel tentativo di rafforzare la frase precedente, senza riuscire a persuadere neppure se stessa.
Il maresciallo guardò fuori. Alle finestre di fronte non era affacciato nessuno, meglio così. «Bastasse un pezzo di carta» disse con tono dubbioso.
In dieci anni al Servizio centrale di protezione ne aveva viste tante. A fare casino erano sempre i tipi come Stefania, convinti di saperne più degli altri. E anche la cugina, in quanto a collaborazione, non era il massimo.
Sempre coi piedi in due scarpe, i cosiddetti pentiti e le loro famiglie, sempre a diffidare di tutti. Nemico lo Stato e nemica la mafia, una volta che il fosso era stato saltato. E in quante occasioni gli era capitato di vederli tornare sui loro passi e rilanciarsi sulla sponda del crimine, magari in nuovi affari e con inedite alleanze.
Mentre sorseggiava il suo caffè, il maresciallo Giordano osservò Maria riordinare la cucina e di colpo si sentì stanco. Forse era il momento di ritirarsi, la pensione l’aveva maturata e doveva acciuffarla in tempo prima che il governo le tagliasse un’altra volta. La crisi mordeva, un tunnel buio di cui non si vedeva la fine.
Domenico Macrì nel mondo del lavoro era appena entrato e non gli risultava che la ’ndrangheta avesse un ente di previdenza. Senza dire una parola raggiunse la cucina e ritirò dal tavolo la tazza di latte fumante e il pacco dei biscotti. Erano quasi finiti, considerò con fastidio, riservandosi di protestare al riguardo con la madre. Aveva da pensare solo alla casa, possibile che non fosse capace di preparargli una colazione decente?
In preda al nervosismo tornò ciabattando nella sua camera. Nell’attraversare il soggiorno scorse suo padre addormentato sul divano, il televisore acceso e il volume alto. Una cosa era certa: piuttosto che diventare come lui, meglio finire con un coltello nella pancia. Accese il computer. Aveva controllato la sera precedente, ma prima di partire per Segrate volle farlo un’ultima volta. Gli apparvero nuovi messaggi e li scorse lentamente, fino a che l’immagine della vittoria non si disegnò sul suo viso.
C’era anche quello di Fiorediluna. Lo lesse in fretta e con una punta di irritazione, le smancerie romantiche lo annoiavano. In una riga, di più non serviva, le rispose che l’avrebbe rivista volentieri. Prima di inviare si fermò, così non bastava. Con una come Stefania non bisognava perdere tempo, doveva mostrarsi intraprendente se non voleva fare cattiva figura. Le scrisse che gli capitava spesso di pensare a lei, specie la sera, e che una notte l’aveva sognata. Però non posso dirti cosa facevamo. L’allusione al sesso era un modo per alzare la posta, suscitando il suo desiderio.
Sperò che abboccasse e gli dicesse dove si trovava. Cosa sarebbe avvenuto a quel punto non lo sapeva. Secondo le disposizioni del capo la vittima designata era il piccolo, ma non era detto che la vendetta si fermasse a lui, in un’azione la prima regola era non lasciare testimoni, e Vito Buscemi non era tipo da risparmiare sui proiettili. Spense il computer con un misto di soddisfazione e rimorso.