31.
“Edwin, com’è che ci hai messo tanto? Sei stato via due giorni. Almeno ti sei ricordato della trigonella?”
Edwin entrò barcollando, traumatizzato e ancora tremante. L’avevano buttato giù da un’auto da qualche parte appena al di là del confine di stato, e negli ultimi due giorni non aveva fatto altro che cercare passaggi e campeggiare nelle fogne.
Jenni lo squadrò da capo a piedi. “Che ti è successo?”
“Sono stato rapito, picchiato e poi buttato giù da un’auto in corsa.
“Oooh, che roba. A proposito, prima che me ne dimentichi, ho invitato a cena i nostri vicini Alice e Dave. Quindi vedi di renderti presentabile prima che arrivino.”
Edwin rimase lì, sbigottito da tanta mancanza di sensibilità, sbigottito da tanta ferrea risoluzione a non lasciare che niente increspasse la superficie della sua vita. Sbigottito da quella persona, la persona che aveva sposato.
“A stro’, forse non ti ho detto che la mafia ha messo una taglia sulla mia testa,” aggiunse. “Be’, non la mafia vera e propria. Si tratta più che altro di un cartello di manager del tabacco, dell’alcol e di centri di disintossicazione. Mi rimane soltanto una settimana di vita. Mi hanno messo nel bagagliaio di un’auto, mi hanno colpito ripetutamente in testa con corpi molto contundenti e mi hanno portato fuori dal confine di stato. ”
“Teso-o-ro?” Gli parlò con il tono che si usa con un bambino particolarmente ottuso. “Me l’avevi già detto, non ti ricordi più? Allora…” fece una piccola piroetta e si guardò preoccupata il sedere nello specchio dell’ingresso: “Ti sembro grassa?”.