21.

“Irwin, vieni qui. Immediatamente.” Edwin andava avanti e indietro, per quanto possibile nel suo piccolissimo cubicolo stipato di fogli sparsi e cartellette impilate. Si trattava più che altro di un ritmo fatto di un passo, giravolta e ritorno, più o meno simile a quello degli orsi polari allo zoo, quelli che impazziscono in cattività.

“Signor de Valu?” Era Irwin. “Mi ha chiamato?”

“Entra. Dobbiamo fare un lavoro.”

“Veramente, stavo andando a pranzo, e siccome sono ipoglicemico, dovrei proprio…”

“Ora no, Irwin. Di tanto in tanto tutti dobbiamo fare qualche sacrificio. Hai carta e penna? Bene. Sarà meglio che tu prenda qualche appunto, perché andrò veloce. Il manoscritto di Quello che ho imparato sulla montagna, qui sulla mia scrivania, va in composizione così com’è. Digli di usare un software di riconoscimento dei caratteri e di mandarlo direttamente in tipografia. I margini vanno ridotti al minimo possibile, useremo il corpo più piccolo possibile, comprimeremo il testo e cercheremo di stare dentro le 800 pagine. Cancella l’ordine per la copertina rigida. Usciamo subito in economica, su cartaccia scadente al prezzo più basso che riusciamo a spuntare. Riduci la tiratura da 7500 a 1000 copie simboliche… no, aspetta, mi sembra che il minimo sia 3000. Insomma, tiratura minima. E comunque, di’ al magazzino di tenersi pronti, di prepararsi a svendere e a buttare il tutto non appena scaduto il termine dei sei mesi. Questo libro finisce al macero, Irwin, e dobbiamo limitare le perdite in ogni modo. Chiama Gunter Braun di quella ditta tedesca, Edelweiss Inc. o vattelappesca. Riconfezionano e ristampano. Appena il libro va ai remainder, magari riusciamo a rifilarglielo e a recuperare un po’ dei costi iniziali. Chiama quelli dell’anteprima sulla costa pacifica e digli…”

In quel momento comparve Christopher Smith del reparto grafico. “Ehilà. Edwin! Ho qui la copertina per quel libro sui cioccolatini. Quello per il quale avevi fatto un ordine urgente.” Come sempre, Christopher era vestito di rosso scuro dalla testa ai piedi. (Lui era convinto di vestirsi di nero, ma era daltonico e nessuno aveva mai avuto il coraggio di dirglielo.) Christopher aveva un folto pizzetto e occhiali con le lenti scure. Si firmava invariabilmente X-opher e chiedeva a tutti se volevano vedere il suo piercing al capezzolo. “Non mi ha fatto male,” diceva. “Meno di quanto si potrebbe pensare.”

Christopher si piazzò davanti a Edwin e, con la tipica vanità da scuola artistica, tirò fuori un bozzetto con un’immagine di cioccolatini. Erano sistemati su uno sfondo di seta con il titolo su un nastro, proprio come aveva suggerito May. “Ecco qua quello che mi avevi chiesto,” disse Christopher.

“Bello,” fece Edwin. “Però purtroppo…”

“Ma poi ho cominciato a pensare: seta, raso, collant. Che cosa ti viene in mente?”

“Chris, mi dispiace, ma c’è stato un cambiamento di programma. ”

“Sesso. Giusto? Ecco che cosa ti viene in mente. La sensazione della seta sul corpo. Il gusto del cioccolato. Suggestioni sensoriali che richiamano il sesso. E il sesso che cosa richiama? La morte, ecco cosa. Allora ho cominciato a pensare, perché invece di attenerci all’idea originaria non facciamo qualcosa di un pochino più creativo, un pochino più audace, un pochino più, come dire, intrigante} ” (“Intrigante” era una delle parole preferite di Christopher. L’aveva imparata dal suo docente del secondo anno di design all’Università di York, e da quel momento era diventata il biglietto da visita di Christopher.) A quel punto, con spocchia perfino maggiore, esibì il suo secondo disegno: un mucchietto di teschi in decomposizione disposti su un cuscino di seta con un serpente che usciva da una delle orbite vuote. Di cioccolatini, nemmeno l’ombra.

“Senti, Christ…”

“X-opher, prego. X se vuoi abbreviare. ”

“Va bene. Ascoltami, X. È cambiato tutto. Non useremo né quel titolo né quella copertina. Mi basta uno stampatello su fondo in tinta unita: Quello che ho imparato sulla montagna di Tupak Soiree. Tutto qua. Niente teschi. Niente serpenti. Niente drappi di seta. Un semplice stampatello e una copertina a due colori, d’accordo? Non voglio che tu ci sprechi chissà quali energie. Mettici meno che puoi.”

“Da un punto di vista temporale o spirituale?”

“Il tempo. Il tempo vero. Quello in cui viviamo tutti.”

“Io vado a frazioni di quindici minuti.”

“Ottimo. Benissimo. Voglio che il tuo impegno non superi i quindici minuti. È il tempo massimo che ti chiedo di dedicare a questa copertina. Chiaro?”

“Direi di sì.”

“Bene, perché c’è un progetto molto più importante in vista, un libro di cucina tutto sul maiale fritto, e per quello ho bisogno di tutta la tua energia creativa.”

Christopher annuì, si accarezzò il pizzo come si potrebbe accarezzare la vulva della propria amata e disse: “Maiale, eh? Be’, questo lo sai che cosa richiama”.

“Signor de Valu?” Era Irwin. Era pallidissimo e la voce cominciava a tremargli. “Mi dispiace. Non voglio disturbarla, ma inizio ad avere un po’ di capogiro. Non è che per caso ha qui un muffin, un panino o qualsiasi cosa?”

E con queste parole, roteò gli occhi, piegò le ginocchia e crollò sul pavimento a faccia in avanti.

Quello che ho imparato sulla montagna venne licenziato il lunedì successivo, senza fanfara e senza anteprima. In un “party di festeggiamento/lancio del libro” pieno di ironia, Edwin e May si fermarono a bere qualcosa dopo il lavoro. Erano tutti e due su di giri, quello che i tedeschi chiamano Feierabend, un intraducibile che significa “quel caratteristico umore festoso che invade le persone al termine di una giornata di lavoro”. Una specie di calda euforia rilassata. Questi tedeschi hanno proprio una parola per tutto.

“A Tupak Soiree,” disse Edwin alzando il bicchiere in un brindisi. “Addio! Che liberazione!”

“Senti, senti!” fece May.

“Vuoi sapere una cosa? Se un giorno il fisco dovesse scongelare i miei milioni perduti, la prima cosa che faccio è portarti in vacanza. In qualche posto lontano, dove nessuno legge libri, e soffia sempre una brezza tiepida. ”

“Caspita, Edwin, grazie per il bel gesto che non ti costa niente.”

Edwin rise. “Non c’è di che. Quando si tratta di regali immaginari, sono generosissimo. Puoi avere qualsiasi cosa inesistente che vuoi, May.”

“Sai che novità.”

“Però ti dico una cosa. Se mai dovessi riavere indietro i miei milioni, non mi prenderò la briga di tirare la coda di cavallo al signor Mead. ”

“No?”

“Macché. Credo che invece la immergerò nell’alcol e le darò fuoco. Mi sembra che mantenga intatta quella mia silenziosa dignità che ti piace tanto. ”

“Edwin,” gli disse lei, “andiamo a fare due passi.”

“Due passi? E dove?”

“Da qualsiasi parte.”

E così, mentre Quello che ho imparato sulla montagna usciva dalle rotative e veniva impilato ordinatamente nelle scatole, mentre le parole di Tupak Soiree venivano stampate e ristampate, Edwin e May andarono a fare una lunga passeggiata nel parco immerso nel tramonto.

Non avevano neanche la più pallida idea di aver appena dato avvio al Flagello.