2

QUINN lasciò la casa della signorina Vitkus con cinque dollari in meno e senza magia. Percorse in autobus l’intero tragitto fino a North Deering, il quartiere di Belle, e lì la trovò intenta a rastrellare un’aiuola di tulipani dietro una staccionata da cartolina, con tutti quei graziosi paletti. A dispetto dei cinque anni e mezzo non consecutivi in cui ci aveva abitato, per lui quella casa era sempre stata proprietà di Belle, e per legge in effetti lo era. Le ampie vetrate gli ricordavano le sitcom anni Sessanta, che il ragazzino aveva guardato appassionatamente, l’una dopo l’altra, su un canale tv infestato di mariti e padri modello, uomini tutti d’un pezzo che la sera restavano in casa a fare da ancora al vascello domestico.

«Allora?» gli domandò Belle. Persino la voce le si era assottigliata. Dei suoi armonici non restava più traccia.

«È dalle parti di Westbrook», le rispose. «Il giardino è una sterpaia.»

«Ha preso quest’impegno fino a metà luglio. Ho detto a Ted che ci avremmo pensato noi.»

«Quella donna ha qualcosa come venti mangiatoie per uccelli, tutte appese troppo in alto. Era proprio il lavoro perfetto per lui.»

Belle diede un’occhiata alla strada. «Sei a piedi?»

«Ho venduto la Honda», le rispose Quinn. Poi si sfilò di tasca un assegno e glielo porse. Dal loro secondo divorzio, tutti i sabati le spediva un assegno di mantenimento per il figlio e ancora non aveva saltato un pagamento.

Lei lo guardò impassibile. «Te l’ho detto, Quinn. Non ce n’è più… bisogno.»

Come gli era già capitato altre volte, lui si chiese se una persona potesse letteralmente morire di dolore. La sua ex moglie indossava una camicia rosa talmente stropicciata da far pensare che l’avesse sgraffignata dal cestello di una lavatrice a gettoni.

«Belle», insistette Quinn. «Lasciami fare.»

Lei non volle accettarlo, non in un primo momento, ma lui rimase immobile con la mano tesa, il sangue che gli martellava le tempie e l’assegno che si sollevava, sospinto da una brezza leggera, finché la sua intenzione di averla vinta non fu inequivocabile. Così Belle cedette, prese il foglio senza dire una parola, e la mente di Quinn si placò.

Sulla casa aleggiava un’ingannevole aria di nuovo. Fiori tardivi di maggio che facevano capolino ovunque, finestre tirate a specchio e l’ennesima esposizione di oggetti in attesa del netturbino.

«Un altro repulisti?» le domandò.

«Solo le cose che non sopporto.»

Il senso delle sue parole rimase un mistero. Quinn passò in rassegna gli oggetti scartati: una poltrona imbottita, un frullatore, una lampada da tavolo, delle posate. E poi lo vide, isolato dal resto: il suo primo amplificatore, due watt, un regalo per il suo tredicesimo compleanno.

«Non è il mio Marvel, quello?»

Insieme lo fissarono come avrebbero potuto esaminare un animale morto. Era un prodotto da quattro soldi importato dal Giappone, rivestito di uno strato di lacca così spesso da sembrare bagnato persino sotto tre decenni di sporcizia.

«È brutto», commentò Belle, «e non funziona. Non lo vuole nessuno.»

«Me l’ha regalato mia madre.» Altoparlante da quindici centimetri, tre manopole; robaccia, tutto sommato, l’unica reliquia della sua adolescenza. E a dirla tutta, anche di sua madre.

«E funziona ancora», aggiunse, sulla difensiva. Aveva amato quell’amplificatore. Per lui aveva significato tanto.

«Che ne diresti di liberare casa mia dalla tua robaccia, una volta per tutte? Ormai non c’è più uno straccio di niente che ti leghi a questo posto.»

«Belle», protestò lui, ferito. «Ti prego, no.» Aveva saltato le ultime due visite previste dalla sentenza di affido e non sarebbe mai stato perdonato. Alla gelida luce di un esame retrospettivo, certe cose erano semplicemente imperdonabili.

Si guardò intorno. Per due settimane, la famiglia di Belle era sciamata avanti e indietro come un’orda di calabroni condotta da Amy, l’ex cognata. C’era anche Ted Ledbetter, ma quella era un’altra storia. Adesso, però, la casa era silenziosa, il vialetto sgombro.

«Ted c’è?»

«No. E poi a te che importa?»

«Scusami. Dove sono tutti quanti?»

«Le zie sono tornate a casa e Amy è uscita a spedire biglietti di ringraziamento. Fingo di avere bisogno di qualcosa per ritagliarmi quattro secondi di pace.» Appoggiò il rastrello a un albero e soffiò a scatti l’aria dalla bocca, rammentandogli gli esercizi respiratori del parto. Quinn la seguì dentro casa, e lei sembrò sorpresa di trovarselo davanti.

«Posso avere un po’ d’acqua?» le domandò.

Belle entrò in cucina e gliene versò un bicchiere. La casa era una linda villetta in stile Cape Cod, un classico edificio di periferia, anche se in realtà si trovavano entro il perimetro urbano di Portland. Prati all’inglese stampati su un paesaggio un tempo irregolare. Un susseguirsi di altalene, casette sugli alberi, piste riservate ai cani. La casa era appartenuta ai genitori di Belle, che gliel’avevano ceduta a condizione che il nome di Quinn venisse omesso dall’atto di proprietà.

«Ha detto qualcosa di… lui? La vecchietta?»

Quinn scosse la testa. «Mi ha fregato cinque dollari.»

«Avevano piacevoli conversazioni», continuò lei. «Testuali parole.»

«Non so proprio come facesse a sopportarla.» L’intenzione era di usare un tono leggero, ma nell’ultimo periodo le parole che pronunciava atterravano con il greve tonfo di una forzatura.

«E tu hai parlato di lui?»

Quinn trangugiò il bicchier d’acqua. I biscotti a forma di animali gli avevano fatto venire sete. «A lei?»

«Sì, a lei. E a chi altri, Quinn?»

«No», rispose. «Non me la sono sentita.»

La superficie ghiacciata della rabbia che intrappolava Belle si andava progressivamente sciogliendo. «Che sopportasse quella donna non cozza affatto con il suo carattere», disse alla fine. «È di una vecchiaia esagerata.»

«Mi riferivo proprio a quello.»

Belle gli poggiò le dita sul braccio. «È l’unica cosa che ti ho chiesto di fare. Si è preso un impegno, e lui ci tiene a mantenere una promessa. Lo farei io, ma questo…» disse cercando le parole nell’aria, «questo è compito del padre.»

Quinn non aprì bocca. Che cosa c’era da ribattere? Se n’era andato quando il bambino aveva tre anni ed era tornato quando ne aveva otto. Cinque anni volutamente recisi dal fragile tronco della paternità. Belle avrebbe potuto rinfacciarglielo, ma non lo fece. Boston, New York e in ultimo Chicago, finché non si era accorto di vivere una vita identica a quella che aveva lasciato, soltanto più solitaria. Dopodiché aveva affrontato il lungo, umiliante viaggio in autobus verso casa. Aveva guadagnato bene – come sempre del resto, e quello era il suo unico motivo d’orgoglio –, ma lo spaventava l’idea di dare ai vecchi compagni della band e ai capiturno del suo ex lavoro diurno la prevedibile notizia che no, ah-ah, non ce l’aveva fatta, e sì, era tornato definitivamente.

«Mica ho detto che non ci torno. Ho detto solo che non è la classica vecchietta arzilla con il grembiule a quadri.»

«Oh, che pena mi fai», commentò Belle. «Che altri impegni hai, oggi?»

«Un matrimonio alle cinque.»

«Tu hai sempre un matrimonio alle cinque. Signor Tuttilovogliono.»

Quello era il loro vecchio argomento di discussione, e il fatto che Belle avesse voluto rispolverarlo proprio allora lo fece sentire meno solo. Una volta lei aveva paragonato le sue croniche esibizioni sul palco al fabbisogno giornaliero di un alcolizzato. Ma per Quinn, che si era indispettito per quella similitudine con l’alcol, la verità era la seguente: suonare la chitarra era l’unica occasione, in quella sua vita insulsa senza capo né coda, che gli desse la facoltà di soddisfare un preciso desiderio di un altro essere umano.

Seguì stancamente Belle in salotto, ma non fu invitato ad accomodarsi. Si guardò intorno avvertendo un che di stonato, e poi capì cos’era: la sua ex moglie aveva messo via tutti i libri. Lettrice sfrenata, di solito leggeva quattro o cinque libri alla volta e li lasciava dappertutto, le costole schiacciate dalla sua passione. Quante notti aveva trascorso a raccontargli per filo e per segno le trame, mentre lui la supplicava, ridendo, di non svelare tutti i particolari? Ma lei niente, lo faceva lo stesso: quando amava una storia, gliela svelava completamente. Adesso quegli stessi libri erano riposti in ordine di altezza in una libreria che sembrava pitturata di fresco.

«Mancano ancora pochi sabati», gli disse.

«Sette, in realtà.»

«Sette, va bene. Quante sono, due ore sottratte alla tua giornata piena di impegni?»

«Sì, ma poi mi tocca mangiare biscotti avvelenati.»

Belle rise, un breve latrato che sbigottì entrambi. Quinn le prese le mani e le tenne fra le sue, pervaso di compassione fin quasi a scoppiare. Una compassione smisurata.

«Posso rivedere la sua stanza? Solo un momento?» Sperava di rimettere a posto il diario prima che lei se ne accorgesse. Gli era difficile credere che non sapesse dell’esistenza di quel diario, lei che aveva osservato la vita del ragazzino quasi con la convinzione che un giorno qualcuno avrebbe dovuto fargli da biografo.

Belle ritrasse le mani. «Non ora.»

Lo stava punendo, quella donna spietata e adorabile, la sua amica più sincera. E lui se lo meritava; però sapeva com’era fatta, sapeva che non aveva la forza di reggere a lungo la propria rabbia.

«Ho dei ringraziamenti da scrivere», continuò. «Tuo padre ha mandato un biglietto. E Allan ha chiamato addirittura da Hong Kong.» Poi restò in attesa. «Allan non sapeva del nostro divorzio. Probabilmente non sapeva nemmeno del primo.»

«Sai come siamo fatti», rispose lui con noncuranza. Suo padre ormai trascorreva tutto l’anno in Florida, e suo fratello viveva dall’altra parte del mondo. Si parlavano di rado.

Erano le dieci. Aveva un vuoto di ore da riempire, così le domandò: «Mangi?»

Quella domanda sembrò spiazzarla. «Probabilmente», rispose. «Mi toccherà farlo, immagino.»

«Ti serve qualcosa?»

«Quinn», continuò lei con garbo. «Ormai non c’è niente che tu possa fare per me.»

Una verità dolorosa quanto un molle livido bluastro. Belle lo accompagnò fuori, fino al marciapiedi, come se avesse un’automobile ad aspettarlo. «Sono un’altra persona, adesso», gli disse e, se mai c’era stato un momento nella vita di Quinn in cui lui avesse saputo che fare di un’informazione del genere, quel momento era passato da un pezzo. Fissò Belle negli occhi finché lei non staccò lo sguardo scuotendo lentamente il capo.

Poi prese l’amplificatore – era davvero leggero – e con quello in mano lasciò il suo vecchio quartiere, percorse tutta Washington Avenue, costeggiò la baia seguendo il Boulevard e affrontò la lunga salita di State Street fino alla penisola. Raggiunta Brackett Street, salì le tre buie rampe di scale che conducevano al suo appartamento: all’interno, apparecchiature musicali tenute come gioiellini, qualche pezzo d’arredamento di seconda mano e una fotografia incorniciata del figlio in divisa da boy scout, con i suoi corti dentini sfoderati in un sorriso apertamente collaborativo. Qualcuno gli aveva detto di sorridere, e lui aveva fatto del suo meglio.