Giulio Cesare e Augusto
avevano dotato Atene di un sontuoso mercato cittadino, costruito
con marmi grigi e bianchi, noto con il nome di Agorà romana (la
costruzione si era protratta per una quarantina di anni dal 51 al
10 a.C.). Si accedeva da due ingressi monumentali, quello ovest in
direzione dell’Agorà servì come bacheca per trascrivere su un
pilastro un decreto di Adriano che aveva valore di legge. Era stato
emanato dopo il suo primo viaggio ufficiale, per evitare che la
città rimanesse a corto di olio e che gli speculatori lucrassero
sul prodotto (la produzione dell’Attica era una delle più
abbondanti della Grecia). Un terzo dell’olio doveva essere venduto
a pubblici funzionari per essere distribuito in città, il resto
poteva essere esportato. Ogni transazione era regolata da atti e
dichiarazioni notificate, da controlli incrociati e da una serie di
multe in denaro. Nelle controversie più difficili l’ultima parola
spettava all’imperatore.