17. Il tempio dei divi Traiano e Plotina. Vedi §§ 53, 90, tav. 16a-16b.
Nella biografia di Adriano dell’Historia Augusta sono segnalati alcuni degli innumerevoli monumenti (opera infinita) che l’imperatore aveva eretto e si specifica che mai aveva associato a essi il proprio nome a eccezione di un unico caso: il tempio costruito in onore del padre adottivo Traiano (Storia Augusta. Vita di Adriano, 19.9), realizzato per celebrare il genitore morto nel 117 e subito divinizzato. Al culto fu associata poi sua moglie Plotina, divinizzata nel 123 d.C., in virtù del profondo rapporto che l’aveva legata ad Adriano e della riconoscenza di quest’ultimo nei suoi confronti. Poco altro sappiamo di questo tempio, che Aulo Gellio (Notti attiche, 11.17.1) collega a una biblioteca nella quale erano conservati gli editti degli antichi pretori (sulla raccolta degli editti e l’emanazione dell’editto perpetuo di Adriano vedi § 96). Per lungo tempo si è discusso sulla posizione e sulla stessa esistenza del tempio. Scavi ottocenteschi nel cortile della Colonna Traiana e nell’area adiacente a settentrione avevano già individuato muri del podio e vari elementi architettonici, in una posizione congrua rispetto a quella generale dei templi negli altri impianti forensi. Decisivi infine sono stati gli scavi effettuati nei sotterranei di Palazzo Valentini e nelle aree circostanti tra il 2005 e il 2011 e poi nel 2015, che hanno rivelato la presenza in più punti di una spessa platea di fondazione in cementizio sulla quale si innalzavano sia uno stilobate di blocchi in travertino che sosteneva quattro vani del podio templare, delimitati da muri in opera laterizia larghi 1,20 m e coperti da volte a crociera – muri già in parte visti nell’Ottocento – sia muri in opera quadrata con blocchi enormi di travertino e peperino (1,50 × 0,94 × 0,64 m). Alcuni bolli del 121 d.C. (CIL, XV 344) riportano la costruzione del tempio ai primi anni del principato di Adriano. I vani in laterizio sopra descritti facevano parte di un sistema di otto ambienti, disposti in due file affiancate e comunicanti (ciascuno di 28-30 m2), sui quali doveva erigersi la cella del tempio. Un vano più ampio, non rinvenuto, poteva sostruire il pronao mentre i muri in enormi blocchi dovevano sostenerne le colonne. Il podio, largo nel suo complesso 27 m circa e costituito, come si è detto, da concamerazioni voltate, appartiene a un tipo noto anche in altri templi come Marte Ultore e Antonino e Faustina a Roma, Roma e Augusto e il Capitolium a Ostia, il Tempio di Giove a Pompei ecc. (Baldassarri 2013) e poteva sostenere colonne alte 50 piedi romani (quasi 15 m) e dal diametro massimo di 1,90 m. A queste colonne appartengono i colossali frammenti monolitici in granito grigio, noti da scavi avvenuti in quest’area tra il Cinquecento e oggi, che sono associabili a capitelli corinzi in marmo bianco, anch’essi colossali (alti 2,03 m). Sulla base delle dimensioni e dei confronti, le colonne poste sulla fronte del tempio dovevano essere sei, come sarà nel tempio dei divi Antonino e Faustina che ne imiterà probabilmente le forme. Grazie a queste evidenze, per primi – dopo gli ultimi scavi – abbiamo proposto fino dal 2011 una ricostruzione analitica, realizzata da F. Cavallero, del tempio come prostilo ed esastilo, inserito in una corte a ferro di cavallo (“Archeologia Viva”, n. 149, 2011 e A. Carandini, P. Carafa [a cura di], Atlante di Roma antica, Milano 2012, tavv. 52-54, 271-272), che pare oggi a noi ancora soddisfacente. Una ricostruzione analoga era già stata supposta da A. Claridge, la quale però non poneva il tempio nell’asse del foro (A. Claridge, “Hadrian’s lost Temple of Trajan”, in JRA 20, 2007, pp. 54-94). Nel 2013 la proposta dell’Atlante è stata ignorata ed è stata pubblicata un’altra pianta ricostruttiva, che a noi non convince, con un tempio più profondo, periptero sine postico (cioè privo di colonne sul lato di fondo) con una fila di otto colonne sulla fronte e otto sui lati lunghi (Baldassarri 2013; poi con due file di otto colonne sulla fronte e nove sui lati lunghi in Baldassarri 2016-2017), basata sul confronto con il Tempio di Marte Ultore e con alcune monete (vedi per esempio BMC III, nn. 863-866, tav. 32, 8-9, pp. 182-183) che rappresentano però un tempio edificato sotto Traiano e non il tempio di cui qui si tratta, il quale – ove fosse ottastilo – andrebbe addirittura a coprire la strada esterna alla piazza e a eliminarne il peribolo ponendo così il tempio a stretto contatto – del tutto insolito – con le residenze circostanti. Ad altre decorazioni del tempio dovevano appartenere i frammenti di cornici e trabeazioni in marmo bianco e i rocchi di colonna in marmo cipollino, pavonazzetto e giallo antico (probabilmente dall’interno) rinvenuti a più riprese nell’area. È verosimile ipotizzare che il tempio fosse accolto entro una piazza colonnata a ferro di cavallo, come lasciano supporre sia una strada basolata con simile andamento che circonda la piazza all’esterno, sia la posizione radiale delle tre sale aperte su di essa nelle quali è stato riconosciuto l’Athenaeum di Adriano (Monumento 18). Il tempio completava a nord l’ultimo dei fori imperiali, rispettandone l’asse, oltre la colonna coclide nella cui base erano custodite le ceneri dei due divi. La connessione fra il tempio e la colonna è attestata ancora nel IV secolo d.C. nei Cataloghi Regionari (Regio VIII): templum divi Traiani et columnam cochlidem (R. Valentini, G. Zucchetti [a cura di], Codice topografico della città di Roma, I-IV, Roma 1940-1953). Tra la colonna e il tempio veniva a trovarsi l’ingresso monumentale al foro, verso il Campo Marzio, noto da alcune monete (vedi per esempio l’aureo del 112-113 d.C., BMC 509, Cohen 168, RIC 257; vedi tav. 5d; E. La Rocca, Templum Traiani et columna cochlis, in MDAI[R] 111, 2004, pp. 193-238 e c.s.) probabilmente in seguito sostituito dall’arco partico. La compiutezza dell’intero programma del foro, tempio compreso, fa pensare a un progetto unitario di Apollodoro di Damasco (Cassio Dione, 69.4.1) voluto da Traiano, il quale doveva aver già previsto il tempio come Adriano doveva aver già previsto e progettato il proprio tempio da divo, l’Hadrianeum, realizzato poi da Antonino Pio (Monumento 11).
È esclusa di seguito la bibliografia anteriore al 2012, data di pubblicazione dell’Atlante di Roma antica. F. Cavallero, “Il Foro di Traiano”, in Region VIII. “Appendice. La ricostruzione dei Fori Imperiali”, in A. Carandini, P. Carafa (a cura di), Atlante di Roma antica, Milano 2012, pp. 220-221 – P. Baldassarri, Alla ricerca del Tempio perduto: indagini archeologiche a Palazzo Valentini e il Templum divi Traiani et divae Plotinae, in “ArchCl” 64, 2013, pp. 371-481 – A. Claridge, “Hadrian’s Succession and the Monuments of Trajan”, in Th. Opper, Hadrian: Art, Politics and Economy, London 2013 – P. Baldassarri, “Le indagini archeologiche a Palazzo Valentini (Roma) e il tempio dei divi Traiano e Plotina”, in L’Africa Romana, XX Convegno di studi (Alghero 26-29 settembre 2013), Roma 2015, pp. 1689-1716 – P. Baldassarri, Templum divi Traiani et divae Plotinae: nuovi dati dalle indagini archeologiche a Palazzo Valentini, in RendPontAcc 89, 2016-2017, pp. 599-648 – F. Cavallero, Il Foro di Traiano, in Region VIII. “Appendix. The recostruction of the Imperial Forums”, in A. Carandini, P. Carafa (edd.), Atlas of Ancient Rome, Princeton and Oxford 2017, pp. 210-211. Mentre scrivevo questo testo ho avuto modo di consultare un articolo, al momento inedito, di E. La Rocca, Il tempio dei divi Traiano e Plotina, l’arco partico e l’ingresso settentrionale al Foro di Traiano: un riesame critico delle scoperte archeologiche, che predilige la ricostruzione di un tempio esastilo proposta nell’Atlante e che propone una convincente soluzione per l’arco partico sopra ricordato.