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Ni si alzò. Si era buttato a terra, appiattendosi mentre Karl Tang sparava nell’oscurità, usando come copertura uno dei voluminosi incensieri. Era rimasto immobile mentre i proiettili rimbalzavano a cascata dal muro, poi aveva osservato i tre aggressori sparire nel buio della tomba. L’uomo che aveva tramortito lavorava certamente per Tang, ma sembrava che avesse altri programmi.

Ma chi era stato a richiamare l’attenzione su di sé e poi a sparare dalla camera funeraria? Avrebbe dovuto aiutarli? Che cosa poteva fare, a parte mettersi di nuovo in pericolo?

Farsi uccidere non avrebbe risolto niente.

Doveva andarsene.



Malone vide riapparire le ombre nell’anticamera. Aveva sentito quattro colpi e si chiedeva che cosa stesse succedendo. Sembrava che un problema fosse stato risolto, o forse non si trattava più di un problema. Invece... «Tocca a noi.» Individuò alcune teste che facevano capolino intorno all’arcata e perlustravano la camera funeraria.

«Possiamo portarli fuori?» sussurrò Cassiopea dall’altro lato del plinto.

«Non possono sapere che siamo ancora qui. Hanno scoperto pure il buco nel muro alle nostre spalle. Potremmo essere là dentro, per quanto ne sanno.»

Sfortunatamente si trovavano a una trentina di metri di distanza davanti a uno spazio completamente sgombro salvo per qualche colonna, che offriva ben poco riparo.

Malone esplorò mentalmente le varie possibilità.

Non erano molte.

Studiò i faretti che illuminavano il plinto. Il suo sguardo seguì un fiume di mercurio che scorreva a qualche decina di centimetri: una rappresentazione, supponeva, del Fiume Giallo che attraversava l’antico impero da est a ovest. Si ricordò ancora una volta ciò che Pau Wen gli aveva letto a casa sua. Con l’argento vivo essi avevano creato i cento fiumi della nostra terra, il Fiume Giallo e lo Yangtze, e il vasto mare, e vi erano macchine che tenevano in movimento le acque. C’era un collegamento coi giacimenti? In ogni caso, ciò che aveva in mente avrebbe dovuto funzionare. «Stai pronta a muoverti», sussurrò.

«Che cosa vuoi fare?»

«Creare un problema.»



Tang scorse delle ombre sulla piattaforma centrale.

C’era qualcuno. Due sagome.

Ce n’era una a ogni lato del tavolo di giada disposto in diagonale rispetto all’ingresso. Vagliando quello che restava della camera, ebbe la conferma che non c’erano altri posti dove nascondersi.

Dov’era la terza persona che avrebbe dovuto trovarsi lì?

«Uccidili entrambi», ordinò a Viktor. «E questa volta li voglio morti. Non abbiamo bisogno di ulteriori distrazioni.»

Il russo parve capire che le cose non erano andate per il verso giusto e annuì. «Li sistemiamo noi.»



Malone vide le canne di due pistole, una a ogni lato dell’arcata.

Entrambe spararono.

I proiettili rimbalzarono sulla giada.

Era ora di darsi una mossa.

Si lasciò cadere sul sedere, sollevò la gamba destra e con la suola della scarpa diede un colpo al treppiede che sosteneva le luci elettriche. Il metallo sottile crollò, le lampadine esplosero in una pioggia di scintille, mentre il calore infiammò l’olio minerale. Malone conosceva qualche mangiatore di fuoco e sapeva che gli esperti di effetti speciali preferivano l’olio minerale poiché aveva un punto d’infiammabilità elevato e una bassa temperatura di combustione. Non ci volle molto perché prendesse fuoco, e non durò a lungo una volta acceso.

Produsse un effetto spettacolare, proprio come la carta lampo usata dai maghi.

La camera funeraria fu avvolta da fiamme luminose, mentre l’olio bruciava sul mercurio nei laghi, nei fiumi e nell’oceano, consumandosi. Un flusso d’aria si propagò per i muri, come un’onda che si precipita verso riva, generando un calore e una luce che si diffondevano in fretta.

Malone non perse tempo, balzò in piedi per raggiungere Cassiopea e percorrere a tutta velocità la breve distanza che li separava dalla breccia nel muro della camera. Evitarono altri fiumi e altri laghi, ma per fortuna la parte occidentale dell’impero di Qin era composta più che altro da deserti e montagne.

L’olio si esaurì in fretta, e la luce svanì. Quello che rimase era una nuvola scura che si diffondeva dal pavimento, e lui sapeva che cosa contenesse quella zaffata letale.

Mercurio.

«Trattieni il respiro», disse.



Tang vide il treppiede schiantarsi a terra e sentì il calore dell’olio minerale che s’infiammava producendo una luce accecante. Sollevò un braccio per proteggersi gli occhi. Il fratello e Viktor lo imitarono.

Il lampo inatteso lasciò una scia di puntolini neri intermittenti ma, non appena riprese a veder bene, scorse fra le nuvole ascendenti di nebbia nerastra due figure che correvano dalla parte opposta della stanza, verso la breccia nel muro.

«Non possiamo restare qui», disse Viktor.

Tang sapeva che il fumo era tossico e che le sue esalazioni stavano per raggiungerli, perciò si allontanò dall’arcata.

Un altro crac risuonò nella camera e le luci iniziarono a esplodere. Sentì un’onda di elettricità e qualcosa scoppiò dietro di lui in una pioggia di scintille.

La scatola di giunzione alimentata dal cavo esterno.

«Sta andando in cortocircuito», gridò Viktor.

Poi il mondo diventò nero.



Cassiopea continuò a correre, intuendo che la corrente elettrica che si sollevava dal mercurio era finalmente tornata indietro.

L’ultima cosa che vide prima che tutte le luci si spegnessero fu il muro, a circa dieci metri di distanza.

Si fermò bruscamente e sentì che Malone faceva lo stesso. «Dobbiamo andare», sussurrò.

«Trova il muro. L’uscita era a circa venti metri, sulla destra», disse Malone. «A questa distanza, potremmo avere circa un minuto di aria buona, ma dobbiamo sbrigarci.»

Il buio era assoluto. Cassiopea non riusciva neanche a vedersi le mani. Con cautela, brancolò alla cieca e trovò il muro con la punta della pistola. Aveva ancora in tasca la torcia, ma sarebbe servita soltanto a fare di loro un bersaglio perfetto per una raffica di proiettili attraverso la nebbia.

«Vai. Svelta», sussurrò Malone.

Dal lato opposto della sala spuntarono raggi di luce che tessevano un sentiero attraverso la nuvola che si trovava, ora, a meno di due metri dal pavimento e si stava sollevando.

I raggi trovarono il muro e si misero a cercare a destra e a sinistra.

Cercavano loro.



«Devono essere là», disse Tang.

Utilizzavano tutti e tre le torce per analizzare la parte opposta della camera in cerca delle due figure. I raggi erano deboli, ma sufficienti.

«Trovate quel buco! È lì che erano diretti.»

I raggi continuarono la loro danza. Uno di essi individuò la breccia nel muro e, alla sua destra, una sagoma.

Che si muoveva proprio in quella direzione.

«Là! Sparate», ordinò Tang.



«A terra», urlò Malone, sapendo che cosa sarebbe successo.

Il raggio aveva individuato Cassiopea non appena si era messa in salvo. Decise di non regalare occasioni a nessuno.

Mirò attraverso la stanza e sparò al centro delle tre torce.



Tang sentì che la pallottola aveva colpito il fratello. L’uomo fu scagliato indietro dall’impatto; la torcia zigzagò nell’oscurità e il corpo cadde con un tonfo sui mattoni.

Il ministro si ritirò immediatamente dietro l’arcata, come fece Viktor dall’altra parte. La nuvola di mercurio avanzava verso di loro ed era ormai a pochi metri di distanza.

Dovevano andarsene.

Ma prima...



Cassiopea vide una torcia cadere e altre due scomparire, probabilmente in cerca di un riparo. Balzò in piedi, trovò con la mano la breccia nel muro e ci scivolò dentro, mettendo fra sé e altri proiettili una spessa lastra di pietra.

Malone, però, era ancora là fuori.

«Sei entrata?» lo sentì chiedere.

«Sono qui. Tocca a te.»

Le torce stavano ricominciando a perlustrare, puntate sull’apertura. Ma erano molto più deboli a causa della nebbia che si stava infittendo e avanzava verso il lato della sala occupato da loro.

Altri trenta secondi e sarebbe arrivata.

Le torce si allontanarono e si abbassarono.

Entrambe puntate fisse su Malone.



«Eccolo lì. Sparagli subito», disse Tang a Viktor.

Le pistole fecero fuoco.



Malone individuò la nuvola scura a circa tre metri di distanza. Si appiattì al suolo proprio mentre le pistole sparavano dall’altra parte della sala.

Trattenne il respiro; le torce si fermarono proprio sopra di lui.

Alzarsi, o anche solo rannicchiarsi, sarebbe stato fatale.

Ma doveva andarsene.

Subito.



Cassiopea mirò alla porta di pietra e svuotò il caricatore per la stanza, sparando alle luci. «Porta qua il culo», urlò a Malone.



Malone si rese conto che non era proprio così semplice. I raggi delle torce non si vedevano più a causa del fuoco di fila di Cassiopea – l’idea era proprio quella, pensò – che gettò la stanza nel buio più totale. Sapeva che il varco era a circa due metri e mezzo, sulla destra. Tuttavia dovette andare tastoni verso il muro, dirigendosi verso il punto di origine degli spari.

Una serie ripetuta di scatti indicò che il caricatore di Cassiopea era a secco.

Malone trovò il varco, saltò dall’altra parte e tirò il fiato. «Dobbiamo andarcene da questo inferno.»



Tang si rese conto che Cotton Malone e Cassiopea Vitt erano scappati dall’uscita più distante. Poiché la nebbia stava per raggiungerli, non c’era modo d’inseguirli attraverso la camera.

Arretrò, come aveva fatto Viktor. «Non importa. Ho due fratelli che li aspettano al punto in cui emergeranno dal sottosuolo.»

L'esercito fantasma
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