3. Adriano urbanizza i giardini Lolliani su Esquilino e Viminale per le figlie di Matidia. Vedi § 38, tavv. 4a-b.
Quando divenne capitale del regno, Roma ha subito una grande trasformazione urbanistica, soprattutto dove sono state erette le sedi dei nuovi Ministeri e dove è stata realizzata la nuova Stazione Ferroviaria di Termini. È stata l’età delle grandi scoperte archeologiche. Nella piazza della stazione sono stati rinvenuti nel 1862 resti cospicui di abitazioni, integrati dopo quasi un secolo da nuovi scavi.
Qui, tra le pendici sud-orientali del Viminale e l’Esquilino, si estendevano, fino all’aggere delle mura di Servio Tullio, gli horti Lolliani, una grande proprietà privata passata al demanio probabilmente al tempo di Claudio, e su cui quindi Adriano aveva piena libertà di azione. Proprio al limite settentrionale degli orti, tra vicus Patricius e aggere serviano, Adriano aveva fatto costruire un intero quartiere. Strade basolate delimitavano insulae, cioè appartamenti a più piani dati spesso in affitto e tabernae; a sud del quartiere vi era una fullonica, per tingere e lavare le stoffe. Tra insulae e fullonica c’era un’imponente e ricca casa molto ben conservata al momento della scoperta, la cui costruzione è databile per i bolli rinvenuti nelle murature (CIL, XV 974: 123 d.C.) e per la prima fase di decorazioni (130-140 d.C.) all’età adrianea; agli anni intorno al 160 d.C. risale la prima ristrutturazione della casa, testimoniata dalla maggior parte dei mosaici pavimentali conservati. Poco tempo dopo, tra il 180 e la fine del II secolo d.C., erano state nuovamente decorate alcune stanze e restaurati alcuni muri nei quali sono stati rinvenuti mattoni realizzati nei praedia di Faustina Augusta, la minore, moglie di Marco Aurelio (tav. 1), databili tra 161 e 176 d.C. (CIL, XV 399). All’età severiana, sono databili gli ultimi interventi strutturali (CIL, XV 628) e la maggior parte degli affreschi conservati. Dai bolli di quest’ultima fase, prodotti nei praedia dei due Augusti (Settimio Severo e Caracalla) possiamo dedurre che ancora nel III secolo domus e orti rimanevano di proprietà imperiale.
La domus aveva una particolare forma triangolare dettata probabilmente dalla volontà di occupare tutto lo spazio disponibile ed era articolata in due settori: uno residenziale e uno occupato da un impianto termale, esteso su circa i due terzi dell’intero edificio. L’accesso agli ambienti residenziali avveniva da ovest. Il vestibolo, affiancato da cella ostiaria, immetteva in un atrio con impluvio – qui ancora presente a differenza delle moderne e alla moda case di Traiano e Sura – su cui si aprivano diverse sale, tra le quali, la principale, con funzione di rappresentanza, l’oecus, era posta a nord dell’atrio stesso; questa aveva estremità absidata, era riccamente decorata e costituiva il culmine della domus.
Anche agli ambienti termali si accedeva prioritariamente da ovest, ma era presente anche un accesso secondario da sud, in entrambi i casi direttamente dalla strada. Tale circostanza ha fatto pensare a un uso pubblico dei bagni o, quanto meno, a una frequentazione non esclusivamente privata degli spazi, ipotizzando che l’impianto fosse aperto almeno alla clientela e all’entourage dei ricchi proprietari. La distribuzione degli ambienti assicurava un percorso termale canonico: dall’ingresso principale si entrava in una grande sala con due absidi interpretabile come spogliatoio (apodyterium). Si passava nella sala ottagonale con vaschette angolari e grande vasca di acqua fredda (frigidarium); si giungeva infine agli ambienti riscaldati (tepidaria e calidarium). L’edificio era alimentato dai rami dei vicini acquedotti Marcio, Tepulo e Giulio.
L’identificazione della proprietà è resa possibile, ed è certa, dal rinvenimento in situ di tre oggetti:
– nel frigidario delle terme, ancora sulla sua base, vi era una statua di Faustina maggiore, figlia di M. Annio Vero e Rupilia Faustina, quindi nipote di Matidia; era poi divenuta moglie di Antonino Pio, madre di Annia Galeria Faustina minore e quindi zia e suocera di Marco Aurelio (tav. 1). La statua è stilisticamente databile al 160 d.C. circa;
– nell’atrio della domus la fistula collegata all’impluvio aveva impresso il nome di Marco Aurelio: [Imp. C]aes. Antonin. Aug. N. L’iscrizione per titolatura e paleografia è databile al 161 d.C.;
– presso la scala che conduceva ai piani superiori della domus, sul pavimento del vicus, era la fistula di [Vibia Au]relia Sabina, figlia di Marco Aurelio e Faustina minore e sorella di Commodo (tav. 1). Poiché qui Vibia Aurelia Sabina è detta Divi filia, cioè figlia di Marco Aurelio già divinizzato, la fistula deve essere datata dopo il 180 d.C.
Questi tre elementi permettono di identificare i proprietari della domus nel periodo della prima ristrutturazione di età antonina: Marco Aurelio e la moglie dal 160 d.C. circa in poi e sua figlia Vibia Aurelia dopo il 180 d.C. Marco Aurelio potrebbe aver ricordato con una statua Faustina maggiore, sua zia paterna, che poteva aver già abitato la casa. Questa potrebbe essere stata costruita da Adriano negli ultimi anni del regno, per lei, o più probabilmente, in previsione di future successioni, per sua madre, Rupilia Faustina, sorellastra di sua moglie Sabina (tav. 1): Rupilia era l’unica della famiglia ad aver avuto figli e l’unica che poteva assicurare ad Adriano una discendenza maschile per le future successioni (Vedi § 38). Rupilia potrebbe aver abitato qui pochi anni (è morta nel 138 d.C.), lasciando in eredità la casa a sua figlia, moglie di Antonino Pio, adottato da Adriano proprio nel 138.In quegli stessi anni, forse per assicurare una residenza a sua moglie Sabina che, morto lui, avrebbe dovuto lasciare il palazzo, aveva fatto costruire un’altra casa negli stessi giardini Lolliani. Forse ne aveva prevista una terza per la terza figlia di Matidia, Matidia minore (tav. 1), ma di questa non è rimasta traccia. Una fistula di Sabina Aug[usta] invece è stata rinvenuta in Piazza Vittorio (tav. 4b, n. 2b) a soli 650 metri dalla casa di sua sorella Rupilia. Identifichiamo la casa di Sabina, alimentata da questa conduttura, con quella rinvenuta nel 1777 a soli 200 metri dalla fistula (tav. 4b, n. 2a), nella Villa Montalto Negroni (vedi anche Monumento 2), tav. 3b, C). La domus è databile al 134 d.C. per alcuni bolli rinvenuti nelle murature (CIL, XV 515a) e aveva impianto simile a quelle di Traiano e Sura, senza atrio. Qui il vestibolo era preceduto da un protiro con due colonne su una breve gradinata; a sinistra si accedeva a un vano con scala che conduceva al secondo piano, non conservato. A destra si accedeva a un primo ambiente quadrato collegato con uno ulteriore della stessa misura (un cubiculum con anticamera?). Da questo e dal vano scala si accedeva lateralmente a un’ampia sala di rappresentanza, un tablinum, aperto sul braccio lungo del triportico di un ampio peristilio, con vasca centrale. In asse con il tablino, sull’altro lato lungo del peristilio, non porticato, si apriva, al centro, un oecus con ingresso colonnato, fiancheggiato da una stanza per lato, probabilmente due triclinia. Gli acquarelli settecenteschi riproducono gli affreschi che decoravano tutti gli ambienti della domus con i temi dell’Amore, del vino e della musica.
M.R. Barbera, R. Paris, Antiche Stanze. Un quartiere di Roma imperiale nella zona di Termini, Catalogo della mostra, Milano 1996 – F. Fraioli, Region V. Esquiliae, in Atlas 2017, pp. 323-341, tabb. 126, 128.