2

Chongqing, Cina,
ore 20.00



Karl Tang assunse un’espressione che non tradiva minimamente i suoi pensieri. Era diventato maestro in quell’arte, dopo tre decenni di pratica.

«E perché è venuto, stavolta?» gli chiese la dottoressa. Era una donna dal volto ferreo, con corpo rigido e capelli neri dritti tagliati corti.

«Vedo che è ancora arrabbiata con me.»

«No, ministro. Nel corso della sua ultima visita ha lasciato intendere chiaramente che è lei il responsabile, benché questa struttura appartenga a me.»

Lui ignorò il tono sprezzante. «E il nostro paziente come sta?»

Il Primo Ospedale per le Malattie Infettive, situato alla periferia di Chongqing, aveva in cura quasi duemila pazienti affetti da tubercolosi o epatite. Era una delle otto strutture sparse per il Paese, tutti truci fabbricati di mattoni grigi circondati da palizzate verdi, luoghi in cui gli individui contagiosi potevano essere messi facilmente in quarantena. Ma la sicurezza offerta da quegli ospedali li rendeva anche perfetti per ospitare qualunque detenuto malato del sistema penale cinese.

Come Jin Zhao, che dieci mesi addietro aveva avuto un’emorragia cerebrale.

«È nel suo letto, come dal giorno in cui l’hanno portato qui», rispose la dottoressa. «Si tiene aggrappato alla vita. Ha subito danni enormi. Ma – sempre come da suoi ordini – non gli abbiamo prestato nessuna cura.»

Tang sapeva quanto lei odiasse quella situazione. Non era più tempo degli obbedienti «medici scalzi» di Mao che, secondo il mito ufficiale, vivevano per libera scelta tra le masse e curavano scrupolosamente i malati. E, sebbene la dottoressa fosse l’amministratore capo dell’ospedale, Tang era il ministro nazionale della Scienza e Tecnologia, membro del Comitato Centrale, primo vicepremier del Partito Comunista Cinese e primo vicepresidente della Repubblica Popolare Cinese, secondo soltanto al presidente e al premier, quanto a potere. «Come ho precisato l’ultima volta, dottoressa, non si trattava di un mio ordine, ma della direttiva del Comitato Centrale, al quale io, e anche lei, dobbiamo fedeltà assoluta.» Aveva pronunciato quelle parole a beneficio non soltanto di quella stupida donna, ma anche dei tre membri del suo staff e dei due capitani dell’Esercito Popolare di Liberazione in piedi alle sue spalle. Ciascuno dei militari indossava una divisa verde ben stirata con la stella rossa della madrepatria a decorare il berretto. Uno di loro era certamente un informatore – che con ogni probabilità riferiva a più di un benefattore – perciò Tang voleva che ogni relazione su di lui fosse entusiastica. «Ci porti dal paziente», ordinò con calma.

Attraversarono corridoi rivestiti con un intonaco color lattuga incrinato e bitorzoluto, illuminati da fievoli lampade a fluorescenza. Il pavimento era pulito ma ingiallito da infiniti passaggi di straccio. Le infermiere, i volti nascosti da mascherine chirurgiche, si occupavano di pazienti in pigiami a strisce bianche e blu; qualcuno portava una vestaglia marrone e aveva tutta l’aria del detenuto.

Varcarono una porta a vento metallica e si ritrovarono in un altro reparto. Il locale era spazioso, sufficiente per almeno una dozzina di pazienti, ma ce n’era soltanto uno, sdraiato nell’unico letto della stanza, tra lenzuola ingrigite.

Nell’aria aleggiava un tanfo tremendo.

«Vedo che non avete toccato la biancheria del letto.»

«È stato lei a ordinarmelo.»

Altro punto a favore di Tang, che l’informatore avrebbe riferito. Jin Zhao era stato arrestato dieci mesi prima ma, durante l’interrogatorio, aveva avuto un’emorragia cerebrale. In seguito era stato accusato di tradimento e spionaggio, processato in un tribunale di Pechino e incarcerato, tutto in absentia, dal momento che era sempre rimasto lì, in coma.

«È esattamente come lo ha lasciato», disse la dottoressa.

Pechino si trovava quasi mille chilometri a est e probabilmente ciò aumentava l’audacia di quella donna, pensò lui. Si possono privare i Tre Eserciti del loro comandante in capo, ma non si può privare il più umile contadino della sua opinione. Le solite idiozie di Confucio. Il governo, in realtà, poteva farlo, e quella stronza insolente avrebbe fatto meglio a stare ben attenta. Fece un cenno e uno degli uomini in divisa la condusse dall’altra parte della stanza.

Lui si avvicinò al letto.

L’uomo devastato che vi giaceva era tra i sessanta e i settant’anni, capelli sporchi e spettinati, corporatura emaciata e guance scavate, da cadavere. Il volto e il petto erano chiazzati di lividi e da entrambe le braccia serpeggiavano i tubicini delle flebo. Un respiratore automatico gli insufflava ed espelleva l’aria dai polmoni.

«Jin Zhao, sei stato riconosciuto colpevole di tradimento contro la Repubblica Popolare Cinese. Ti è stato offerto un processo, per il quale hai presentato un appello. Sono spiacente d’informarti che la Corte Suprema del Popolo ha approvato la tua esecuzione e respinto l’appello.»

«Non può sentire neanche una parola», disse la dottoressa dall’altra parte della stanza.

Tang teneva gli occhi fissi sul letto. «Può darsi, ma devono essere dette. È la legge, e lui ha diritto a un procedimento corretto.» Si voltò a guardarla.

«Lo avete processato e lui non c’era nemmeno. Non avete mai ascoltato quello che aveva da dire», sbottò lei.

«Al suo rappresentante è stata offerta l’opportunità di presentare prove a discarico.»

La dottoressa, pallida d’odio, scosse la testa disgustata. «Ma si sente? Il rappresentante non ha mai neppure avuto l’opportunità di parlare con Zhao. Quali prove avrebbe potuto presentare?»

Tang non riusciva a capire se gli occhi e le orecchie dell’informatore appartenessero a un membro del suo staff o a uno dei capitani dell’esercito. Era diventato quasi impossibile sapere qualcosa per certo. Sapeva soltanto che lui non sarebbe stato l’unico a riferire al Comitato Centrale, sicché decise di mettere le cose in chiaro. «Ne è sicura? Zhao non ha mai comunicato niente, nemmeno una volta?»

«È stato quasi ammazzato di botte. Ha il cervello distrutto. Non si risveglierà mai dal coma. Lo teniamo in vita soltanto perché l’ha ordinato lei... no, scusi, il Comitato Centrale.»

Lui colse il disgusto negli occhi della dottoressa: un’altra cosa che gli capitava di vedere sempre più spesso, specie da parte delle donne. Il personale dell’ospedale, medici e infermiere, era composto quasi interamente da donne. Avevano fatto parecchia strada dalla Rivoluzione Culturale maoista, ma Tang continuava ad attenersi all’adagio che gli aveva insegnato suo padre: Un uomo non parla di affari dentro casa, e una donna non parla di affari fuori casa.

Quell’insignificante dottoressa, dipendente di un piccolo ospedale statale, era incapace di comprendere l’enormità del compito che gli era stato affidato. Pechino governava un territorio che si estendeva per cinquemila chilometri da est a ovest e per oltre tremila da nord a sud. In gran parte erano montagne inabitabili e deserto – una tra le regioni più desolate del mondo – e soltanto il dieci per cento del Paese era coltivabile. Contava quasi un miliardo e mezzo di persone, più di America, Russia ed Europa messe insieme, ma soltanto sessanta milioni facevano parte del Partito Comunista Cinese: meno del tre per cento del totale. La dottoressa era membro del Partito da oltre un decennio. Lui aveva controllato. In caso contrario, la donna non avrebbe mai potuto raggiungere una posizione dirigenziale tanto alta: soltanto i cinesi Han membri del Partito ottenevano uno status del genere. La larga maggioranza della popolazione era Han, la piccola percentuale rimanente si divideva in cinquantasei minoranze. Il padre della dottoressa era un importante funzionario del governo provinciale locale, fedele membro del Partito che aveva partecipato alla Rivoluzione nel 1949 e aveva conosciuto personalmente Mao e Deng Xiaoping.

Tuttavia occorreva che Tang parlasse chiaro: «Jin Zhao doveva lealtà al governo del Popolo. Ha deciso di aiutare i nostri nemici...»

«Che male poteva fare al governo del Popolo un geochimico sessantatreenne? Me lo dica, ministro. Vorrei saperlo. Che cosa avrebbe mai potuto farci?»

Lui guardò l’orologio. Un elicottero lo aspettava per portarlo a nord.

«Non era una spia e non era un traditore. Che cosa faceva in realtà, ministro? Come si giustifica riempire di botte un uomo tanto da fargli sanguinare il cervello?» domandò ancora lei.

Tang non aveva tempo di discutere quanto era già stato stabilito. L’informatore avrebbe deciso la sorte di quella donna. Entro un mese avrebbe ricevuto un ordine di trasferimento – nonostante i privilegi del padre – e molto probabilmente l’avrebbero spedita qualche migliaio di chilometri a ovest, all’estrema periferia del Paese, dove si seppellivano i problemi.

Si voltò verso l’altro uomo in divisa e gli rivolse un cenno.

Il capitano estrasse l’arma dalla fondina, si avvicinò al letto e sparò un colpo in fronte a Jin Zhao.

Il corpo ebbe un sussulto, poi restò immobile.

Il respiratore continuava a insufflare aria nei polmoni morti.

«La sentenza è stata eseguita. Alla debita presenza di rappresentanti del governo del Popolo, delle forze armate... e dell’amministratore capo di questa struttura.» Tang fece segno che era ora di andare. A pulire il macello avrebbe pensato la dottoressa.

Si avviò verso la porta.

«Ha appena sparato a un uomo indifeso. A questo si è ridotto il nostro governo?» urlò la dottoressa.

«Dovrebbe essere grata», replicò lui.

«Di che cosa?»

«Che il governo non detragga il costo del proiettile al budget di gestione dell’ospedale.» E se ne andò.

L'esercito fantasma
e9788842919261-cov01.html
e9788842919261-fm01.html
e9788842919261-tp01.html
e9788842919261-ded01.html
e9788842919261-fm04.html
e9788842919261-cart01.html
e9788842919261-fm05.html
e9788842919261-p-1-c-1.html
e9788842919261-p-2-c-3.html
e9788842919261-p-2-c-4.html
e9788842919261-p-2-c-5.html
e9788842919261-p-2-c-6.html
e9788842919261-p-2-c-7.html
e9788842919261-p-2-c-8.html
e9788842919261-p-2-c-9.html
e9788842919261-p-2-c-10.html
e9788842919261-p-2-c-11.html
e9788842919261-p-2-c-12.html
e9788842919261-p-2-c-13.html
e9788842919261-p-2-c-14.html
e9788842919261-p-2-c-15.html
e9788842919261-p-2-c-16.html
e9788842919261-p-2-c-17.html
e9788842919261-p-2-c-18.html
e9788842919261-p-2-c-19.html
e9788842919261-p-2-c-20.html
e9788842919261-p-3-c-21.html
e9788842919261-p-3-c-22.html
e9788842919261-p-3-c-23.html
e9788842919261-p-3-c-24.html
e9788842919261-p-3-c-25.html
e9788842919261-p-3-c-26.html
e9788842919261-p-3-c-27.html
e9788842919261-p-3-c-28.html
e9788842919261-p-3-c-29.html
e9788842919261-p-3-c-30.html
e9788842919261-p-3-c-31.html
e9788842919261-p-3-c-32.html
e9788842919261-p-3-c-33.html
e9788842919261-p-3-c-34.html
e9788842919261-p-3-c-35.html
e9788842919261-p-3-c-36.html
e9788842919261-p-3-c-37.html
e9788842919261-p-3-c-38.html
e9788842919261-p-3-c-39.html
e9788842919261-p-3-c-40.html
e9788842919261-p-3-c-41.html
e9788842919261-p-3-c-42.html
e9788842919261-p-3-c-43.html
e9788842919261-p-3-c-44.html
e9788842919261-p-4-c-45.html
e9788842919261-p-4-c-46.html
e9788842919261-p-4-c-47.html
e9788842919261-p-4-c-48.html
e9788842919261-p-4-c-49.html
e9788842919261-p-4-c-50.html
e9788842919261-p-4-c-51.html
e9788842919261-p-4-c-52.html
e9788842919261-p-4-c-53.html
e9788842919261-p-4-c-54.html
e9788842919261-p-4-c-55.html
e9788842919261-p-4-c-56.html
e9788842919261-p-4-c-57.html
e9788842919261-p-4-c-58.html
e9788842919261-p-4-c-59.html
e9788842919261-p-4-c-60.html
e9788842919261-p-4-c-61.html
e9788842919261-p-4-c-62.html
e9788842919261-p-4-c-63.html
e9788842919261-p-4-c-64.html
e9788842919261-p-4-c-65.html
e9788842919261-p-5-c-66.html
e9788842919261-p-5-c-67.html
e9788842919261-p-5-c-68.html
e9788842919261-p-5-c-69.html
e9788842919261-p-5-c-70.html
e9788842919261-p-5-c-71.html
e9788842919261-p-5-c-72.html
e9788842919261-p-5-c-73.html
e9788842919261-p-5-c-74.html
e9788842919261-p-5-c-75.html
e9788842919261-p-5-c-76.html
e9788842919261-p-5-c-77.html
e9788842919261-p-5-c-78.html
e9788842919261-p-5-c-79.html
e9788842919261-p-5-c-80.html
e9788842919261-p-5-c-81.html
e9788842919261-p-5-c-82.html
e9788842919261-p-5-c-83.html
e9788842919261-p-5-c-84.html
e9788842919261-p-5-c-85.html
e9788842919261-p-5-c-86.html
e9788842919261-p-5-c-87.html
e9788842919261-p-5-c-88.html
e9788842919261-p-6-c-89.html
e9788842919261-p-7-c-91.html
testonote.html