PROLOGO

Territori del Nord, Pakistan,
venerdì 18 maggio, ore 08.10



Un proiettile sibilò passando accanto a Cotton Malone, che si tuffò sul terreno roccioso cercando quel po’ di riparo offerto dai pioppi radi. Cassiopea lo imitò e i due strisciarono sulla ghiaia tagliente fino a trovare un masso abbastanza grande da proteggerli entrambi.

Arrivavano altri spari.

«La faccenda si fa seria», disse Cassiopea.

«Credi?»

La scarpinata, fino a quel momento, era stata tranquilla. Erano circondati dalla più imponente congrega di vette del pianeta. Il tetto del mondo, a più di tremila chilometri da Pechino, nell’estremo angolo sudoccidentale della regione autonoma cinese dello Xinjiang – o nei Territori del Nord pakistani, a seconda dei punti di vista –, proprio in corrispondenza di un confine aspramente conteso.

Ecco spiegati i militari.

«Non sono cinesi. Li ho intravisti. Pakistani, senza dubbio», disse lei.

Cime frastagliate e innevate, alte fino a seimila metri, preservavano ghiacciai, macchie verdi e brune di foresta e vallate lussureggianti. Le catene dell’Himalaya, del Karakorum, dell’Hindu Kush e del Pamir si congiungevano tutte lì. Quella era la terra dei lupi neri e dei papaveri blu, degli stambecchi e dei leopardi delle nevi. Là dove si radunavano le fate, come notava un antico osservatore, ricordò Malone. Forse era a quello che s’ispirava lo Shangri-La di James Hilton. Il paradiso di escursionisti, alpinisti, appassionati di rafting e sciatori. Purtroppo, India e Pakistan ne reclamavano entrambi la sovranità, la Cina ne manteneva il possesso e i tre governi combattevano da decenni per quella desolata regione.

«Sembra che sappiano dove siamo diretti», continuò Cassiopea.

«Il pensiero ha sfiorato anche me. Te l’avevo detto che lui era un problema», replicò Malone.

Indossavano giacche di pelle, jeans e scarponcini. Anche se si trovavano a oltre duemilaquattrocento metri sopra il livello del mare, il clima era sorprendentemente mite. Quindici, sedici gradi, valutò lui. Per fortuna entrambi avevano armi semiautomatiche cinesi e qualche caricatore di ricambio.

Malone indicò alle loro spalle. «Dobbiamo andare di là. E quei militari sono abbastanza vicini da crearci dei problemi.» Frugò nella sua memoria eidetica. Il giorno precedente, aveva studiato la geografia locale e aveva notato che quella fetta di terra, non molto più ampia del New Jersey, un tempo era chiamata Hunza e per oltre novecento anni era stata un principato, la cui indipendenza era sfumata negli anni ’70. Gli abitanti, chiari di pelle e di occhi, sostenevano di discendere dall’esercito di Alessandro Magno, dai soldati greci che avevano invaso la zona due millenni addietro. Chi poteva saperlo? Quel territorio era rimasto isolato per secoli, sino alla fine degli anni ’70, quando la strada del Karakorum aveva collegato la Cina col Pakistan.

«Dobbiamo credere che se la caverà», disse lei infine.

«La missione era tua, non mia. Vai avanti, ti copro io.» Strinse la pistola cinese a doppia azione. Non male, come arma. Quindici colpi, piuttosto precisa.

Anche Cassiopea si preparò. Ecco quello che gli piaceva in lei: era sempre pronta per qualunque imprevisto. Formavano una bella squadra insieme, e quella splendida araba-spagnola lo affascinava sul serio.

Lei se la svignò verso una macchia di ginepro.

Da dietro il masso, Malone puntò la pistola, pronto a reagire al minimo movimento. Alla sua destra, nella luce tombale che filtrava tra il fogliame primaverile, colse il bagliore della canna di un fucile nascosto dietro il tronco di un albero.

Sparò.

La canna scomparve.

Malone decise di cogliere l’attimo e seguì Cassiopea, cercando di restare sempre coperto dal masso.

La raggiunse e si lanciarono avanti insieme, proteggendosi dietro altri alberi.

Echeggiarono colpi secchi di fucile, i proiettili che fischiavano intorno a loro.

Il sentiero piegava uscendo dalla macchia e prendeva una china scoscesa ma percorribile, attaccata a un promontorio roccioso tramite pareti di sostegno fatte di massi liberi. Non era un posto molto protetto, ma non avevano scelta. Al di là del sentiero, Malone scorse canyon tanto profondi e ripidi che la luce vi entrava soltanto a mezzogiorno. Alla loro destra si spalancava un burrone, e corsero lungo il bordo. Sul lato opposto il sole era quasi accecante, appena smorzato dal nero ardesia della montagna. Trenta metri più in basso, l’acqua fluiva precipitosa, grigia di sabbia, lanciando altissimi spruzzi schiumosi.

Malone e Cassiopea si arrampicarono sull’argine ripido.

Lui scorse il ponte.

Esattamente dove gli avevano detto.

La struttura non era granché, un’unica campata fatta con paletti traballanti incuneati tra massi in verticale e travi orizzontali legate con una corda di canapa spessa: una passerella di assi che dondolava sopra il fiume.

Cassiopea arrivò in cima al sentiero. «Dobbiamo attraversare.»

L’idea non lo allettava molto, ma lei aveva ragione. La loro meta era dall’altra parte.

In lontananza echeggiarono degli spari e lui lanciò un’occhiata alle loro spalle.

Niente soldati.

La cosa lo infastidì.

«Forse li sta portando via», disse lei.

Malone ne dubitava fortemente, ma non c’era il tempo di analizzare la situazione. Si cacciò la pistola in tasca. Cassiopea lo imitò, quindi salì sul ponte.

Lui la seguì.

L’impeto dell’acqua sottostante faceva vibrare le tavole. Il ponte era lungo meno di trenta metri, ma si sarebbero trovati sospesi a mezz’aria, del tutto allo scoperto, passando dall’ombra al sole. Sulla sponda opposta si scorgeva un altro sentiero coperto di pietrisco, che finiva in un’altra macchia di alberi. Malone individuò una figura, alta più o meno quattro metri e mezzo, incisa sulla parete rocciosa oltre il sentiero: un’immagine buddista, proprio come gli avevano detto.

Cassiopea si voltò verso di lui, gli occhi orientali che lo scrutavano da un viso occidentale. «Questo ponte ha visto giorni migliori.»

«Spero che gliene rimanga almeno uno.»

Lei si aggrappò alle corde ritorte che tenevano su la campata.

Anche lui strinse le dita intorno ai fili ruvidi, poi decise. «Vado prima io.»

«E per quale motivo?»

«Sono più pesante. Se mi reggono, reggeranno anche te.»

Cassiopea si scostò. «Dato che la tua logica è inattaccabile... accomodati.»

Malone si portò in testa, muovendo i piedi a tempo con le vibrazioni costanti.

Nessuna traccia d’inseguitori.

Decise che un passo svelto andava meglio: non avrebbe dato tempo alle tavole di reagire. Cassiopea lo seguì.

Al di sopra del rombo dell’acqua impetuosa salì un nuovo rumore.

Toni bassi e profondi. In lontananza, ma sempre più forti.

Tump. Tump. Tump.

Malone girò la testa a destra di scatto e intravide un’ombra su una parete di roccia, a un paio di chilometri di distanza, dove la gola che stavano attraversando ne incontrava un’altra, formando un angolo di novanta gradi.

A metà strada, il ponte sembrava reggere, anche se le travi ammuffite cedevano come spugne. Lui stringeva la corda con tutte le sue forze, in caso gli fosse mancato il legno sotto i piedi.

L’ombra lontana si fece più grande, quindi al suo posto si stagliò netta la sagoma di un elicottero da attacco AH-1 Cobra.

Era un modello americano, ma non era certo una garanzia di salvezza.

Anche il Pakistan li aveva in dotazione, forniti da Washington per aiutare un presunto alleato nella guerra al terrorismo.

Il Cobra puntava dritto verso di loro. Rotore a due pale, bimotore, era dotato di mitragliere da 20 millimetri, missili anticarro e razzi. Veloce come un calabrone e altrettanto agile.

«Non è qui per aiutarci», affermò Cassiopea.

Malone era d’accordo, ma non gli sembrava il caso di ribadire che lui aveva avuto ragione fin dall’inizio. Li avevano spinti in quel punto proprio per quel motivo.

Accidenti a quel figlio di puttana...

Il Cobra aprì il fuoco.

Una serie ininterrotta di proiettili da 20 millimetri piovve intorno a loro.

Malone si tuffò sulle tavole del ponte e rotolò di lato, mentre Cassiopea lo imitava. Il Cobra si avvicinò con un ruggito, coi turboalberi che risucchiavano l’aria asciutta e limpida. Qualche proiettile raggiunse il ponte, lacerando il legno e la corda con furia selvaggia.

Arrivò un’altra raffica.

Concentrata sui tre metri che dividevano lui e Cassiopea.

Malone scorse la furia negli occhi di lei, la osservò mentre trovava la pistola, si metteva in ginocchio e sparava al tettuccio dell’elicottero. Ma lui sapeva che la probabilità di causare danni a un velivolo blindato che si muoveva a oltre duecentosettanta chilometri orari era pari a zero. «Vieni giù, cazzo», strillò.

La raffica successiva cancellò il ponte tra lui e Cassiopea. In un istante, la costruzione di legno e corda era svanita in una nube di schegge.

Lui balzò in piedi e si rese conto che l’intera struttura stava per crollare. Non poteva tornare indietro, sicché corse avanti aggrappandosi alle corde mentre il ponte cadeva.

Il Cobra proseguì il volo verso la parte opposta del burrone.

Malone strinse forte le corde e, quando il ponte si divise e le due metà ricaddero verso i lati del burrone, si ritrovò a volare.

Andò a sbattere sulla roccia, rimbalzò e si fermò.

Non si concesse il tempo di provare terrore. Si arrampicò lentamente per i pochi metri che lo separavano dalla cima. Il rombo dell’acqua e il tonfo delle pale dell’elicottero gli riempivano le orecchie. Scrutò sul lato opposto del burrone, in cerca di Cassiopea, sperando ce l’avesse fatta a salire dall’altra parte.

Quando la vide aggrappata con entrambe le mani all’altra metà del ponte, che penzolava contro la parete del dirupo, fu preso dallo sconforto. Avrebbe voluto aiutarla, ma non c’era nulla che potesse fare: lei era a trenta metri, fra loro soltanto aria.

Il Cobra eseguì una curva stretta all’interno del dirupo, inarcandosi verso l’alto, poi riprese la corsa verso di loro.

«Riesci ad arrampicarti?» gridò Malone cercando di sovrastare il rumore.

Cassiopea scosse la testa.

«Prova!» urlò.

«Togliti di mezzo!»

«Non senza di te.»

Il Cobra era a un chilometro da loro. La mitragliera avrebbe aperto il fuoco da un momento all’altro.

«Sali!» urlò ancora lui.

Una mano si sporse verso l’alto.

E lei cadde nel fiume impetuoso, quindici metri più giù.

Malone non sapeva quanto fosse profondo, ma i massi che vedeva non gli erano di gran consolazione.

Cassiopea scomparve nell’acqua turbinosa, che doveva essere quasi ghiacciata, visto che la sorgente era neve di montagna.

Lui aspettò di vederla affiorare da qualche parte. Ma invano.

Fissava le acque grigie e ruggenti che trasportavano sedimenti e pietre fra il sibilo della schiuma, in una formidabile corrente. Avrebbe voluto saltar giù per cercarla, ma si rese conto che era impossibile: neppure lui sarebbe sopravvissuto alla caduta.

Rimase fermo a guardare, incredulo.

Dopo tutto quello che avevano passato negli ultimi tre giorni.

Cassiopea Vitt non c’era più.

L'esercito fantasma
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