8
IL ragazzino aveva deciso di non correre rischi. Il sesto sabato si presentò con un elenco delle attività più statisticamente pericolose, dalla morte per immersione subacquea in grotta (dopo aver perso la via d’uscita; aver esaurito l’aria; essere finiti in pasto a una creatura marina) alla morte causata da una porta (per averci sbattuto contro; essere bruciati vivi mentre si cercavano le chiavi per aprirla; aver scoperto che qualcuno aveva rimosso le scale dall’altra parte). L’elenco raccoglieva cinquantadue voci.
«Legga questo, non si sa mai», consigliò a Ona. «Non vorrà mica arrivare a centoventidue anni e centosessantaquattro giorni per poi morire accidentalmente dopo essersi…» e consultò di nuovo l’elenco, «mozzata un dito mentre affettava un bagel?»
«Non vorrei fare quella fine a nessuna età», replicò lei.
Dopo che ebbero letto attentamente l’Elenco dei decessi e delle amputazioni, il ragazzino fornì del materiale aggiuntivo: una serie di esercizi ginnici per anziani da eseguire a casa, un censimento aggiornato degli ultracentenari (nel frattempo la signora giapponese era morta, seguita dal suo insidioso contendente dell’isola di Guam) e ancora dieci profili biografici di ultracentenari che si era procurato chissà dove. Ona immaginò l’Internet di cui parlava il ragazzino come un cubo magico crepitante di notizie.
«Guarda un po’ qui», esclamò. «Questa Hartley legge ancora senza occhiali.» E aguzzò la vista dietro i propri, mentre scartabellava i fogli. Alcuni vegliardi erano mezzi ciechi, sordi o rincitrulliti – e quelli li sorvolava con un brivido –, ma per lo più stavano benone. «Questo Wong si falcia il prato da solo. Potrebbe darmi del filo da torcere.»
«E se pensiamo a un record che le consenta di restare in gara finché non diventa più vecchia?»
«Nel caso non campi abbastanza, vuoi dire?»
Il ragazzino sgranò gli occhi. «No! Non intendevo questo!»
E lei gli credette.
«Il paracadutista più anziano c’è già. Come anche il pilota più anziano. E pure la soubrette più anziana.» Aggrottò la fronte e continuò: «Ma questi primatisti sono parecchio più giovani di lei. Può interessarla battere un record già stabilito?»
«Non senza un trapianto di ossa.»
Lui spuntò un’intera lista di possibilità, una più assurda dell’altra, tipo camminare sulle ali di un aereo in volo o saltellare con un trampolo a molla, finché Ona non riuscì a pensare a nessun altro record plausibile da stabilire se non quello di «donna più anziana a essere rimasta seduta a far niente per un tempo rivelatosi pari a diciassette anni dopo la morte di Louise».
«È già invecchiata di trentasei giorni, da quando la conosco», dichiarò il ragazzino mentre preparava il registratore.
«Ben detto.»
Lui scrutò fuori della finestra. «Questi li sente?»
«No», si rammaricò lei. Li vedeva – dei cardellini che battibeccavano –, ma la loro musica sfuggiva alle sue orecchie.
Dal viso del ragazzino trasparì tutta la sua compassione. «Mi servono altri sei uccelli per il distintivo», la informò.
«La primavera è alle porte. Aspetta e vedrai.» Gli sorrise, inebriata da un affetto improvviso. Solo il fatto che fosse così giovane bastava a farglielo amare, quel ragazzino.
«È sua quella macchina là fuori?» le domandò lui.
«Certo che è mia.» La vecchia Reliant di Randall. «Di chi altri dovrebbe essere?»
Il ragazzino la inchiodò con lo sguardo. Aveva in mente qualcosa.
«Funziona?»
«Eccome, le faccio fare revisione e tagliando una volta l’anno. In officina la porta un Cavaliere di Colombo, perché l’ultima volta che ho tentato di rinnovare la patente non ci sono riuscita, e la faccia tosta di presentarmi a fare la revisione con la patente scaduta nel portafogli non ce l’ho davvero.»
«Ah, mannaggia.»
«Non è questa la parola che ho usato.»
«Mi ero fatto l’idea che sapesse guidare. Guidare un’automobile.»
«Non ho detto che non so guidare. Ho detto che non ho la patente», rispose lei protendendosi in avanti. «Per via della mia età sono stata costretta a sostenere l’esame di guida e il giovane esaminatore mi ha bocciato.»
«Magari si è sbagliato.»
«Alle signore della chiesa ho detto che mi avevano promosso», ammise, sperando che lui non la biasimasse. «Ho raccontato una frottola.»
«Anch’io», confessò lui. «Ho detto a mio padre che mi piace la musica, e invece non è vero. Ci sono troppe corde, è difficile tenere le dita nella posizione giusta.»
«Senti qua.» Ona si rizzò di nuovo a sedere e intonò qualche battuta di Beautiful Dreamer.
«Più che ottimo, signorina Vitkus.»
«Allora vedi che la musica ti piace? È l’insegnamento della musica che non fa per te, e non posso certo biasimarti.» E con il palmo gli tamburellò le mani sottili e diafane. «Comunque, una volta la settimana guido la mia auto per quasi due chilometri e mezzo, fino al supermercato e ritorno, sempre lo stesso identico tragitto.»
«Non ci vedo niente di rischioso.»
«Vallo a dire a quella ficcanaso che sta in fondo alla strada. Lo sai cos’è un agente immobiliare?»
«Un agente immobiliare è una persona che vende le case.»
«Be’, questa invece è una persona che le frega, le case. C’è la sua faccia sui cartelli con la scritta VENDESI sparsi in tutta la città. Blazer color lime e cesta di capelli rossi. Muore dalla voglia di levarmi la casa da sotto questi miei vecchi piedi scricchiolanti per rivendersela, e spia tutte le mie mosse come un gatto che fa la posta a un topo.»
«È una con la faccia rosa bambola?»
«Proprio lei.»
«Non deve permetterle di levarle la casa da sotto i suoi vecchi piedi scricchiolanti.»
«Non temere.»
Come al solito, il colore degli occhi del ragazzino virò dal grigio al grigioazzurro, una delle prime stranezze che aveva notato in lui. «Il signor Fred Hale, degli Stati Uniti d’America, di anni centootto, detiene il record di automobilista patentato più anziano del mondo.»
«Aspetta un po’. Fred Hale non è uno dei miei principali avversari? Di anni centotredici, se non ricordo male.»
«Il signor Fred Hale, di anni centotredici, detiene il record di uomo più longevo vivente, ma detiene anche quello di automobilista patentato più anziano. Però quest’ultimo primato risale a quando aveva centootto anni, non centotredici.»
«Qualcuno gliel’avrà soffiato nel momento stesso in cui ha superato l’esame di guida.»
«Non ci avevo mai pensato.»
«Magari è stato un record onorifico. Magari non ha mai avuto intenzione di usare davvero la patente appena rinnovata.»
«Non avevo pensato nemmeno a questo.»
«Be’, io non voglio una patente onorifica. In realtà, non chiederei di meglio che riavere indietro la mia regolare licenza di guida. Almeno potrei sfrecciare come un razzo davanti alla signora Facciarosa Vendotutto senza che lei possa dirmi un bel niente.»
Il ragazzino si alzò. «Può riprendere la patente dopo che le è stata ritirata?»
«Dovrei passare un test scritto, ma ci riuscirebbe anche una scimmietta. Poi dovrei fare la visita oculistica. E da lontano ci vedo benone. È l’esame di pratica che mi manda in confusione.»
Lui portò le mani alla testa. «Signorina Vitkus, se lei passa il test scritto, poi passa la visita oculistica e poi l’esame di pratica…»
«Calma, calma. Dovrò esercitarmi. È vero che finora ho sempre guidato (e questo è un segreto) ma non certo con l’intento di passare un esame. Dovrò dare una rispolverata generale.»
«Le serve un libro.»
«Che genere di libro?»
«Di quelli che insegnano a guidare», rispose lui. «A quel punto potrà riavere la sua patente, e poi tra quattro anni e un giorno in più rispetto all’età da record del signor Fred Hale, diventerà anche lei detentrice di un record ufficiale del Guinness dei primati.»
«Ma fra quattro anni dovrò rinnovarla di nuovo, la patente. Bisogna farlo ogni quattro…»
«E lei lo farà, giusto? Andrà dove si prende la patente e chiederà di sostenere un altro esame di guida, così potrà rinnovare la sua licenza per altri quattro anni, giusto?»
«Ma avrò centootto anni, perdindirindina! E tu ne avrai quindici, oltretutto. Sarai passato ad altri interessi.»
«Oh, no», ribatté lui. «Ogni primatista mondiale ha la sua squadra di sostenitori.» Fece una pausa. «E la sua squadra di sostenitori sono io.» Altra pausa. «Ce la può fare.»
«Automobilista patentata più anziana del mondo. Di anni centootto. Te lo immagini?»
«E resterà comunque in corsa per il titolo di persona più longeva della storia. Il record di tutti i tempi. Non se lo dimentichi.»
«Stai certo che terrò bene a mente l’obiettivo finale», lo rassicurò. «Intanto però ci siamo trovati un ottimo record temporaneo a cui puntare.»
«Alla fine potrebbe assicurarsi ben due primati!» rispose lui, agguantandosi i capelli con entrambe le mani. «Due volte nel Guinness! Due volte immortale!» E Ona si trovò di nuovo con quel bizzarro e adorabile ragazzino davanti che saltellava di gioia. Proprio lì, nella sua cucina. Dove la gioia non aveva più dimorato dalla morte di Louise. Gioia pura nelle sembianze di quel ragazzino che con le sue sole forze avrebbe potuto persuaderla a vivere altri due decenni.
«Chiamiamo subito la Motorizzazione. Passami l’elenco telefonico.»
Al che lui sfoderò un ampio sorriso. Ona adorava quei suoi dentini corti corti.
E fu così che, il sabato successivo, si ritrovò a guidare la Reliant oltre il supermercato e ritorno, a fianco di un istruttore undicenne. A casa aveva dovuto convincerlo a non sbrigare le faccende. Si sentiva un’idiota, ma quel ragazzino era un buon istruttore. Calmo e metodico.
«Quanti secondi servono a una macchina per frenare quando la strada è bagnata?» le domandò mentre lei si immetteva con prudenza nel modesto flusso di traffico del fine settimana di Brighton Avenue. Le stava rivolgendo i quiz di un libriccino autorizzato dalla Motorizzazione.
«Che differenza fa? Io non guido mai sotto la pioggia.» Ma rallentò meccanicamente, perché in effetti era vicinissima all’auto davanti.
«Nel vero test potrebbe capitarle proprio questa domanda.»
«E va bene», rispose lei lanciandogli un’occhiata. «Cinque secondi?»
«Mi dispiace, non è la risposta esatta. La risposta esatta è da tre a quattro secondi.»
«Fammi un’altra domanda.»
«In città, il conducente quanti isolati dovrebbe riuscire a coprire con lo sguardo? Uno, due o tre?»
Si era di nuovo avvicinata troppo all’auto davanti, e in quel momento si rese conto che le domande del ragazzino servivano a indirizzarla nella guida. La stava preparando contemporaneamente per il test scritto e per l’esame di pratica.
«I tuoi insegnanti te lo dicono che sei in gamba?»
«Il maestro Linkman mi dice di non contare le cose.» Era ancora concentrato sul manuale, non voleva che eludesse la domanda. «Ho avuto il maestro Linkman anche in quarta elementare, e anche allora mi diceva di non contare le cose.»
«Due?» azzardò Ona. «Due isolati?»
«Mi dispiace», rispose lui, «ma anche questa risposta non è corretta. La risposta esatta è un isolato.»
«Perdindirindina», borbottò Ona. «C’è mica un record per il più anziano automobilista non patentato?»
«No, i criminali vengono scoraggiati.»
«È forse un crimine che una vecchia signora vada in macchina da sola al supermercato?»
«Bisogna avere la patente. Ecco perché hanno ideato i test simulati, che offrono la possibilità di migliorarsi.» E girò pagina. «Questo è il test simulato numero uno. In tutto ce ne sono sei.» Dopodiché alzò di nuovo lo sguardo. «Si ricordi di mettere la freccia in tempo per…»
«Lo so», rispose lei, svoltando in una strada deserta del quartiere. «Ma come si fa a pensare che uno passi questo stupido test? È pieno di informazioni inutili.»
«Aveva detto che l’avrebbe passato anche una scimmietta», le ricordò lui. «Era l’esame di pratica a preoccuparla.»
Ona accostò. «Ho il cervello in pappa, è più difficile di quanto pensassi», si giustificò.
«Ma aveva detto che questa era la parte facile. E la visita oculistica, allora? Anche quella sarà più difficile di quanto pensasse?»
«Oh, non farti prendere dall’ansia, ora.»
Il ragazzino si guardò intorno. «Quando si parcheggia l’auto vicino al marciapiedi…»
«Questa la so!» esclamò lei. «Si deve parcheggiare il più vicino possibile al cordolo, e comunque a non oltre quarantacinque centimetri di distanza.»
«Esatto!» esultò lui. «È la risposta esatta!»
«Fammene un’altra.»
«Quando si parcheggia nelle vicinanze di un idrante…»
«Tre metri!»
«Esatta anche questa!»
«Non esserne così sorpreso.» Ona ingranò di nuovo la marcia. «Bene, ora che il mio cervello ha ripreso a funzionare, torniamo verso casa, potrai farmi altre domande durante il tragitto.»
«Signorina Vitkus?»
«Aspetta, mi sto concentrando.»
Dopo che si fu reimmessa in Brighton Avenue, il ragazzino riprese a parlare: «Un lavoro più che ottimo, signorina Vitkus, ma potrebbe essere necessario che lei studi un po’ di più».
«Sì, lo so», replicò lei sospirando. «Perché siamo in missione, noi due.»
«Risposta esatta!» esclamò lui. Ona lo guardò e si accorse che stava sorridendo. Aveva fatto una battuta, e pure divertente.
Una volta a casa, lui volle terminare le faccende a tutti i costi – già l’idea che non avrebbe seguito l’ordine stabilito rischiava di mandarlo in crisi –, così la donna chiamò il capo scout per chiedergli di passare a prenderlo più tardi. Poi gli preparò il piatto con i biscotti, versò un po’ di latte e nell’attesa si mise a sfogliare il manuale di preparazione al test. Avrebbe studiato di più, non voleva deluderlo.
«Vieni a sederti», gli disse quando entrò finalmente in casa, e per la prima volta da quando si erano conosciuti si sentì ansiosa di iniziare la sessione di registrazione.
«Questa è la signorina Ona Vitkus», attaccò lui. Erano arrivati alla quinta parte. E lei sapeva bene quante il ragazzino avesse in mente di registrarne.
Lui esordì porgendole una domanda scritta di suo pugno con una calligrafia perfetta. Quelle sue domande scritte a mano, prodotto di una silenziosa perspicacia, aprivano invariabilmente degli sbarramenti, lasciando Ona in balia di un fiume di ricordi. La vera sorpresa era quanto poco le importasse. Lui spegneva il registratore quando lei glielo chiedeva, o quando raggiungeva una tappa che soddisfacesse la sua logica contorta, o quando il capo scout suonava il campanello.
Solo in quei momenti, al silenziarsi del nastro che li divideva, la donna si accorgeva di quanto lontano fosse stata disposta a spingersi, lei che in vita sua non era mai andata da nessuna parte.
I sabati successivi, Ona e il ragazzino instaurarono una piacevole routine che includeva faccende, racconti e lezioni di guida. Si dedicavano anche all’elenco dei rivali, che era in continuo aggiornamento e, simile a una versione gerontologica del gioco delle sedie musicali, li divertiva più delle carte.
«La signora Difilippo è morta», le annunciò lui.
«Sì, ho visto», rispose lei. Aveva fatto il tifo per quella donna, di anni centoundici, perché aveva divorziato da tre mariti e viveva ancora da sola.
«Quali sono i due tipi più comuni di svincolo stradale a livelli sfalsati?» le chiese. Aveva cominciato a farle domande a sorpresa, a quanto pareva una specialità del maestro Linkman.
«A rombo e a quadrifoglio.»
«Risposta esatta. E quando è consentito sorpassare un veicolo servendosi della corsia d’emergenza?»
«Domanda trabocchetto. Mai.»
Il ragazzino sfoderò un bel sorriso.
«Proprio così. Ho studiato, sai.»
Vedere i suoi rivali cadere – non come mosche, ma come petali, vividi e delicati – la addolorava, ma al contempo le procurava una lieve eccitazione di fronte a quel suo accumularsi di giorni. Quei nomi sembravano usciti dalla lista di passeggeri di una nave, un elenco di rifugiati in fuga da una guerra che nessuno sapeva stesse infuriando finché non si ritrovava a esserne l’ultimo superstite. Rosalie, Vittorio, Yasu, Clementine. Li considerava membri della propria famiglia, a lei noti e misteriosi quanto il ragazzino che glieli aveva fatti conoscere.