Abbiamo qualche indizio per
ipotizzare che Adriano non sia stato cremato, ma che il suo corpo
sia stato inumato. Esiste un rilievo di Sabina che sale in cielo al
di sopra del suo ustrinum o pira
(Monumento 7),
ma non ne abbiamo uno per Adriano; tra le monete manca un conio di
Adriano divo con ustrinum sul rovescio
mentre conosciamo i rovesci con pire per Antonino Pio, Faustina
maggiore, Marco Aurelio, Faustina minore, Lucio Vero, Commodo e
Settimio Severo, e dopo di loro ancora per Valeriano II, Claudio
Gotico e Costante (RIC, voll. II-IVa,
Va, VIII, 1926-1936, 1981). Non sono noti un suo ustrinum in Campo Marzio (Monumento 8), né una colonna
eretta in sua memoria e che avrebbe potuto contenere l’urna delle
sue ceneri. Abbiamo invece la cella sepolcrale nel suo sepulchrum in forma di mausoleo, da lui
progettato; la cella (tav. 13a, n. 11)
era posta al disotto della tholos o
rotonda per il culto del divus, che si
trovava in cima al monumento (tav. 13a, n.
16). La camera sepolcrale invece era al secondo livello e vi si
accedeva percorrendo una rampa circolare che se proseguita portava
alla terrazza superiore (vedi Monumento 12, tav. 13a, n. 8 e
sezione a-a’ con pianta del secondo piano). La camera era un
quadrato cavo (16,22 m di lato); era rivestito tutto intorno da un
primo muro di cementizio spesso un metro. Più file di blocchi di
peperino accostati creavano uno spessore ulteriore di circa tre
metri, che riduceva considerevolmente lo spazio interno della
camera (8,13 × 8,38 m). I blocchi di peperino mostrano le cavità
lasciate dalle grappe per fissare le lastre marmoree di
rivestimento. La camera era coperta da una volta a botte rivestita
di stucchi. Al centro di ciascuna parete vi era una nicchia
rettangolare con sommità centinata, ottenuta non mettendo in opera
la fila esterna di blocchi di peperino. La nicchia opposta
all’ingresso, in posizione centrale e privilegiata, è la maggiore
(3,94 × 1,61 m); le due laterali erano leggermente più piccole
della centrale ma avevano tra di loro identiche misure (3,59 × 1,50
m). Tali nicchie potrebbero essere un ulteriore indizio
dell’intenzione di utilizzare sarcofagi, che in esse dovevano
essere accolti – per cui potremmo chiamarle arcosoli –, più che
urne che normalmente erano poste in nicchie di dimensioni assai
inferiori e aperte di solito nelle pareti, ma non a partire dal
pavimento. In alternativa possiamo ipotizzare che le sue ceneri
siano state custodite in un’urna a sua volta inserita nel sarcofago
di porfido com’era accaduto nel caso di Nerone (Svetonio,
Le vite dei Cesari. Nerone, 50).
Adriano aveva forse destinato la nicchia principale a sé e le altre
due probabilmente ai suoi più immediati successori – Antonino Pio e
Marco Aurelio – pensando che anche loro avrebbero scelto, dopo di
lui, di essere inumati in sarcofagi di dimensioni minori. Così non
è stato, poiché i primi due successori preferiranno il rito
tradizionale dell’incinerazione (vedi sopra le monete, gli
ustrina e le colonne in Campo Marzio).
L’ipotesi che Adriano non fosse stato cremato risale molto indietro
nel tempo, infatti era noto il sarcofago colossale e porfireo
dell’imperatore. Due sono le storie che C. D’Onofrio è riuscito a
ricostruire ricucendo le scarse notizie delle fonti medievali e
rinascimentali: la storia della vasca e la storia del coperchio del
sarcofago. Più breve e meno travagliata, anche se finisce peggio, è
la storia della vasca. I Mirabilia urbis
Romae del 1143 dedicano il capitolo 21 al sepolcro di
Adriano, chiamato Castello. Secondo questa guida medievale, la
vasca del sarcofago di porfido di Adriano si trovava in Laterano,
vicino a un lavatoio, probabilmente nella piazza lateranense dove
più tardi fu eretto l’obelisco. Intorno al 1170 in una descrizione
della Basilica di San Pietro, il canonico Pietro Mallio ricordava
che in quella vasca di porfido era stato inumato papa Innocenzo II,
morto nel 1143, sepolto in un primo momento in Santa Maria in
Trastevere e riportato nel 1148 in Laterano, non sappiamo se
all’interno della basilica o fuori, ma nelle immediate vicinanze
com’è possibile ricostruire dai successivi eventi del 1307. La
notizia dell’uso della vasca per Innocenzo II è confermata in
quegli stessi anni da Giovanni Diacono, canonico di San Giovanni in
Laterano. La tomba di Innocenzo II è rimasta indisturbata fino al
1307, quando per un incendio e il conseguente crollo della basilica
lateranense la vasca è andata in pezzi, conservati ancora nel 1560
ma poi dispersi tra il 1585 e il 1590. Del coperchio si hanno
notizie più antiche. Leone Diacono, cronista bizantino attivo
intorno al 1000, racconta che Ottone II, re di Germania e
imperatore del sacro romano impero (973-983), era stato l’unico
imperatore germanico a essere stato sepolto a Roma. La sua tomba
era sotto il coperchio di porfido capovolto che era stato del
sarcofago dell’imperatore Adriano. La sepoltura era nel
quadriportico chiamato Paradiso, antistante la Basilica di San
Pietro. Non sappiamo esattamente quando, ma almeno tra il 1143
(anno di edizione dei Mirabilia in cui
è data la notizia) fino almeno al 1227 (edizione del Liber Censuum di Cencio Camerario, poi papa Onorio
III), il coperchio copriva la tomba del prefetto, posta nella
stessa posizione della più antica tomba di Ottone, ovvero nel
Paradiso della basilica vaticana. C. D’Onofrio ritiene che questo
anonimo prefetto, a più riprese nominato come proprietario del
sepolcro dotato di questa eccezionale copertura, non sia una sola
persona, bensì tutti i prefetti della famiglia di Vico, dinastia
potentissima per tutto il medioevo i cui membri ricoprirono la
carica di prefetto fino alla metà del Quattrocento. Probabilmente
nel 1486 il coperchio fu restituito a Ottone II, o meglio tornò a
coprire la tomba di Ottone II, almeno fino al 1527, quando il sacco
dei Lanzichenecchi al seguito di Carlo V aveva portato distruzione
e devastazione a Roma: nel 1550 infatti, quel coperchio così
prezioso si trovava ormai a terra e serviva da latrina ai
mendicanti. Nel 1569 sembra fosse tornato a coprire la tomba di
Ottone. E si giunge al penultimo capitolo della storia del
coperchio. Nel 1610 si era resa necessaria la demolizione del
Paradiso per far spazio alla costruzione della nuova basilica. Le
tombe quindi furono aperte e i corpi traslati nelle Grotte
Vaticane. È conservata la cronaca della traslazione dei resti di
Ottone: la tomba era priva di qualunque elemento di corredo
(probabilmente depredato nel 1527); il corpo era stato trasferito
in una nuova vasca marmorea e quella dove era stato per secoli era
andata a finire al Quirinale. Il coperchio invece sembrava aver
trovato pace nelle Grotte Vaticane. Ma non è andata così. Dalle
Grotte, nel 1698 l’architetto Carlo Fontana lo ha prelevato
scegliendolo per la sua eccezionalità per rilavorarlo e creare un
degno fonte battesimale per la basilica vaticana. Per nostra grande
fortuna in quell’occasione, prima delle modifiche, il coperchio era
stato rilevato e disegnato con precisione, per cui conosciamo
l’aspetto e le misure del coperchio (da cui si possono dedurre
quelle della vasca andata in pezzi e dispersa nel Cinquecento). In
origine il coperchio aveva i due lati lunghi dritti e paralleli,
una estremità, quella a cui corrispondeva la testa del defunto,
semicircolare, e l’altra dritta per accoglierne i piedi. Misurava
più di palmi 16,5 × 8,5 m, cioè 3,70 × 1,90 m. Le grandissime
dimensioni, la forma che ricorda addirittura quella dei sarcofagi
faraonici del XV e XIV secolo a.C. e dell’epoca ellenistico-romana
in Egitto e il materiale riservato a imperatori e divinità, fanno
di questo sarcofago un’opera del tutto eccezionale (Vedi §
123-124).
Che il sarcofago di porfido, smembrato tra Vaticano e Laterano, sia
effettivamente quello dell’imperatore Adriano, potrebbe essere
confermato, oltre che dalla lunghissima tradizione di
identificazione, dalle misure stesse del coperchio, che sembrano
calcolate al centimetro per permettere al sarcofago di essere
esposto nella nicchia centrale della camera sepolcrale del Mausoleo
di Adriano, Camera che sin dal 1000 circa era identificata come
primo e originario luogo di conservazione del sarcofago. La nicchia
è larga 3,94 m – solo 24 cm in più del sarcofago, 12 cm per parte –
uno spazio sufficiente per accogliere il sarcofago anche calcolando
lo spessore delle lastre che debitamente rivestivano la
nicchia.
C. D’Onofrio, Castel Sant’Angelo, 1971, in particolare capitolo
VI: “La sepoltura di Adriano”, pp. 145-173 – M. Vitti, “Il Mausoleo
di Adriano, costruzione e architettura”, in L. Abbondanza, F.
Coarelli, E. Lo Sardo (a cura di), Apoteosi.
Da uomini e dei. Il Mausoleo di Adriano, Roma 2014, pp.
244-267.