A sud del complesso della
prefettura urbana (Monumento 19, tav. 17)
sorgevano, verso ovest, gli horrea
Piperataria, i grandi magazzini delle spezie che in età
domizianea avevano preso il posto di uno dei portici neroniani che
fiancheggiavano la Sacra via
(Atlas, tab. 110). Nerone aveva
allargato e monumentalizzato la via, a somiglianza della via
canopica di Alessandria d’Egitto, e l’aveva resa la via d’accesso
alla sua enorme residenza. A est degli horrea rimaneva ancora, ormai defunzionalizzato,
il vestibulum della domus Aurea. Vespasiano lo aveva trasformato in
portico al centro del quale si ergeva il colosso di Nerone, già da
lui ritoccato (Svetonio, Le vite dei Cesari.
Vespasiano, 18). Nel 121 Adriano aveva cominciato a mettere
mano anche alla ristrutturazione dell’ideologia religiosa del suo
impero. Aveva rifondato i Parilia,
antica festa pastorale in cui si celebrava l’antica Pales/Palatua dea del
Palatino; da quell’anno la festa del 21 aprile veniva chiamata
Romaia, a memoria del giorno della
fondazione di Roma (fig. 20). In
quella stessa occasione aveva votato il Tempio di Roma e Venere,
madre di Enea e progenitrice della gens
Iulia. Aveva in mente un progetto grandioso (Cassio Dione
69.4) che realizzò con l’aiuto di Decriano. L’unico spazio
sufficientemente ampio, nel cuore della città, che poteva ospitare
il tempio della rifondazione, connesso con gli uffici che la città
gestivano – la prefettura urbana, vedi Monumento 19 –, era lì, sulle pendici della
Velia, al posto del vestibolo della casa di Nerone. Bisognava però
spostare il colosso di Nerone, ora definitivamente trasformato in
Sol. Adriano aveva anche incaricato
Apollodoro di Damasco di fare una statua gemella dedicata alla
Luna (Storia
Augusta. Vita di Adriano, 19.12-13). Sarebbero state
disposte a est del complesso, nella piazza davanti all’anfiteatro.
Forse per la definitiva rottura dei rapporti con Apollodoro la
statua di Luna non fu mai realizzata,
e solo la statua di Sol fu portata,
non senza sforzi (Vedi § 64),
davanti all’Anfiteatro Flavio. La disputa verteva proprio sul
progetto del Tempio di Roma e Venere. Adriano aveva infatti chiesto
ad Apollodoro un parere sul progetto; l’architetto aveva risposto
che sarebbe stato meglio costruire il tempio su un’alta sostruzione
cava, da una parte per renderlo maggiormente visibile, dall’altro
si sarebbe creato lo spazio per conservare nascoste le macchine da
usare nel vicino anfiteatro. Ma quello che aveva davvero causato
l’ira di Adriano, era il fatto che Apollodoro avesse evidenziato un
grave errore di progetto dell’imperatore: le statue di culto delle
dee previste da Adriano erano troppo grandi e se avessero voluto
non avrebbero potuto alzarsi in piedi! Non potendo rimediare
all’errore, e non essendo riuscito a controllare l’ira, aveva
condannato a morte Apollodoro con un pretesto (Cassio Dione, 69.4).
Sta di fatto che sono state trovate le fondazioni di una sola
enorme base (circa 13,25 × 16,25 m); solo Sol appare nei coni monetali accanto
all’anfiteatro, per questo dall’XI secolo chiamato Colosseo (vedi
tav. 18, A). Il
progetto era effettivamente grandioso e un’assoluta novità. I due
culti erano ospitati non in un’unica cella bipartita o in due celle
affiancate, ma ciascuna dea aveva la sua cella con ingresso
contrapposto: Roma a ovest, con accesso dalla parte del foro, e
Venere a est (Prudenzio, Contro
Simmaco, 1.217-218). Erano divise da un muro centrale, ma
collegate da due passaggi posti alle due estremità del muro
divisorio. Erano circondate sulla fronte da tre file di dieci
colonne e sui lati lunghi da due file di ventidue colonne in marmo
proconnesio con capitelli corinzi. Il doppio tempio era al centro
di un’imponente spianata con grande scalinata, chiusa da cancelli
verso il foro; dal lato opposto, verso l’anfiteatro, era
accessibile invece da due scalinate angolari, a due rampe, davanti
alle quali, alla quota più bassa della piazza, erano i due colossi.
Sui lati lunghi la platea era cinta da stretti portici colonnati,
con al centro due accessi monumentali. Sappiamo che oltre alle
grandi, troppo grandi, statue di culto (vedi la disputa tra Adriano
e Apollodoro ricordata da Cassio Dione, cit., § 63),
ai lati del tempio vi erano due colonne su cui campeggiavano delle
statue (vedi tav. 18, B, n.
1), forse di Adriano e Sabina, altre statue erano davanti alle
colonne del fronte (tav. 18, B, n.
2). Ci vollero circa vent’anni per portare a termine il complesso:
fu dedicato da Adriano, secondo i Cronografi di Cassiodoro e S. Girolamo, nel 135
d.C., ma sembra che i lavori si protrassero ancora sotto l’impero
di Antonino Pio fino al 140-144 d.C., come testimonierebbero alcune
sue monete (Roman Imperial Coinage
III, n. 622). Tale data sarebbe confermata anche da alcuni bolli
laterizi del 134-137 d.C. (CIL, XIV
317, 1030a) rinvenuti nelle sostruzioni del tempio.
A. Cassatella, S. Panella,
Restituzione dell’impianto adrianeo del
Tempio di Venere e Roma, in “Archeologia Laziale”, 10.2,
1990, pp. 52-57 – A. Cassatella, s.v. Venus et Roma, Aedes,
Templum, in LTUR V, 1999, pp. 121-123
– F. Fraioli, Region IV. Templum
Pacis, in Atlas 2017, pp.
281-306.