14

Cassiopea soppesava quello che Viktor aveva detto a proposito del figlio scomparso di Lev Sokolov. Tornò a domandare: «Per chi lavori?»

«Quando ho lasciato la Federazione Centroasiatica, sono andato a est e sono finito in Cina. Ho trovato parecchie opportunità di lavoro, lì.»

«Specie per un figlio di puttana bugiardo e doppiogiochista come te.»

Lui scosse la testa. «Non riesco a credere che la pensi così. Quello che facevo in Asia centrale era il mio lavoro. E lo facevo bene. Tutti gli obiettivi della missione sono stati realizzati.»

«E io sono stata quasi ammazzata. Due volte.»

«Ecco la parola chiave: ’quasi’. Ripeto, ho fatto il mio lavoro.»

Cassiopea sapeva che lui stava eludendo la domanda. «Per chi lavori?»

«Karl Tang. È la verità.»

«Sei un po’ in calo. Dal presidente supremo della Federazione Centroasiatica al comandante in seconda della Cina.»

«Paga bene, ho diritto a un’assicurazione, spese odontoiatriche comprese, e tre settimane di ferie pagate. L’anno prossimo comincia il programma di pensionamento.»

Le battute di spirito non le interessavano. «Sei stato tu a farmi prendere da quegli uomini due giorni fa?»

Viktor annuì. «Non potevamo permetterti di lasciare il Belgio con quella lampada.»

«Perché? Tang la voleva.»

«Non ha nessuna intenzione di restituire il figlio di Sokolov. Perciò ha deciso d’impadronirsi della lampada qui.»

«Perché non è andato lui da Pau Wen? O non ha mandato te? Perché io?»

«Sinceramente non lo so.»

Lei continuava a tenere la pistola puntata. «’Sinceramente’? Non credo faccia parte del tuo vocabolario.» Lo fissò dritto negli occhi. «Mi hai torturata.»

«Ho fatto in modo che non ti torturassero.»

«Non è il mio punto di vista.»

I lineamenti del viso di lui si addolcirono. «Avresti preferito un waterboarding da qualcuno che facesse sul serio?»

Era cambiato, rispetto a un anno prima. Era sempre basso e tarchiato, ma la zazzera di capelli scarmigliati era stata sostituita da un bel taglio ordinato sopra le orecchie. Il naso largo e gli occhi infossati, di origine slava, erano ancora lì, ma la pelle era più scura. Aveva passato da poco i quaranta e aveva rinunciato agli abiti larghi che all’epoca nascondevano spalle e braccia chiaramente ben allenate, per un paio di pantaloni più eleganti e attillati e una camicia firmata.

«Dov’è il bambino?» gli chiese.

«Sokolov ha preso in giro i russi, ora sta prendendo in giro i cinesi. E non si scherza con nessuno dei due, specie coi cinesi. Uccidono senza subirne conseguenze, dato che la legge sono loro.»

«Non siamo in Cina.»

«Ma Sokolov sì. Tang lo sta cercando. Immagino che tu lo abbia nascosto, ma è solo questione di tempo. Tang ha decine di migliaia di spie, tutte desiderose di compiacere il primo vicepremier, candidato a diventare il prossimo presidente della Cina. Nello schema complessivo, tu o io non abbiamo importanza, in realtà.»

Lei ne dubitava. «Che cosa fai per lui?»

«Tang mi ha ingaggiato lo scorso autunno. Aveva bisogno di un agente operativo che non fosse cinese, e io ero disponibile. Non intendeva assegnarmi questa particolare missione, finché non ho sentito fare il tuo nome. Quando gli ho spiegato il legame tra noi – coi ritocchi necessari – Tang mi ha mandato qui.»

Lei abbassò la pistola; le sue emozioni correvano su una lama sottile. «Hai idea di quello che mi hai fatto passare?»

«Non avevo scelta. Tang dà gli ordini. Ieri, quando ti ho fatto portare da mangiare, ti ho offerto un’occasione di fuga, ma tu dormivi. Poco fa ti ho mandato il mio compatriota, sperando che stavolta avresti agito.» Indicò la pistola. «E a quanto pare l’hai fatto. Ero qui ad aspettarti.» Accennò al telefono appoggiato sul tavolo. «La chiamata era finta.»

«E cosa ti ha fatto credere che non me ne sarei andata e basta?»

«Perché sei arrabbiata.»

Quell’uomo la conosceva bene. «Hai altri collaboratori in giro?»

«Solo quello nella tua stanza. Gli hai fatto male?»

«Resterà il segno.»

«Cassiopea, Karl Tang vuole quella lampada. Perché non gliela dai e chiudiamo l’incidente?»

«E perdere il bambino? Come hai detto tu stesso, quella lampada è l’unico elemento che possiedo per contrattare. Hai detto di sapere dove lo tengono. Dimmelo.»

«Non è così semplice. Non ci arriveresti neanche vicino. Lasciati aiutare.»

«Io lavoro da sola.»

«Per questo hai messo in mezzo Malone? Sapevo che mentivi, su quello, ma Tang mi ha ordinato di mettermi in contatto con lui.»

«Cos’è successo a Copenhagen?»

«Non ho avuto notizie dei due ingaggiati per il lavoro. Ma, trattandosi di Malone, di sicuro è successo qualcosa di brutto a entrambi.»

Cassiopea doveva chiamare in Danimarca. Ma non da lì. «Dove sono le chiavi della macchina là fuori?»

«Nel cruscotto.» Viktor si alzò. «Lasciami venire con te. Non posso restare. Qualunque cosa io dica, Tang mi riterrà responsabile della tua fuga. Il mio lavoro con lui è finito. Ho buone informazioni sulla sua operazione, potrebbero rivelarsi preziose.»

Lei rifletté sulla proposta. Era sensata, in effetti. Comunque la pensasse su Viktor Tomas, di sicuro era un tipo pieno di risorse. L’anno passato era abilmente riuscito ad arrivare vicinissimo al presidente della Federazione Centroasiatica. Adesso era vicino a Karl Tang, che aveva in mano la chiave per riunire Lev Sokolov e suo figlio. Lei aveva certamente combinato un casino. Doveva recuperare la lampada e poi mediare un accordo. Perché, allora, non avvalersi di una piccola mano dall’uomo che poteva entrare in contatto diretto con Tang?

E che sapeva dove si trovava il figlio di Sokolov.

«D’accordo. Andiamo.» Si fece da parte e permise a Viktor di uscire per primo.

Lui prese il cellulare e se lo mise in tasca. Non appena le passò davanti, diretto alla porta, lei alzò la pistola e gli abbatté il calcio sulla base del collo.

Dalle labbra gli uscì un gemito, mentre alzava una mano.

Cassiopea gli sbatté sulla tempia sinistra il metallo duro della pistola.

Lui roteò gli occhi al cielo e crollò a terra.

«Figurati se credo a quello che dici.»

L'esercito fantasma
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