Questa è la signorina Ona Vitkus. E questi sono i ricordi e i frammenti della sua vita su nastro. Parte settima.
…
Stavamo parlando di Louise. E delle orrende calunnie sul suo conto. Me la vidi comparire per la prima volta sulla soglia di casa poco dopo quegli avvenimenti.
…
Credo fosse ottobre. Non poteva essere già inverno. Eppure ricordo il suo arrivo come un evento invernale, le sue guance infuocate dal freddo. Ho la vaga percezione di una sera di gennaio, adesso; l’aria crepitava come in pieno inverno. Sai quella sensazione, come se fosse sul punto di spezzarsi?
…
Be’. A quell’epoca il clima era diverso. Avevo appena preparato una delle mie cene preferite, e a un tratto mi ritrovai Louise Grady sulla porta.
…
Pasticcio di carne con contorno di cavolo fritto. Il segreto è il carvi, se mai ti saltasse il ghiribizzo di provare.
…
È un seme. Può darsi che avessi in mente mia madre. Era morta quell’estate, e papà se n’era andato molto prima di lei. Ma fino all’estate del 1955 la mamma viveva in Wald Street; novantun anni e ancora badava alle sue pastinache. Morì sul colpo lì nell’orto, in una calda giornata di luglio, un modo di andarsene che già all’epoca mi colpì per la sua placidità.
…
Tutti quei vegetali avranno attutito il colpo, non credi? Un’elegante fila di carote che gridano: «Non avere paura! Qui sotto c’è un profumo meraviglioso!»
….
Lo so. Buffo, no? Dunque, a ottobre comparvero Louise e le sue guance rosso fuoco. La invitai a cena: non avrei potuto fare altrimenti, visto che se ne stava lì in piedi con le intenzioni ben chiare.
…
«Oh, la ringrazio tanto, signorina Vitkus.» Disse proprio così, come se il mio invito fosse un grosso regalo inaspettato.
…
Ah, se mangiava, quella Louise! All’epoca la rotondità significava bellezza. A quei tempi non se ne vedevano di questi manici di scopa mezzi morti di fame che sculettano in mutande e reggiseno. Louise indossava quel tailleur viola.
…
Cielo, no. Non ero tipo da tailleur, io. Avevo l’armadio pieno di chemisier. «Che cosa l’ha spinta a uscire in una serata tanto fredda, signorina Grady?» Le feci quella domanda dopo che si era ingozzata di pasticcio di carne.
…
Al che lei rispose: «Signorina Vitkus, mi trovo nella necessità di avere un’alleata». Del perché le servisse un’alleata non avevo idea. Il ragazzino che aveva sparso quelle voci calunniose – un ragazzino che aveva vinto una borsa di studio, purtroppo, e proveniva da una famiglia di River Street, gente che lavorava nel conservificio – era stato espulso.
…
Perché Louise aveva affrontato il giovanotto proprio in presenza dei suoi genitori e, quando aveva finito di parlare, la signora Hawkins era scoppiata a piangere scusandosi profusamente. Anche i ragazzi: tutti e due in lacrime.
…
Era acqua passata, sì, ma Louise non voleva correre rischi. Come me, neanche lei aveva un uomo che le pagava le bollette. «Che cosa ne direbbe di tornare a scuola, signorina Vitkus?» mi propose.
…
«Non vado più a scuola da quando avevo quattordici anni, signorina Grady», le risposi io. Affrettandomi ad aggiungere, nel caso mi giudicasse un’ignorante, che avevo avuto un’istitutrice eccezionale.
…
Esatto! Maud-Lucy Stokes, che mi aveva dato un’istruzione da contessa.
…
Al che lei mi fa: «Dunque sarà ben lieta di poter riprendere i suoi studi, signorina Vitkus», e mi invita a partecipare al suo seminario avanzato di letteratura. Ogni lunedì pomeriggio avrei lasciato la mia postazione dall’una alle tre, e a quanto pareva il dottor Valentine era d’accordo. Tu non hai idea di quale proposta eversiva fosse nel lontano 1955.
Ti ha mai detto nessuno che?…
…
Il tuo viso. Non c’è un solo osso che esprima giudizi.
…
Non c’è di che. E così le rispondo: «Sarei onorata di prendere parte al suo seminario, signorina Grady». E lei mi dice: «Diamoci pure del tu».
…
Certo che lo feci. Poi rovistai nelle credenze di casa e trovai una bottiglia di sherry lasciata lì dal precedente affittuario. Non avevo i bicchieri giusti, ma brindammo comunque.
…
«Cin cin», immagino. Non ricordo esattamente. Ricordo però che, quando facemmo tintinnare quei bicchieri inadatti, io avrei tanto voluto avere i bicchieri giusti, e ancor oggi considero quel momento – quel tin! – come l’inizio della nostra amicizia. E sono felice che a quell’immagine sia associato un suono.
…
Altroché! Ci scolammo metà bottiglia e, dal momento che non avevo l’abitudine di bere, credo di aver nominato il dottor Valentine più di una volta.
…
Oh, lo adoravo. Era un uomo così… fine. Ma Louise si mise in testa un’idea.
…
Mentre usciva dal mio appartamento, si voltò e mi chiese: «Ona Vitkus, da quanto tempo sei innamorata?» E mi cinse con le braccia. Profumava di violette anche in quella gelida aria notturna. «È il tuo valentino», continuò. «Ma Ona cara, il sentimento è reciproco?»
…
…
Scusami. Per un attimo mi sono dimenticata di te. Hai questa capacità di scomparire. Sai che cosa significa non corrisposto?
…
N-o-n c-o-r-r-i… Non importa. È un’espressione che non ti servirà, bello come sei.
…
Oh, lui lasciamolo perdere. Quel pover’uomo passò il resto del semestre a scalpicciare intorno a Louise, arrivando persino a farle apportare delle modifiche ai moduli finali del seminario. Usava proprio questa parola, il dottor Valentine: moduli. Secondo me è stato lui a inventarla, anche se quando fummo nei pieni anni Sessanta ormai la usavano tutti quanti.
…
L’idea era quella di incasellare il tempo così da sfruttare al meglio le menti irrequiete dei giovani. All’epoca era un’idea rivoluzionaria ma, sai com’è, il dottor Valentine non era un sovversivo. Era solo un uomo con un lavoro che non gli si addiceva, un tipo che amava il tè con i muffin al mattino. In tutta sincerità, era soltanto una versione più intelligente, garbata, colta, attraente e affascinante di Howard.
…
Già, e così Louise si stava preparando per l’ultimo modulo del seminario avanzato di letteratura, che avrebbe dovuto istruire a dovere i ragazzi su Nathaniel Hawthorne, Walt Whitman e Henry Wadsworth Longfellow.
…
Degli irriducibili fanfaroni del diciannovesimo secolo. Ma Louise ci infilò anche qualche scrittrice dalla scandalosa vita privata.
…
«Questi ragazzi hanno bisogno di immergersi più a fondo nelle corroboranti acque della letteratura», sosteneva. E secondo me diceva una gran verità, non che nessuno me l’avesse mai chiesto.
…
Oh, i ragazzi impazzirono. Trovavano difficile resistere al concetto di ribellione femminile. Tanto più che, a quel punto, avevano tutti una mezza cotta per Louise.
…
Perché lei li ascoltava. Proprio come stai facendo tu adesso. La povera Louise dovette sudarselo, ogni singolo libro del suo elenco. Lo prese come un dovere personale, il fatto di forgiare futuri mariti con cui le future mogli avrebbero sopportato di conversare davanti a un caffè e a dei pasticcini senza conficcarsi nel petto un coltello per il burro.
…
Perché lei stessa aveva divorziato da due uomini imperfetti. Senza mettere al mondo figli, cosa che le aveva lasciato un eccesso d’istinto materno. Le vere madri di quei ragazzi non erano state all’altezza del compito, ecco come la vedeva Louise.
…
Sono convinta che avessero fatto del proprio meglio.
…
Sì, ne sono convita, la penso proprio come te, ma per Louise non era neanche lontanamente sufficiente. E, di conseguenza, sua era la responsabilità non solo di illuminare i futuri mariti del mondo, ma anche di evitare che sposassero delle smorfiose sempliciotte.
…
Costringendo i ragazzi a leggere cose come Il bebè di Désirée, una storia scioccante scritta da un’autrice che si chiama Kate Chopin. Un’attivista, ecco cos’era Louise. Sua madre era una vecchia suffragetta di Philadelphia.
…
…
Scusami, mi sono dimenticata di nuovo di te. Sai com’è, si incontrano tante di quelle persone nella vita, gli anni passano, uno dopo l’altro, ma ci sono certi periodi, certe persone che…
…
Occupano un sacco di spazio. Tanto di quello spazio. Sono stata sposata ventotto anni con Howard, eppure quell’uomo ha lasciato solo un segnetto insignificante nella mia memoria. Una piccola tacca. Altre persone, invece, arrivano con armi e bagagli, piantano le tende e cominciano a sbattere le ali nella storia della tua vita. Due ali enormi.
…
Direi di sì, certo. Direi che anche tu hai due ali enormi.
…
Non c’è di che. Dunque, Louise arrivò con tutti quei libri per ottenere l’approvazione del dottor Valentine. Ma era una furba, quella Louise. E noi ci ritrovammo pile su pile di libri, grosse e traballanti montagne di libri. C’erano sei sedie disposte lungo la parete fuori dell’ufficio del dottor Valentine, ed era proprio lì che Louise depositava i suoi libri, su quelle sedie dallo schienale diritto dove i ragazzi erano costretti ad aspettare, sudando freddo per aver commesso qualche assurda infrazione.
…
Una pila per ogni sedia. Non si era mai visto niente di tanto comico, tutti quei libri a formare delle torri ordinate, ognuna alta quanto un ragazzino. Ti veniva voglia di metterci un cappello sopra.
…
Proprio il contrario. Ah, Louise presentò i suoi libri con l’innocenza di un bastoncino di zucchero. Indossava quella gonna rossa e svolazzante e una camicia bianchissima con le maniche ad aletta. Ai piedi portava scarpe abbinate: rosse, con un sottile profilo bianco. Sono anni che non penso a quelle scarpe: praticamente erano scarpe parlanti.
«Avevo in mente questi», esordì di fronte al dottor Valentine, «e questi, e poi questi e questi altri. Con il suo benestare, naturalmente.»
Ora, il dottor Valentine era a suo modo un uomo attraente, ma anche un tantino goffo. Dinoccolato. Sporse il busto verso una delle pile, arraffò un libro, si sporse su un’altra pila… come uno di quegli uccelli con il collo lungo che becchettano i girini negli stagni ai bordi delle strade.
…
Non era poi tanto buffo.
…
Perché il dottor Valentine aveva una certa eleganza. E così, di fronte a quelle sei sedie ingombre di libri, si ritrovò del tutto spiazzato. In più, in cima a ciascuna pila Louise aveva poggiato delle letture così spiccatamente oltraggiose che, in confronto, le opere che aveva scelto davvero emanavano un’aura di castità.
…
Romanzetti in edizione economica. Qualche barbosaggine comunista. La biografia di una signora della notte del Seicento. Insomma, alcuni dei volumi che aveva selezionato passarono del tutto inosservati.
…
È raro che ti sfugga qualcosa, eh? Era proprio come assistere a un gioco di prestigio… un trucchetto da imbonitori, dove al bersaglio del gioco si mostra una gazza parlante, per poi sfilargli di tasca il portafogli mentre quello le insegna a dire «Cincinnati».
…
Hai ragione! Oggi qualsiasi cosa mi fa venire in mente gli uccelli. Guarda la finestra. Prima è venuto a trovarmi un migliarino di palude. Potresti raggiungere il numero quindici. Nel giro di un paio di settimane sarai a venti e oltre.
…
Non posso escludere che arriverai a trenta. Potresti anche riuscirci.
…
Be’, gli ci vollero due settimane, al povero dottor Valentine, per spulciare fra tutte quelle pile di volumi. Si lasciò sfuggire Il bebè di Désirée e qualche altro bel titolo, ma gli capitò fra le mani La signora Dalloway di Virginia Woolf, che non era nemmeno americana. Quel romanzo se lo portò a casa e lo fece leggere alla moglie.
…
Parla di una signora che esce a comprare dei fiori per una festa. Cosa che non era tenuta a fare.
…
Perché aveva un sacco di soldi. Avrebbe potuto mandarci qualcun altro. O farseli recapitare direttamente a casa.
…
Ma guarda, mi è appena tornato in mente il nome della moglie del dottor Valentine. Sadie. Anche lei era un’organizzatrice di feste.
…
Non sono mai stata invitata. Ma Louise, oh, lei non se ne perdeva una. Sadie Valentine si dimostrò una lettrice meticolosa, perché per trovare la scena della Signora Dalloway in cui due donne si baciano dovette leggere un bel po’ di pagine.
…
No, la festa c’è alla fine. Tutta la vicenda si svolge in una sola giornata; Louise fece un gran parlare di quel romanzo. La signora che dà questa festa vive l’intera sua vita sbagliata, più l’altra, quella che avrebbe potuto avere, in quell’unica giornata.
…
Oh, no, Louise ce lo insegnò lo stesso. E non credo che il dottor Valentine lo abbia mai scoperto. Non è un libro lungo. Non è esattamente il mio genere, ma Louise era un’insegnante meravigliosa. Non studiavo con tanto ardore da quand’ero bambina.
…
Infatti! È stato meraviglioso! La verità è che le persone sono sostituibili.
…
È così. Se vivi a lungo, te ne accorgi. Ci sono voluti più di trentacinque anni per colmare il vuoto lasciato da Maud-Lucy, ma alla fine quel vuoto si è colmato, con Louise, un’altra donna eccezionale disposta ad accollarsi il fardello della mia istruzione.
…
Non sono brava con i riassunti. Dovendo sintetizzare quel romanzo in un’unica frase, ci sarebbe da dire che racconta una solitudine inimmaginabile. Ops, ecco il tuo migliarino di palude. E fanno quindici.