49.
Quando Laidlaw arrivò alla cella, trovò la porta socchiusa. Si fermò, con in mano la tazza di tè che stava portando a Bryson e ascoltò la voce di Milligan. “Forza, ragazzo,” stava dicendo. “Fa’ un favore a te stesso. Tanto ti becchi comunque il cappio. Il tuo fidanzato doveva avere le mani in pasta in qualcosa di losco. Diccelo. A lui non farà male. L’hanno trovato con la gola che sembrava la bocca di Joe E. Brown. Se l’era tagliata. La moquette era ridotta uno schifo.”
Laidlaw posò la tazza sul pavimento con attenzione, per non far cadere le zollette di zucchero, e aprì la porta.
“Mi scusi, ispettore Milligan,” disse. “Posso parlarle un minuto?”
“Pensaci, ragazzo,” disse Milligan. “Pensaci.”
Uscì in corridoio e Laidlaw chiuse la porta della cella.
“Che c’è?” chiese Milligan. “Ho sentito che sei arrivato sul posto troppo presto.”
Laidlaw lo afferrò per il bavero e lo gettò attraverso il corridoio. Milligan sbatté contro il muro. Rimbalzò, recuperò l’equilibrio e fece per saltare addosso a Laidlaw.
“Prego,” disse Laidlaw.
Si fissarono. Milligan si rese conto che Laidlaw aveva scelto il momento con cura. Il corridoio era deserto. Se voleva reagire, era adesso o mai più, perché fargli rapporto equivaleva a dover ammettere che anche lui aveva violato le regole.
“Per uscire, non avresti dovuto aprire la porta,” disse Laidlaw. “Bastava che ci strisciassi sotto.”
Milligan decise di mantenere il sangue freddo. La sua espressione era tra la smorfia di scherno e la smorfia di dolore. “Laidlaw,” disse. “Sei fuori di testa, lo sai? Ti succederà qualcosa di brutto.”
“Perché non ti offri volontario?”
“Posso aspettare.”
“Quello che vuoi dire è che non puoi fare altro.”
“No, voglio dire che posso aspettare. Se vuoi vedere il tuo ragazzo accomodati. Io tornerò. Ho tutto il tempo.”
Tra loro passò uno sguardo che era una promessa. Laidlaw annuì, duro. Prese la tazza dal pavimento ed entrò nella cella.
Tommy Bryson non si mosse, non alzò lo sguardo. Se ne stava rannicchiato e tremante, come un coniglio abbagliato da una luce. I pantaloni che gli avevano dato erano troppo grandi e senza cintura. Se si fosse alzato gli sarebbero caduti. Le scarpe erano senza lacci. Laidlaw si sedette sul letto accanto a lui.
“Tieni, figliolo,” disse.
Il ragazzo lo guardò senza vederlo.
“Ti ho portato una tazza di tè.”
Il ragazzo guardò la tazza, poi guardò lui, come se non riuscisse a capire il collegamento tra le due cose.
“Per me?” chiese. Aveva uno sguardo solenne. “Perché?”
Laidlaw vide le innumerevoli macchioline che nuotavano nei suoi occhi, una galassia di stelle inesplorate. “Hai una bocca, no?” disse.