24.
“May, senti. A proposito di ieri.”
“No. Ieri non esiste. Non c’è niente di cui dobbiamo discutere. Niente.”
“Ascolta, mi sento malissimo. La verità è…”
“La verità, Edwin? La verità è che ti ho usato. Mi sentivo un po’ su di giri, un po’ sexy e tu eri il maschio quasi decente più a portata di mano.” Si strinse nelle spalle. “Niente di speciale.” L’interpretazione era eccellente: sbrigativa, disinvolta, sbarazzina. E così doveva essere. L’aveva provata e riprovata tutta la notte, stesa a letto senza riuscire a dormire. “Niente di speciale. Non sei stato tu a usarmi, sono stata io a usare te.” Era il suo mantra; il suo comunicato stampa preparato allo specchio. L’aveva ripetuto tante di quelle volte che quasi quasi cominciava a crederci.
“Davvero?” disse Edwin.
“Sì. Mi dispiace, ma le cose stanno proprio così.”
“Capisco.” Edwin non sapeva che cosa dire. “Be’, mmm, qui c’è il tuo caffè. Io…”
“Lì,” fece lei con un gesto della mano. “Lasciamelo lì. Ora mi scuserai, ma ho del lavoro da fare.” E rivolse la sua attenzione a una pila di fogli, simulando un profondo quanto innaturale interesse per il loro contenuto.
Edwin fece come gli era stato detto. Poggiò il caffè sul tavolino ed era già sulla soglia quando si girò. “May, voglio solo che tu sappia che qualsiasi cosa accada, io sarò sempre…”
“Basta così,” disse lei. “Non c’è alcun bisogno di tutto ciò. Vai pure.” Poi, sottovoce, pronunciò una sola parola, una parola che rimase sospesa tra loro come un punto di domanda: “Razbliuto”. Soltanto questo: razbliuto.
Invece di tornarsene nel suo cubicolo, Edwin si diresse verso lo scaffale di ristampe della Panderic, trovò Gli intraducibili sulla fila in basso a sinistra e vi cercò la parola detta da May. Edwin sfogliò le pagine, seguì le sezioni fino alla voce che gli interessava. Razbliuto: termine russo che indica “i sentimenti che si provano per una persona un tempo amata e ora non più”.
Edwin fissò la definizione, fissò la parola e quel popò di implicazioni che comportava, e si sentì svuotare di ogni soffio d’aria. Razbliuto. Una persona un tempo amata e ora non più…
Avrebbe potuto tornare indietro all’istante. Avrebbe potuto andare da May e dirle: “Sono terribilmente contrito”; avrebbe potuto dirle: “Non me n’ero reso conto. Non avevo capito”. Avrebbe ancora potuto stringerla fra le braccia, avrebbe potuto baciarla sulle labbra, sulle sue labbra piene e carnose. Avrebbe potuto tenere il suo corpo caldo e morbido nel suo legnoso abbraccio da burattino. Avrebbe potuto fare questo e altro ancora, ma ci si misero di mezzo le inezie della vita.
“Il signor Mead ti vuole nel suo ufficio! Immediatamente! ” Era Nigel, in piedi sulla soglia, le mani sui fianchi. “Ti abbiamo dovuto cercare. Non eri nel cubicolo di tua competenza.”
Edwin ripose Gli intraducibili; non era nemmeno in grado di mettere insieme il rancore necessario a dare una stoccata gratuita a Nigel. “Di’ al signor Mead che arrivo subito.”
“Subito non è abbastanza, Edwin. Ti sta aspettando già da cinque minuti.”
“Può aspettare per altri cinque. Ho bisogno di un momento di tranquillità.”
“Se non fosse per Quello che ho imparato sulla montagna questa non la passeresti liscia,” mormorò Nigel.
Edwin restò lì in piedi a lungo, a fissare la grande parete coperta di libri, tutti della Panderic, molti dei quali suoi, e a pensare a May. Pensava a May. E alle parole. E al significato dell’una e delle altre.Il signor Soiree passa diciotto ore al giorno a meditare sotto il sole cocente, senza né cibo né acqua. Credo che questo influisca sulla sua capacità di giudizio. Tende a renderlo piuttosto eccentrico.
Il signor Mead annuì. “Il deserto è così. Diamine, mi ricordo una volta in un ashram in India, o forse in Sri Lanka, che digiunai per quarantotto ore assumendo soltanto funghi allucinogeni offerti da monaci che cantavano sutra. Come può ben immaginare, per me tutta quell’esperienza…”
“Signore? Stavamo parlando dell’autore?”
“Ah, sì, certo. Tupak Soiree. Non capisco proprio perché lei abbia tirato fuori la faccenda dei funghi. Completamente fuori tema. A volte lei mi preoccupa, Edwin. Insomma, quanto al nostro cosiddetto autore cosiddetto schivo. In un modo o nell’altro dobbiamo stanarlo dal suo nascondiglio.”
“È un uomo spirituale. Magari potremmo giocare sul senso dell’altruismo. Sottolineare il fatto che il suo messaggio potrebbe arrivare a più persone, avere un impatto maggiore.”
“E lei crede che così potrebbe funzionare, eh?”
“A dire la verità,” rispose Edwin, “ho una brutta sensazione per quanto riguarda il signor Soiree. Tutta la sequenza di eventi mi sembra inquietante. Quel libro ha qualcosa, qualcosa… insomma, qualcosa di maligno.”
“Maligno? Ah. Ecco che adesso mi diventa melodrammatico. Penso proprio che dovrei trasferirla al settore romanzi rosa e narrativa gotica.” (Fra editori, quella era considerata una fine peggiore della morte, peggiore perfino dell’autoaiuto, ammesso che una cosa simile fosse possibile.) “Mi servono idee, Edwin. Idee. Non vaghe premonizioni.”
“Be’, potrei mandare un fax al signor Soiree con la supplica accorata di una bambina leucemica. In passato ha funzionato, ha presente?”
A quel ricordo il signor Mead ebbe un sorriso affettuoso. “Ah già. La ragazza che amava Wayne Gretzky. Fu proprio un bel colpo. Temo però che i nostri legali ci abbiano diffidato dal ripetere una bravata simile. Comunque, fu un’ispirazione. Proprio un’ispirazione.”
“La ringrazio,” disse Edwin, attribuendosi il merito di una cosa nella quale non ne aveva alcuno.
“Ah, quella storia della leucemia fu un’idea sua?” chiese il signor Mead. “Me l’ero completamente dimenticato.”
“Il successo della Panderic è l’unica ricompensa che mi stia a cuore, signor Mead.”
“Ottimo, perché se crede di riuscire a spillarmi dei soldi in più, si sbaglia di grosso. Quanto a Soiree, lasci perdere la carta dell’altruismo. L’altruismo è così démodé. Faremo appello invece agli istinti più bassi del signor Soiree. Soldi, Edwin. Freddi, sporchi quattrini. Volgare lucro. Gli allungheremo una mazzetta per ogni intervista che accetterà di fare. Lo pagheremo, quel briccone. ”
Edwin rimase sconcertato. Una delle regole non scritte dell’editoria era che nessuno prendeva mai una lira per fare un’intervista. “Veramente, signore, non credo che giornali e televisioni ci staranno. Se cominciamo a pagare le interviste agli autori, rischiamo che la cosa ci si ritorca contro, il che nel piccolo mondo incestuoso dell’editoria potrebbe avere gravi…”
“Non i media. Edwin. Noi. Che ne pensa se noi pagassimo il signor Soiree, diciamo, cinque bigliettoni a intervista? Sottobanco, s’intende. Crede che ci starebbe?”
La risposta di Tupak Soiree arrivò con sorprendente rapidità. Lo schivo autore continuava a usare il fax della biblioteca municipale di Paradise Flats, il che rallentava alquanto le comunicazioni. Ma non questa volta. Nossignore.
Caro signor Edwin, possa la divina luce della comprensione risplendere sulle sue natiche rivolte all’insù mentre lei bacia la Madre Terra in segno di profonda gratitudine. (Un’antica benedizione nepalese.) Spero che sulla Grand Avenue tutto vada per il meglio. La risposta alla sua domanda è sì. Sì. Mi piacerebbe moltissimo fare interviste. Ne sarei strafelice. È per tutti noi d’uopo cercare mezzi più diretti per diffondere la mia visione del mondo e la consapevolezza cosmica. (N.B.: le mie coordinate bancarie sono riportate qui di seguito. Faccia pagamenti diretti, conto corrente numero 32114.) Anzi, mi fissi pure tutte le interviste che vuole. Sarò pagato ad apparizione, giusto? Mi dia solamente il tempo per entrare nella necessaria armonia con la Grande Corda di Lira dell’Universo.
E così tre giorni dopo, inaspettatamente e per la prima volta, Edwin de Valu si ritrovò a parlare uno contro uno con il grande e misterioso Tupak Soiree.
“Salve, signor de Valu! Sono io, Tupak Soiree, che le telefona quest’oggi. ” La voce, pervasa da un qualche non meglio precisato accento dell’Est indiano, risuonò allegra attraverso i cavi telefonici.
“Caspita. Che sorpresa.” Edwin si sforzò di conservare la calma. Suo malgrado, si sentì assalire da una punta di soggezione. “Grazie… grazie mille per aver chiamato, signor Soiree. Mi fa piacere che abbia trovato il tempo di farlo. Il suo padrone di casa mi ha detto che lei era nel deserto.”
“Il mio padrone di casa? Ah, sì, McGreary. Un uomo decisamente sgradevole, vero? I miei insegnamenti d’amore sono caduti nel vuoto con lui. Ma comunque, bisogna amare tutte le creature, grandi e piccole. Anche gli insetti. Be’, magari non proprio i più schifosi. Sa, quelli che vivono nello sterco e roba del genere. Ma più o meno tutte le altre creature. Hanno bisogno d’amore, tutte quante. Amore, amore, amore. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è amore. L’amore è tutto ciò di cui abbiamo bisogno. È quello che ho imparato meditando questa mattina: ognuno di noi deve essere amato. Perché l’amore è come l’acqua. Ci serve per crescere. E anche quando abbiamo sete. Oh sì, eccome. Effettivamente sono stato tre giorni nel deserto e ho pensato veramente tanto all’acqua. Bontà divina, che caldo che faceva. Caldo secco. Ma quando ho saputo che lei desiderava parlarmi, sono tornato immediatamente.”
“Grazie, ” disse Edwin. “Si tratta di Oprah. Le piacerebbe averla ospite nella sua trasmissione. Sta pensando di inserire Quello che ho imparato sulla montagna per rilanciare il suo club del libro, e lei sa bene, Dio Onnipotente, che razza di vacca grassa sia quella. Spiritualmente parlando, chiaramente. Ora, io mi rendo conto che a lei le interviste non piacciono…”
“Oh no. Bontà divina, no. Io adoro le interviste. Soprattutto con Oprah. È una donna così speciale. E anche così famosa. Eh sì, la guardo tutti i giorni. L’ha visto il suo programma la settimana scorsa, quando l’ospite d’onore era Will Smith? Perbacco, è stato così…”
“Ma… ma io pensavo che lei passasse le sue giornate nel deserto.”
Ci fu una pausa. “Certo. Volevo dire che guardo Oprah quando ritorno dal deserto. Sa, una volta che ho finito con la meditazione e roba del genere. Registro la trasmissione e poi me la guardo quando torno. Dal deserto. Quand’è che mi mandate il primo assegno dei diritti d’autore, diceva?”
Il giorno dopo, Tupak Soiree fece arrivare all’ufficio stampa della Panderic una sua fotografia 8x10, e l’immagine venne immediatamente utilizzata per una brochure promozionale e spedita a tappeto in tutto il paese.
Soiree era un tipo che fa colpo. Non proprio bello, e neanche attraente. Però molto gradevole; quasi bovino nei tratti. Calmo e molto, ma molto guru. Qualche giorno dopo la spedizione a tappeto, il telefono prese a squillare in continuazione.
Oprah sarebbe stato il grande esordio di Tupak Soiree; sarebbe stata la sua prima apparizione pubblica, ma di sicuro non l’ultima.
“Eh già, effettivamente,” fece il signor Mead. “Credo proprio che abbiamo per le mani un vincente. ” E firmò di suo pugno il primo assegno da 5000 dollari sotto la voce sibillina di “Spese promozionali”. Ovviamente, non era niente del genere.
Era, schiettamente e inequivocabilmente, una bustarella. Ed era diretta a un uomo che dichiarava di aver scoperto nientemeno che i segreti fondamentali dello spazio e del tempo. Evidentemente, i soldi avevano ancora un loro posto nei disegni cosmici, e con ogni probabilità l’avrebbero sempre avuto.