42.

Tardo pomeriggio, giù al porto. Edwin e il Rettile.

“Se lo vuoi morto, è morto. Semplicissimo.”

“E quanto mi verrà… quanto vuole per farlo? Per ucciderlo.”

“Cinquanta. Trenta subito e venti alla fine.”

Da tempo alla Panderic Inc. era un segreto di Pulcinella che Léon Mead teneva una quantità imprecisata di denaro contante a portata di mano nel caso avesse dovuto abbandonare il paese. Tutti sapevano che da anni il signor Mead faceva la cresta al fondo pensionistico della Panderic, rimpolpando con quelle “entrate” segrete vari conti all’estero in paesi insignificanti.

Edwin de Valu ora si apprestava a chiedere la restituzione di un po’ di quei fondi neri, buona parte dei quali erano del suo stesso fondo pensione. Edwin arrivò al tramonto, mentre il guardiano notturno stava meditando e quelli del servizio di sicurezza si scambiavano caramelle, e si diresse a passo spedito e con l’aria di chi sa il fatto suo verso gli ascensori. Nonostante i modi disinvolti, arrivando al quattordicesimo/tredicesimo piano e addentrandosi nei bui corridoi della Panderic Inc., il cuore gli martellava nel petto.

La porta dell’ufficio del signor Mead era chiusa a chiave, ma Edwin non era impreparato e si fece scivolare destramente in mano il piede di porco che teneva nascosto nella manica. All’inizio tentò di forzare la porta, ma poi ci rinunciò e prese a picchiare sulla maniglia, facendo riecheggiare i colpi in tutti i cubicoli. Il volto sudato e le mani tremanti, Edwin riuscì a scheggiare il legno attorno alla serratura quel tanto che bastava a infilarci dentro qualche dito e farla scattare. La porta dell’ufficio del signor Mead si spalancò.

Come un gattopardo cosparso di olio, Edwin si avvicinò alla scrivania di mogano, accese la lampada e frugò nei cassetti in cerca di qualcosa di simile a una chiave. Non ne trovò, ma non si aspettava che le cose fossero tanto facili. No. Avrebbe dovuto usare il cervello. Avrebbe dovuto battere in astuzia l’assente signor Mead.

Tutti sapevano dove si trovava la cassaforte segreta: era nascosta dietro una grande stampa di Warhol di minestra in scatola appesa esattamente dietro il mobile bar del signor Mead. (La stampa non era un Warhol autentico, ma un’abile imitazione, tradita in primo luogo dal fatto che la parola “Campbell’s” conteneva un errore; ma, ironia della sorte, ciò non aveva fatto che aumentarne il valore. A quanto pare, i Warhol originali te li tiran dietro per dieci cent alla dozzina, mentre assai più rari sono i falsi autentici.) Edwin odiava quelle stupide minestre in scatola, e pensò anche di danneggiarle con un cazzotto a titolo di vendetta, ma chi l’avrebbe mai detto che la tela fosse così resistente? Dopo una scarica di pugni, riuscì soltanto a produrre qualche ammaccatura appena visibile. Il che in qualche modo era l’emblema dei rapporti fra la generazione di Edwin e quella del signor Mead. Ma basta così. Basta con Warhol e la minestra Campbell’s. Edwin aveva cose più importanti a cui pensare.

La cassaforte aveva una chiusura temporizzata con una tastiera a codice. In altre parole, senza fiamma ossidrica o senza password le possibilità di aprirla erano minime. Edwin si asciugò il sudore dalla fronte, fece un bel respiro profondo e cominciò a parlare a voce alta. “Rifletti. Ce la puoi fare. Puoi cavartela.” Il signor Mead era un uomo dal cervello molto limitato. Non poteva essere così difficile violare il suo codice. “Woodstock? ” Edwin digitò il codice sulla tastiera, girò la manopola e tirò. Niente. “Pace.” “Amore.” “Watergate.” “Lsd.” “Kent State University.” Niente. Edwin cominciava a esaurire la sua serie di parole d’ordine radicali. “Presuntuoso.” “Pomposo.” “Sopravvalutato.” Mai una che funzionasse. Al diavolo. C’era nient’altro di peggio che potesse succedere nella vita di Edwin? Quel pomeriggio, quando finalmente avevano portato la posta (a causa della mancanza di manodopera, ora il servizio era limitato a due consegne la settimana), Edwin aveva scoperto un’ordinanza di sfratto. Jenni aveva venduto la villetta (per quattro soldi), e ora stava per diventare un Centro d’Incontro Arcobaleno, checché ciò significasse. Poi, come una manciata di sale sulle ferite, Edwin aveva aperto una seconda busta decorata di margheritine contenente un fascio di scartoffie legali compilate con una penna a sfera rosa e con faccine sorridenti al posto dei puntini sulle i, oltre a un libretto intitolato Divorzio con amore: impariamo a lasciar perdere, impariamo a far fruttare (bisognava amarli, quegli arguti giochi di parole) il metodo Tupak Soiree. E Edwin aveva pensato: “Fantastico. Scaricato da un sottoprodotto”.

Pensando intensamente a quelle pratiche melense di divorzio e al furto legalizzato dei suoi beni, Edwin fece appello a tutta la rabbia che aveva in corpo per dare l’assalto alla cassaforte a muro, prese a menare colpi con il piede di porco, graffiando lo sportello ma senza altro risultato che un gomito indolenzito e un dolore acuto al polso. “Che ti venga un accidenti!” gridò. “‘Jesus Christ Superstar!’ ‘Eleanor Rigby!’ ‘Offensiva di Tet.’8 E allora?” Digitava una password dopo l’altra e tirava lo sportello. Niente.

“Provi con ‘sensibilità postmoderna’,” disse il signor Mead.

Edwin si girò con un sobbalzo mentre il suo ex capo entrava nella stanza. “Merda,” disse Edwin.

“È tutto qui quello che ha da dire? ‘Merda’?” Il signor Mead si fermò un momento per rimettere in piedi un portafotografie che si era rovesciato quando Edwin aveva frugato sulla scrivania, poi in tono caustico e deliberatamente lento disse: “Così, visto che non le avevo concesso un premio, lei ha deciso di prenderselo comunque”.

Edwin afferrò il piede di porco e si piantò a gambe larghe. “Ho bisogno di quel denaro, signor Mead, e non me ne andrò senza. Sono pronto al peggio, se necessario.”

“Una minaccia? È una minaccia? Lei si introduce nel mio ufficio come lo scassinatore di un giallo di second’ordine e. crede di poter minacciare me?”

Edwin aveva sempre pensato che, al di là delle sue spacconate da bulletto, Léon Mead fosse un vigliacco. Invece il signor Mead gli stava andando incontro con aria truce e passo fermo. Edwin sollevò il piede di porco come un battitore in allenamento. La testa? Le spallle? Le rotule?

“Le giuro, signor Mead, che lo faccio. Qui dentro ci siamo solo noi due. Niente testimoni.”

“Esattamente,” disse il signor Mead, con un sorrisetto teso a fior di labbra. “Niente testimoni.”

Edwin deglutì e sentì il piede di porco che cominciava a scivolargli dalle mani madide.

Poi, con un improvviso lampo accecante, la stanza fu invasa dalla luce. Sulla porta c’era un ometto dallo sguardo spiritato, la ’ mano sull’interruttore, che gridò: “La vendetta è mia! ”.

Il signor Mead si voltò a fronteggiare l’intruso. “Bob?” disse.

L’ometto avanzò con passo teatrale e si portò un fucile alla spalla puntandolo contro il signor Mead.

“A dire il vero,” fece Edwin, “credo che si pronunci ‘Bubba’.”

L’uomo con il fucile ebbe un attimo di esitazione. Guardò la targhetta del nome appuntata sulla camicia e disse: “Cosa? Questa? Questa roba non è mia. Questi vestiti me li ha dati un…” stava per dire “un amico”, ma non suonava bene “…un ex collega. Ai tempi del carcere. Esattamente, sono proprio io! Il dottor Robert Alastar. Meglio noto come Mr Ethics! ”.

“Mi sembrava di conoscerla! ” disse Edwin. “Nella foto di copertina era più corpulento.”

“Eh sì. Ultimamente ho perso parecchi chili. Il regime alimentare medio delle vostre carceri di massima sicurezza è assolutamente spaventoso. Ma dov’ero rimasto? Ah sì. Vendetta! Vendetta! Lei mi ha tradito, Léon; mi aveva dato per morto. E invece eccomi qui a riscuotere una giustizia terribile.” Si avvicinò e appoggiò il mirino praticamente alla testa del signor Mead.

Con grande sorpresa di Edwin, il signor Mead non battè ciglio, non cercò di sottrarsi e non cadde in ginocchio implorando pietà. Prese invece un sigaro dalla scatola sulla scrivania e, freddo più che mai, aprì lo Zippo con uno scatto, lo accese e tirò una lunga boccata soddisfatta. “Shklovsky, V.B. MK-47,” disse. “Arma di ordinanza sul fronte di Vladivostok. In dotazione alle sentinelle dell’Armata Rossa sovietica e ai corpi corazzati. Utilizza proiettili di grosso calibro in sequenza rapida. L’ultima fabbrica che lo produceva ha chiuso nel 1982 sul confine afghano. I fucili vennero ritirati subito dopo perché inaffidabili. È un pezzo di antiquariato, Bob. Peggio ancora, è un pezzo di antiquariato sovietico, il che significa dieci probabilità a uno che, se cerca di sparare, farà cilecca o le esploderà in faccia. Lei ha fatto una prova di fuoco, Bob, vero?”

Mr Ethics strinse gli occhi. “Sta bluffando.”

“Dice?”

“A me la vendetta! ” urlò Mr Ethics e tirò il grilletto con decisione.

L’arma sparò. La camera di scoppio esplose, assordando Mr Ethics e facendo volare schegge per tutto il locale. La detonazione riecheggiò nell’aria, lasciando Edwin stordito e Mr Ethics barcollante.

“ Sei anni di Tom Clancy, pezzo di stronzo! ” ruggì il signor Mead mentre l’aspirante killer, rintronato e con le orecchie rimbombanti barcollava e cadeva a terra.

Poi, con calma e senza proferire parola, il signor Mead si chinò e prese il piede di porco dalle mani di Edwin. Si sedette alla scrivania e, scuotendo la testa, contemplò lo spettacolo increscioso davanti a lui: un abborracciato tentativo di scasso da parte di un ex dipendente traditore; un evaso nonché ex autore che si rotolava sul pavimento singhiozzando con le mani sulle orecchie; e almeno 5000 dollari di danni tra rivestimento di legno e porta dell’ufficio.

“Cominciamo con lei, Edwin. È venuto qui per derubarmi. Perché?”

A quel punto, sfinito e sconfitto, Edwin non vedeva motivo di mentire. “Volevo ingaggiare un sicario per ammazzare Tupak Soiree. ”

“Veramente? Vediamo se capisco bene. Lei voleva usare i miei soldi per assoldare qualcuno che avrebbe ucciso il mio autore più venduto.”

“Proprio così.”

“ Capisco. ” Il signor Mead si appoggiò il piede di porco in grembo, come avrebbe potuto fare un insegnante universitario con una bacchetta. “Be’, non assoldi il nostro Bob qui presente. Come assassino non vale molto di più che come evasore fiscale.”

Mr Ethics si trascinò sulle ginocchia. Continuava a tenere le mani sulle orecchie, ma aveva smesso quasi completamente di singhiozzare. Il volto era bagnato di lacrime di dolore e di rabbia impotente. “Dio la stramaledica, Léon!”

“È riuscito a evadere da un carcere di massima sicurezza? Sono impressionato, Bob. Mi sente? Devo parlare più forte?”

“Sì, sì.” Aveva l’aria completamente affranta. “La sento. Solo che… solo che non è giusto. Non è giusto.”

“Un’altra brillante osservazione di Mr Ethics,” disse il signor Mead. “Il mondo non è giusto. Bravo. Aspetto con ansia ulteriori indicazioni. Magari avrà notato che il colore del cielo, per quanto incredibile possa sembrare, è azzurro. O che, abbandonati a se stessi, gli oggetti tendono a cadere verso il basso. O che i ricchi possono fare ciò che vogliono. O che i politici hanno la tendenza a mentire. O che…”

“Basta,” disse Edwin a mezza voce. “Ha vinto, ma almeno ci risparmi questo tono di condiscendenza. E chiaro che se la sta godendo.”

“Oh, certo,“ disse il signor Mead. ”Decisamente. Ma non per i motivi che crede lei. Me la sto godendo perché questo dimostra che non tutto va bene nella Terra Felice. Dimostra che il mondo è ancora un lurido postaccio. Ed è così che dev’essere: redattori che cercano di uccidere autori, autori che cercano di uccidere editori. Trovo che sia…“ cercò la parola, la parola adatta ”…rassicurante.

Mr Ethics si alzò lentamente in piedi. “Quindi non intende farmi sbattere dentro?”

“Farla sbattere dentro? Santo cielo, no. Mi ritroverei in un battibaleno a leggere un altro stupido libro alla Tupak Soiree. Allora, preferisce sempre il cognac chiaro a un buon brandy ambrato? Sì? Che ignorante. Vediamo un po’,” mise da parte il piede di porco.e cominciò a frugare nel mobile bar. “Ah, ecco. Olson’s Own. Il miglior cognac norvegese dalle catacombe di Oslo. Che ne dice?”

Edwin e Mr Ethics si scambiarono uno sguardo, cercando di prevedere gli eventi, dato che nessuno dei due voleva fare la prima mossa.

“Per me niente, grazie,” disse Edwin, un filo troppo disinvolto. “Penso che me ne andrò a fare un giretto. Voi due avrete voglia di rievocare un po’ i vecchi tempi, di raccontarvi qualche storia. Magari di ubriacarvi e di lasciarvi andare a qualche sentimentalismo. Vi raggiungo più tardi.” E si diresse verso la porta, fischiettando con le mani in tasca.

“Piano, piano,” disse il signor Mead. Edwin si immobilizzò dove si trovava. “Non vuole dirmi quanto?”

“Prego?”

“Quanto vogliono? Che cosa chiedono?”

“Per uccidere Tupak Soiree? Il prezzo che sono riuscito a spuntare è di 50.000 dollari. Purtroppo sono un tantino in bolletta.”

Il signor Mead annuì. “E lei ritiene che sia una cosa morale, quella che sta facendo? Le sembra un comportamento perbene, dare ordine di far fuori uno scrittore?”

“Be’, sulla questione morale non saprei. Però penso che sia la cosa giusta da fare.” Edwin non capiva bene-dove la conversazione stesse andando a parare.

“Perché non lo chiediamo a un esperto. Bob?”

Mr Ethics, che nel frattempo si era accovacciato e stava bevendo il suo cognac, le mani chiuse a coppa attorno al bicchiere, non aveva capito la domanda. “Che cos’ha detto? Ho ancora le orecchie che ronzano. ”

“È etico far uccidere Tupak Soiree?”

“Dipende,” disse Mr Ethics, dapprima lentamente, ma riscaldandosi subito. “A seconda che si scelga un approccio di tipo kantiano o di tipo utilitaristico. Da un lato la visione ‘caschi il cielo, ma giustizia sia fatta’, dall’altro ‘il bene maggiore per il maggior numero di persone’. E indubbiamente il signor Soiree ha procurato una quantità notevole di felicità® a una notevole quantità di persone.”

Ci fu una breve pausa mentre tutti riflettevano sulla questione.

“Su questo punto sono con Kant,” disse Edwin.

“Anch’io,” disse Mr Ethics. “Ammazziamo quello stronzo. Sono disposto a contribuire al fondo per ingaggiare un sicario. Posso metterci…” si frugò nelle tasche e ne tirò fuori una manciata di monetine, quasi tutti pezzi da uno e da dieci centesimi “…ottantanove centesimi. Potrà sembrare una cifra esigua, ma bisogna considerare il contributo morale nella sua giusta luce e proporzione. Quegli ottantanove centesimi sono tutto ciò che ho.”

“Vediamo,” disse Edwin, facendo il calcolo a mente. “Vuol dire che mancano grossomodo, diciamo, 49.999 dollari e dieci centesimi. Io dovrei avere da qualche parte dieci centesimi. Quanto al resto… signor Mead?”

Per un lungo, lunghissimo momento il signor Mead non disse niente. Quando finalmente parlò, se ne uscì con quello che sembrava un tipico non sequitur da Léon Mead.

“Robert Lewis,” disse e ci fu una lunga pausa. “Robert Lewis. Si chiamava così il pilota dell’Enola Gay. Capitano Robert A. Lewis. È il nome dell’uomo che sganciò la bomba su Hiroshima. 6 agosto 1945. E sapete quale fu la sua prima reazione? Sapete cosa disse quando vide la luce accecante e la nuvola che si alzava? Disse: ‘Mio Dio, che cosa abbiamo fatto?’. E così che mi sento in questo istante. Ho pubblicato il libro di Tupak Soiree, l’ho promosso appena ha cominciato a decollare, l’ho riconfezionato e rivenduto in centinaia di forme differenti. E ora, tutto quello che riesco a pensare è: ‘Mio Dio, che cosa abbiamo fatto? Che cosa abbiamo scaricato addosso a questo mondo?’. Adesso voi mi chiedete di unirmi alla vostra piccola crociata di vendetta. Mi chiedete di aiutarvi a far assassinare Tupak Soiree. ” Léon tirò un’ultima lunga boccata dal suo sigaro, poi lo schiacciò nel posacenere di tartaruga verde bordato di oro. “E va bene,” disse. “Uccidiamolo.”

Edwin stava quasi per agitare il pugno in aria ed esclamare: “ Sì! ”, ma il decoro ebbe la meglio e decise di annuire solennemente.

L’attenzione dei presenti si volse ora alla cassaforte a muro dietro il mobile bar. “Il codice è veramente ‘sensibilità postmoderna’?”

“No,” rispose il signor Mead. “È Wordstock. Word, capisce?”

“Ahh,” fece Edwin, simulando una risata. L’insulso umorismo da cinquantenne radicale: impagabile.

“Però non ho intenzione di aprire la cassaforte,” disse il signor Mead. “Cinquanta bigliettoni? Se li scordi. Che cosa crede, che i soldi mi crescano in tasca?”

Edwin fu colto alla sprovvista. “Pensavo…”

“Vuole una cosa, e allora la faccia lei. Vada a prendermi un altro bicchiere, Edwin. Le voglio far vedere una cosa. Questo è molto meglio del denaro.” Il signor Mead fece scivolare una mano su un pannello laterale, trovò il punto G nascosto e lo pigiò. Si aprì un armadietto e il signor Mead disse: “Si ricorda Aquila dei Balcani? Mulligan Cane Rabbioso?”.

“Certo. Il Generale. Che fine ha fatto? ”

“Tiene un corso sulla gestione della rabbia per conto di Tupak Soiree, da qualche parte nello Iowa. Ora si fa chiamare Mulligan Cane Leggermente Scocciato. Non suona altrettanto bene, ma che ci vuole fare? Comunque, prima di entrare in gioiosa sintonia con l’universo, il Generale mi ha fatto un piccolo presente, in segno del suo apprezzamento.” Il signor Mead infilò tutte e due le mani nell’armadietto e ne tirò fuori il futuro: freddo, scintillante e letale. “Atku-17. La prossima generazione della difesa domestica. Dotata di tutto il necessario. Proiettili esplosivi con camicia al magnesio. Mirino notturno. Otturatore al laser. Basta puntare e sparare. E la instamatic delle armi supertecnologiche. E lasci che le dica una cosa: Clancy diventerebbe verde di invidia se sapesse che ho uno di questi gingilli. Quest’arma,” il signor Mead lanciò un’occhiata di disprezzo in direzione di Mr Ethics, “è a prova di idiota. Potrebbe usarla anche un deficiente. Insomma, bisognerebbe essere veramente coglioni, assolutamente…”

“È tutto chiarissimo! Ho colto il senso,” disse Mr Ethics.

“Allora, chi è che fa il colpo?” chiese Edwin.

“Tireremo a sorte,” disse il signor Mead. “Chi perde ucciderà Tupak, o chi vince, a seconda del punto di vista. Per quanto mi riguarda, lo farei più che volentieri, ma non posso. Artrite, come vedete. ” Sollevò le dita deformate.

“Pollice rotto! ” si affrettò a dire Edwin, esibendo il dito storto.

“Oh andiamo,” disse Mr Ethics. “Per tirare il grilletto non serve mica il pollice. E poi, lei è quello giovane e attivo. Io scelgo Edwin.”

“Ah sì?” fece Edwin. “Be’, è lei che è riuscito a scappare dal carcere, vuol dire che si sa dare da fare.”

“Questo è vero,” disse il signor Mead. “Qui l’ha colta in castagna, Bob.”

“Ma,” obiettò Mr Ethics, “ho fallito il tentativo di omicidio a suo danno, Léon, non ricorda? Il che dimostra che in realtà non sono il miglior candidato per la missione. ‘Ognuno secondo le sue possibilità,’ dico io. Léon ci mette l’arma, io ci metto la supervisione etica e il nostro Edwin ci mette il vigore giovanile. Che le guerre debbano essere combattute dai giovani è un a priori.”

“Questa è discriminazione generazionale,” disse Edwin indignato. “Perché la supervisione etica non posso mettercela io?”

“Perché non ha l’esperienza esistenziale necessaria, ” rispose Mr Ethics. “La saggezza ha bisogno di tempo, Edwin. Richiede un certo senso della prospettiva, cosa che purtroppo manca alla gioventù d’oggi.”

Il signor Mead ne aveva avuto abbastanza. “Tiriamo a sorte, va bene?”

Edwin e Mr Ethics si scambiarono sguardi in tralice, poi annuirono, entrambi d’accordo. A sorte.

“Bene,” disse il signor Mead. “A sorte sia. Prima di cominciare però, forse Edwin mi vorrà spiegare cos’è successo al mio autentico Warhol falso.”