13. Il colossale sarcofago porfireo. Vedi §§ 111, 123-126; tav. 13b.
Abbiamo qualche indizio per ipotizzare che Adriano non sia stato cremato, ma che il suo corpo sia stato inumato. Esiste un rilievo di Sabina che sale in cielo al di sopra del suo ustrinum o pira (Monumento 7), ma non ne abbiamo uno per Adriano; tra le monete manca un conio di Adriano divo con ustrinum sul rovescio mentre conosciamo i rovesci con pire per Antonino Pio, Faustina maggiore, Marco Aurelio, Faustina minore, Lucio Vero, Commodo e Settimio Severo, e dopo di loro ancora per Valeriano II, Claudio Gotico e Costante (RIC, voll. II-IVa, Va, VIII, 1926-1936, 1981). Non sono noti un suo ustrinum in Campo Marzio (Monumento 8), né una colonna eretta in sua memoria e che avrebbe potuto contenere l’urna delle sue ceneri. Abbiamo invece la cella sepolcrale nel suo sepulchrum in forma di mausoleo, da lui progettato; la cella (tav. 13a, n. 11) era posta al disotto della tholos o rotonda per il culto del divus, che si trovava in cima al monumento (tav. 13a, n. 16). La camera sepolcrale invece era al secondo livello e vi si accedeva percorrendo una rampa circolare che se proseguita portava alla terrazza superiore (vedi Monumento 12, tav. 13a, n. 8 e sezione a-a’ con pianta del secondo piano). La camera era un quadrato cavo (16,22 m di lato); era rivestito tutto intorno da un primo muro di cementizio spesso un metro. Più file di blocchi di peperino accostati creavano uno spessore ulteriore di circa tre metri, che riduceva considerevolmente lo spazio interno della camera (8,13 × 8,38 m). I blocchi di peperino mostrano le cavità lasciate dalle grappe per fissare le lastre marmoree di rivestimento. La camera era coperta da una volta a botte rivestita di stucchi. Al centro di ciascuna parete vi era una nicchia rettangolare con sommità centinata, ottenuta non mettendo in opera la fila esterna di blocchi di peperino. La nicchia opposta all’ingresso, in posizione centrale e privilegiata, è la maggiore (3,94 × 1,61 m); le due laterali erano leggermente più piccole della centrale ma avevano tra di loro identiche misure (3,59 × 1,50 m). Tali nicchie potrebbero essere un ulteriore indizio dell’intenzione di utilizzare sarcofagi, che in esse dovevano essere accolti – per cui potremmo chiamarle arcosoli –, più che urne che normalmente erano poste in nicchie di dimensioni assai inferiori e aperte di solito nelle pareti, ma non a partire dal pavimento. In alternativa possiamo ipotizzare che le sue ceneri siano state custodite in un’urna a sua volta inserita nel sarcofago di porfido com’era accaduto nel caso di Nerone (Svetonio, Le vite dei Cesari. Nerone, 50). Adriano aveva forse destinato la nicchia principale a sé e le altre due probabilmente ai suoi più immediati successori – Antonino Pio e Marco Aurelio – pensando che anche loro avrebbero scelto, dopo di lui, di essere inumati in sarcofagi di dimensioni minori. Così non è stato, poiché i primi due successori preferiranno il rito tradizionale dell’incinerazione (vedi sopra le monete, gli ustrina e le colonne in Campo Marzio). L’ipotesi che Adriano non fosse stato cremato risale molto indietro nel tempo, infatti era noto il sarcofago colossale e porfireo dell’imperatore. Due sono le storie che C. D’Onofrio è riuscito a ricostruire ricucendo le scarse notizie delle fonti medievali e rinascimentali: la storia della vasca e la storia del coperchio del sarcofago. Più breve e meno travagliata, anche se finisce peggio, è la storia della vasca. I Mirabilia urbis Romae del 1143 dedicano il capitolo 21 al sepolcro di Adriano, chiamato Castello. Secondo questa guida medievale, la vasca del sarcofago di porfido di Adriano si trovava in Laterano, vicino a un lavatoio, probabilmente nella piazza lateranense dove più tardi fu eretto l’obelisco. Intorno al 1170 in una descrizione della Basilica di San Pietro, il canonico Pietro Mallio ricordava che in quella vasca di porfido era stato inumato papa Innocenzo II, morto nel 1143, sepolto in un primo momento in Santa Maria in Trastevere e riportato nel 1148 in Laterano, non sappiamo se all’interno della basilica o fuori, ma nelle immediate vicinanze com’è possibile ricostruire dai successivi eventi del 1307. La notizia dell’uso della vasca per Innocenzo II è confermata in quegli stessi anni da Giovanni Diacono, canonico di San Giovanni in Laterano. La tomba di Innocenzo II è rimasta indisturbata fino al 1307, quando per un incendio e il conseguente crollo della basilica lateranense la vasca è andata in pezzi, conservati ancora nel 1560 ma poi dispersi tra il 1585 e il 1590. Del coperchio si hanno notizie più antiche. Leone Diacono, cronista bizantino attivo intorno al 1000, racconta che Ottone II, re di Germania e imperatore del sacro romano impero (973-983), era stato l’unico imperatore germanico a essere stato sepolto a Roma. La sua tomba era sotto il coperchio di porfido capovolto che era stato del sarcofago dell’imperatore Adriano. La sepoltura era nel quadriportico chiamato Paradiso, antistante la Basilica di San Pietro. Non sappiamo esattamente quando, ma almeno tra il 1143 (anno di edizione dei Mirabilia in cui è data la notizia) fino almeno al 1227 (edizione del Liber Censuum di Cencio Camerario, poi papa Onorio III), il coperchio copriva la tomba del prefetto, posta nella stessa posizione della più antica tomba di Ottone, ovvero nel Paradiso della basilica vaticana. C. D’Onofrio ritiene che questo anonimo prefetto, a più riprese nominato come proprietario del sepolcro dotato di questa eccezionale copertura, non sia una sola persona, bensì tutti i prefetti della famiglia di Vico, dinastia potentissima per tutto il medioevo i cui membri ricoprirono la carica di prefetto fino alla metà del Quattrocento. Probabilmente nel 1486 il coperchio fu restituito a Ottone II, o meglio tornò a coprire la tomba di Ottone II, almeno fino al 1527, quando il sacco dei Lanzichenecchi al seguito di Carlo V aveva portato distruzione e devastazione a Roma: nel 1550 infatti, quel coperchio così prezioso si trovava ormai a terra e serviva da latrina ai mendicanti. Nel 1569 sembra fosse tornato a coprire la tomba di Ottone. E si giunge al penultimo capitolo della storia del coperchio. Nel 1610 si era resa necessaria la demolizione del Paradiso per far spazio alla costruzione della nuova basilica. Le tombe quindi furono aperte e i corpi traslati nelle Grotte Vaticane. È conservata la cronaca della traslazione dei resti di Ottone: la tomba era priva di qualunque elemento di corredo (probabilmente depredato nel 1527); il corpo era stato trasferito in una nuova vasca marmorea e quella dove era stato per secoli era andata a finire al Quirinale. Il coperchio invece sembrava aver trovato pace nelle Grotte Vaticane. Ma non è andata così. Dalle Grotte, nel 1698 l’architetto Carlo Fontana lo ha prelevato scegliendolo per la sua eccezionalità per rilavorarlo e creare un degno fonte battesimale per la basilica vaticana. Per nostra grande fortuna in quell’occasione, prima delle modifiche, il coperchio era stato rilevato e disegnato con precisione, per cui conosciamo l’aspetto e le misure del coperchio (da cui si possono dedurre quelle della vasca andata in pezzi e dispersa nel Cinquecento). In origine il coperchio aveva i due lati lunghi dritti e paralleli, una estremità, quella a cui corrispondeva la testa del defunto, semicircolare, e l’altra dritta per accoglierne i piedi. Misurava più di palmi 16,5 × 8,5 m, cioè 3,70 × 1,90 m. Le grandissime dimensioni, la forma che ricorda addirittura quella dei sarcofagi faraonici del XV e XIV secolo a.C. e dell’epoca ellenistico-romana in Egitto e il materiale riservato a imperatori e divinità, fanno di questo sarcofago un’opera del tutto eccezionale (Vedi § 123-124). Che il sarcofago di porfido, smembrato tra Vaticano e Laterano, sia effettivamente quello dell’imperatore Adriano, potrebbe essere confermato, oltre che dalla lunghissima tradizione di identificazione, dalle misure stesse del coperchio, che sembrano calcolate al centimetro per permettere al sarcofago di essere esposto nella nicchia centrale della camera sepolcrale del Mausoleo di Adriano, Camera che sin dal 1000 circa era identificata come primo e originario luogo di conservazione del sarcofago. La nicchia è larga 3,94 m – solo 24 cm in più del sarcofago, 12 cm per parte – uno spazio sufficiente per accogliere il sarcofago anche calcolando lo spessore delle lastre che debitamente rivestivano la nicchia.
C. D’Onofrio, Castel Sant’Angelo, 1971, in particolare capitolo VI: “La sepoltura di Adriano”, pp. 145-173 – M. Vitti, “Il Mausoleo di Adriano, costruzione e architettura”, in L. Abbondanza, F. Coarelli, E. Lo Sardo (a cura di), Apoteosi. Da uomini e dei. Il Mausoleo di Adriano, Roma 2014, pp. 244-267.