7.
“Il correttore di bozze è impazzito,” disse May.
Erano seduti da O’Malley in Donovan Street, fra ottoni e legni lucidi, a bere birra nera come la pece e mangiare dolcetti irlandesi fatti a mano. Edwin non era andato in ufficio, aveva chiamato per dire che quel giorno lavorava “a casa”, ma era una bugia. Lavorare a casa avrebbe significato passare la giornata insieme a Jenni, cosa che nella lista di Edwin (in costante aggiornamento e sempre più lunga) delle Cose da Evitare stava appena un gradino più in giù che passare una giornata sulla poltrona di un dentista col singhiozzo. Si era invece dedicato a un ampio giro dei pub, partendo da O’Callaghan per poi spostarsi da Ò’Toole, quindi da O’Reilly e ancora da O’Feldman, prima di finire lì, da… dov’è che si trovavano adesso?… O’Malley. In Donovan Street. Edwin aveva chiamato May con la voce già mezzo impastata e l’aveva implorata di raggiungerlo. “Vieni a farti un bicchiere con un cadavere,” aveva biascicato al telefono. “Vieni a tener compagnia a un morto.”
“Accidenti,” aveva detto May secca secca. “Come fa una ragazza a resistere a un invito del genere?” Però alla fine c’era andata.
Edwin l’aveva accolta come un generale di ritorno dalla guerra. “May! May! Sono qui!” Era tutto scarmigliato ma sbarbato, e May l’aveva considerato un buon segno. Non aveva ancora toccato il fondo, non era arrivato a essere una caricatura fatta e finita. Non ancora. Notò tuttavia che aveva ripreso a fumare. E non solo a fumare, ma a fumare furiosamente. Edwin era avvolto da una coltre di nebbia azzurrognola e il posacenere davanti a lui traboccava dei mozziconi inceneriti di un lento suicidio.
Così rimasero seduti lì a bere, Edwin a fumare e May a raccontare piccoli aneddoti, Edwin a ordinare una birra dopo l’altra e a ridere alle battute di May un po’ troppo a lungo e un po’ troppo forte.
“Mi rendo conto che i correttori di bozze sono pagati per essere degli anali ritentivi,” disse lei. “Ma questo tipo ha superato il limite. Decisamente. Ha cassato l’espressione ‘manoscritto’ perché in realtà si trattava di un dattilo, dicendo che era una contraddizione di termini rispetto alla radice latina, manus.”
“Ah! ” fece Edwin. “Latino! Epluribus unum. Carpe dietn. Dum spiro, spero! Correttori di bozze, ah! Tutti matti. Matti, te lo dico io. ”
Era vero. L’unica cosa peggiore di un correttore di bozze schizzinoso e con la puzza sotto il naso (espressione ridondante, come avrebbe rimarcato un membro della categoria) erano gli avvocati della Panderic pagati per passare i libri pagina per pagina, riga per riga e succhiarne fuori ogni traccia di vita. Un avvocato particolarmente anale (è la pura verità) una volta aveva cassato la frase “i politici del giorno d’oggi si inebriano di luoghi comuni” perché secondo lui ciò implicava “l’uso di sostanze psicotrope”. Ovviamente, la parola “inebriarsi” può anche indicare comportamenti poco ortodossi.
“Si inebriano di luoghi comuni! ” sghignazzò Edwin. “Te lo ricordi, May? Ti ricordi che-faccia-aveva? Lo scrittore. Com’è che si chiamava?”
“Berenson.”
“Giusto, Berenson. Quando vide che gli avevano cassato ‘si inebriano di luoghi comuni’ sclerò. Ti ricordi che si precipitò in ufficio da noi rovesciando le sedie e minacciando di uccidere l’avvocato e chiunque… com’è che disse?”
“Chiunque avesse ‘osato violare la santità della sua prosa’.”
“Giusto. La santità. Ah! ”
May si chinò in avanti, avvicinandosi a lui. “ Senti, Edwin. Quello che stai facendo non va bene. Lo so che sei terribilmente sotto pressione, ma…”
“Mi sono impegnato per un libro e poi l’ho buttato via. O forse è il contrario. Non importa. E non un libro qualsiasi, ma il più grande stramaledetto manuale di autoaiuto della storia dell’universo. Un libro venuto direttamente giù dal cielo.”
“E allora diciamo al signor Mead che l’affare è andato a monte. Diciamogli che l’autore ha chiesto un anticipo irragionevole, o che si è messo a fare il prezioso, o che abbiamo avuto una discussione e lui ha ritirato il manoscritto e l’ha portato, diciamo, alla Random House… Lo sai che il signor Mead ha la paranoia della Random House, pensa che ce l’hanno con noi. Quand’anche la Random House dovesse negare di averci rubato un autore, non farebbe che confermare i suoi peggiori sospetti. Ti tireresti fuori dai guai, Edwin. E poi,” gli disse, “in fin dei conti è solo un libro.”
“No, no. Non è soltanto per il libro. È tutto. Un altro casino, un altro… Non so. ” Aveva la testa china. Bofonchiò qualcosa tra sé, poi però alzò lo sguardo, fissò gli occhi su May e improvvisamente, con una tenerezza così sincera che quasi le spezzò il cuore, disse: “Dio mio, come sei bella”.
“Piantala.”
“È vero.”
“Piantala all’istante.”
“È così. Sei veramente molto, molto bella.”
“E tu,” scandì lei, “sei veramente molto, molto ubriaco. Forza. Ti riporto a casa.”
“Mia moglie,” fece lui, sbilanciandosi di lato e alitandole sul collo, “mia moglie è una mucca.”
A questo punto May si irrigidì. “Edwin, lascia che ti dia un consiglio. Se sei un uomo sposato che sta cercando di far colpo su una ragazza single, non dare addosso a tua moglie, okay? Non fa una buona impressione.”
“Ma è vero,” disse lui. “È una mucca. È una persona tremenda. ” Cominciò a produrre forti muggiti, chinandosi ancora di più verso di lei, posandole la mano sul ginocchio.
May si allontanò e si alzò in piedi. “Andiamo. Ti riporto a casa.”
“Non voglio andare a casa. Mia moglie è pazza. Come La fabbrica delle mogli3 ti ricordi? Mia moglie è così pazza da sembrare normale. Invece non lo è. Mi fa paura, May. La sua normalità mi fa paura.”
“Be’, e allora,” a questo punto la sua voce prese un tono duro, tagliente, “allora perché non la lasci?”
“Non posso,” rispose lui con aria afflitta.
“E perché mai?”
“Perché la amo troppo.”
“Prendi la giacca,” disse May. “Andiamo.”
Quando il taxi si fermò davanti a casa, Jenni stava zompando su e giù al ritmo di vecchi brani di successo (Van Halen e Bon Jovi). Andò alla porta; mentre girava la maniglia si stava ancora asciugando la faccia con una salvietta.
“Ah, eccoti qua! ” esclamò.
Edwin si puntellava contro lo stipite, e intanto May lo reggeva in piedi.
“Ha bevuto troppo,” disse May, come se ce ne fosse bisogno.
“Davvero, tesoro? È così?”
Ma Edwin non disse niente. Si limitò a produrre forti muggiti mentre Jenni lo aiutava a entrare nell’ingresso. “Grazie mille, May. Sei veramente gentilissima. ”
A differenza di Edwin, non erano molte le persone che May odiava. Però Jenni la odiava. La odiava senza passione, ma con freddo distacco clínico. “Se un giorno il mondo dovesse finire, se la società dovesse collassare e venisse promulgata la legge marziale,” pensava May, “la prima cosa che farei sarebbe andare a cercare Jenni e ucciderla.”
Edwin continuava a muggire con sentimento, gli occhi chiusi, scalciando inutilmente le scarpe.
“Eravamo in un bar,” disse May. “Insieme. Noi due da soli. Lui ha bevuto parecchio (con me), così ho chiamato un taxi.” Fuori era buio e May riportava alla moglie un marito male in arnese.
Jenni, che stava slacciando le scarpe di Edwin, alzò lo sguardo. “A buon rendere, May,” disse cordialmente. “Ora ce ne andiamo a letto, vero tesoro?”
“Muuu,” fece Edwin. “Muuuu.”
“Non so che cosa mi dà più fastidio,” disse May, in piedi fuori dalla porta. “Il fatto di essermi portata a letto suo marito una volta o il fatto che lei non mi consideri una minaccia. Neanche lontanamente.”
Il tassista la stava aspettando con un sorriso da tassametro in azione. “Allora,” disse, “adesso dove si va?”
Aveva davanti a sé tutta la serata e tutta la città, piena di luci e di possibilità. “A casa,” rispose.
“Come, così presto? Una bella signorina come lei? Andiamo, la notte è giovane, e lei pure. ”
“No,” fece lei. “Non lo sono.”