10. L’anfiteatro di Traiano distrutto, il Tempio della diva Matidia e l’edificio funerario a nicchie (detto “di Siepe”). Vedi §§ 58-60, 66; tavv. 11a-b.
L’ultimo foro costruito a Roma è stato quello di Traiano (Monumenti 17-18). Probabilmente per mancanza di spazio nell’area del centro politico-amministrativo della città, dove i suoi predecessori avevano costruito i loro fora, ma anche per un nuovo modo di intendere l’impero, Adriano aveva voluto erigere altrove il suo complesso e con un altro carattere. Ha scelto il Campo Marzio, esterno alle mura e al di fuori del pomerium (Monumento 6). Il progetto mirava, più che ad ampliare gli spazi dell’amministrazione e della burocrazia dello Stato, a celebrare se stesso e i propri legami dinastici, alla maniera dei re ellenistici. Era costituito dal tempio dedicato a sua suocera Matidia, da lui divinizzata, che comprendeva due basiliche, dedicate a Matidia, morta nel 119 d.C., e a Marciana, madre di lei e sorella di Traiano, già divinizzata da Traiano stesso nel 112 d.C., e dall’Hadrianeum (Monumento 11), tempio per sé e sua moglie divinizzati, da lui progettato ma costruito da Antonino Pio. Per erigere il complesso si era resa necessaria l’impopolare azione di radere al suolo il grande «teatro completamente circolare», quindi un anfiteatro, da poco edificato da Traiano (Storia Augusta. Vita di Adriano, 9.1-2; Pausania, 5.12.6, tav. 11a), forse nello stesso luogo dove già Caligola aveva cominciato a costruire un anfiteatro ligneo che era stato terminato Nerone (Svetonio, Le vite dei Cesari. Caligola, 21.1-2; Atlas, tab. 222). La posizione delle basilicae dedicate alle dive Marciana e Matidia nell’area centrale di questa regione è dato dall’elenco dei Cataloghi Regionari: il lemma compare dopo il Pantheon (Monumento 9) e la Basilica di Nettuno (Monumento 14) e prima dell’Hadrianeum (Monumento 11). Essendo ben noti questi edifici, il complesso doveva necessariamente trovarsi nell’area compresa tra il portico del Pantheon e l’Hadrianeum. A sud non poteva estendersi oltre via del Seminario, perché questa strada corrispondeva a quella antica che correva parallela al lato settentrionale dei Saepta, il cui ingresso, sulla stessa strada, si trovava quasi perfettamente davanti all’ingresso del complesso di Matidia. A nord, all’incirca in corrispondenza di via del Collegio Capranica e via della Colonna Antonina, era un’altra strada antica, con andamento rettilineo est-ovest, oltre la quale era il luogo delle pire, delle relative are di consacrazione e poi delle colonne e del Tempio di Marco Aurelio (Monumento 8). Questa posizione è confermata anche dal rinvenimento in situ di una fistula aquaria con l’iscrizione Templum Matidiae, rinvenuta a Piazza Sant’Ignazio e che partiva direttamente dall’acquedotto Vergine (CIL, XV 7248, vedi tav. 12). Si trattava di un triportico con la fronte del Tempio della diva Matidia innestata al centro del braccio settentrionale (più largo di quelli orientale e occidentale), come quello del Tempio della Pace, che ci è servito da modello per la ricostruzione, ed è ben rappresentato in un medaglione del 120-121 d.C., l’anno a cui deve risalire la dedica degli edifici. La porticus e il tempio si ergevano su uno stilobate (p), lasciando la piazza centrale (8) a una quota più bassa. In fondo e al centro vi era il tempio, i cui acroteri angolari rappresentavano figure stanti, forse Victoria o Aeternitas (e), mentre sull’acroterio centrale era una quadriga (d). Custodiva nella cella una statua enorme di culto di Matidia seduta (b), alla quale può forse riferirsi la breve notizia del rinvenimento (NSc 1877, p. 80) di una mano marmorea di statua colossale rinvenuta in Piazza Capranica (c). Le due basiliche si trovavano ai lati del tempio ed erano precedute dalle due statue colossali e stanti delle due divae (n-o). Rinvenimenti sporadici e puntuali nell’area in esame hanno portato alla luce lacerti delle platee di fondazione in cementizio (a1, a2, cui si aggiunge ora il tratto a3), rispettivamente del tempio, della Basilica di Marciana e della Basilica di Matidia, oltre che numerosi frammenti delle decorazioni architettoniche: colonne di cipollino e granito (g-l per le quali vedi oltre); lastre di rivestimento pavimentale in giallo antico (r); un frammento di trabeazione marmorea (r); la cornice di base (di statua?) marmorea (u). L’elemento noto più cospicuo era quello di un tratto di colonnato con andamento est-ovest documentato fino dal Cinquecento, rivisto e in parte conservato nelle cantine dei palazzi di via della Spada di Orlando (g). Questo colonnato era stato attribuito sia al tempio sia al porticato circostante. Scavi recenti della Soprintendenza (2003-2014) hanno portato alla scoperta di tratti più ampi del complesso, e hanno risolto anche la questione del colonnato, attribuendolo a quello del pronao del tempio. La lettura complessiva dei vecchi e dei nuovi dati ha permesso la nuova ricostruzione del tutto aderente all’immagine della moneta. Rispetto alla ricostruzione proposta da chi ha condotto gli ultimi scavi, la nostra differisce nel rapporto tra larghezza e profondità sia del complesso in generale che della cella del tempio in particolare. Diversi sono anche gli elementi di dettaglio.
Il complesso occupava l’area lasciata libera tra il portico del Pantheon e il vicus alle spalle dell’Hadrianeum e si estendeva su una superficie di 400 × 500 piedi (118 × 148 m circa). Era formato da una vasta area scoperta al centro (8) con pavimento in lastre di marmo giallo antico (r) che rivestivano la fondazione pavimentale in cementizio (q). La piazza era circondata su tre lati da portici con colonne con capitelli corinzi. Abbiamo immaginato il portico a un piano con copertura a doppio spiovente (4). Il portico occidentale aveva il muro di fondo (v) in comune con il portico orientale della piazza antistante il Pantheon. Dodici colonne di granito (h), non tutte in situ, viste nell’Ottocento tra via dei Pastini e via della Spada di Orlando appartengono probabilmente ai bracci orientale e/o settentrionale del triportico. Nei recenti scavi sono state rinvenute in situ altre quattro colonne di granito riferibili al colonnato settentrionale (l). In corrispondenza di queste colonne è stato visto anche un tratto dello stilobate soprelevato di tre gradini rispetto alla piazza (p). Il braccio settentrionale del portico aveva un pavimento in lastre di cipollino e portasanta alternate (f). Davanti a questo tratto di colonnato, in corrispondenza di un intercolumnio maggiore rispetto agli altri dello stesso braccio, nella piazza, è stata rinvenuta una base cementizia rettangolare (7) dotata di canaletta, da interpretare come base di fontana al centro e sul fondo della quale poteva ergersi la statua colossale di Matidia, come rappresentata sul medaglione (o). L’elemento è ricostruibile per simmetria a ovest, con la statua di Marciana (n). Nella piazza, poco più a sud delle fontane, in asse con il tempio, poteva essere l’ara, mai trovata. Al centro del braccio settentrionale si innestava, similmente a quanto accade nel templum Pacis (Atlas, tab. 99) il pronao esastilo (3) del tempio, di cui sono note quattro colonne in cipollino (g). Esse hanno diametro maggiore (1,43/47 m) rispetto a quelle di granito dei portici (1,05/08 m). In occasione degli ultimi scavi è stato possibile documentare la soluzione adottata per risolvere l’innesto del colonnato occidentale del braccio settentrionale del portico in quello del pronao: nell’ultima colonna del pronao verso est vi era una scanalatura nella quale poteva inserirsi la colonna più piccola del portico, e una identica soluzione doveva riproporsi sull’altro lato. La cella del tempio (5) era dotata probabilmente di abside sul fondo, come il templum Pacis, e, come questo, aveva doppi muri formanti un’intercapedine a est e ovest. Anche nelle proporzioni tra lunghezza e larghezza della cella, seguiva con tutta verosimiglianza quelle del templum Pacis. In corrispondenza della cella è stato documentato un tratto della platea di fondazione del pavimento in cementizio (a1). In Piazza Capranica, oltre alla mano della statua di culto (c), è stato rinvenuto anche un frammento di cornice marmorea di una base di statua (u), forse, una delle due sulle fontane (7). La cornice, riprodotta nei disegni di G. Peruzzi, è molto simile nella decorazione a quella delle basi delle colonne rinvenute negli ultimi scavi del portico (l). A destra e sinistra del tempio c’erano le basiliche delle due divae (6), non conservate salvo tratti di fondazioni in cementizio (a3, i). È probabile ch’esse avessero servito da modello alla coeva Basilica di Volubilis in Marocco, che abbiamo qui replicato nella forma – a parte alcuni elementi di dettaglio quali la posizione delle aperture – e nelle dimensioni. Di recente la basilica africana è stata datata all’età traianea-adrianea ed è stata ritenuta la replica di un modello urbano (Wilson-Jones). Dietro al tempio e alle basiliche si estendeva un’area, probabilmente un giardino (2), al centro del quale, in asse con il tempio, vi era un piccolo edificio (meno di 140 m2) a pianta centrale dotato di un piccolo vestibolo, il cosiddetto Tempio di Siepe (1). Di questo edificio non rimangono resti, ma è stato visto e documentato nel Seicento entro il primo cortile del Collegio Capranica, per cui se ne conosce la posizione. Dell’edificio sono noti la planimetria (identica nei disegni di C. Ferri, di inizio XVII secolo, corredati di misure, e in quello di un anonimo del Seicento) nella quale spiccano quattro nicchie. L’alzato con cupola a spicchi come le altre zucche adrianee, è rappresentato nei disegni di A. Giovannoli; la cupola è invece liscia nel disegno dell’anonimo. Due aperture laterali rappresentate nei disegni potrebbero essere ampie finestre. Il migliore confronto è rappresentato del belvedere e osservatorio di Roccabruna nell’Accademia a Villa Adriana (tavv. 22, 25). Data la pianta centrale dell’edificio e il suo isolamento rispetto agli altri edifici, la posizione extrapomeriale, la stretta relazione con il complesso dinastico di Matidia, la prossimità agli ustrina o pire e il confronto con l’edificio di Roccabruna con il possibile riuso del pianterreno con culto egizio come un privato heroon di Antinoo (vedi pp. 50, 57), è possibile interpretare questo edificio con nicchie come un monumento sepolcrale edificato da Adriano per accogliere provvisoriamente le ceneri delle divae della dinastia Marciana, Matidia e Sabina e forse anche quelle di Elio Cesare, in attesta che il sepolcro oltre il Tevere fosse terminato, il che è avvenuto soltanto nel 139, sotto Antonino Pio (Monumento 12).
F. Filippi, H. J. Beste, M. Brando, F. Dell’Era, G.-L. Gregori, H. von Hesberg, “Il Tempio di Matidia. Nuove ricerche”, in F. Filippi (a cura di), Campo Marzio. Nuove ricerche. Atti del Seminario di studi sul Campo Marzio, Roma, Museo Nazionale Romano a Palazzo Altemps (18-19 marzo 2013), Roma 2016, pp. 219-311 – M.T. D’Alessio, Region IX. Circus Flaminius, in Atlas 2017, pp. 493-541, tab. 241 – M. Wilson-Jones, “La basilique de Volubilis: quelque considerations architecturales”, in E. Fentress, H. Limane (a cura di), Volubilis après Rome, Leiden 2018.