15.
In una stanza diversa, Matt Mason si godeva la fine di una bella domenica. Aveva passato la mattina a dormire e nel pomeriggio aveva portato Billy Tate fuori da Helensburgh per un giro in barca di un paio d’ore. Ora ascoltava due dei suoi ospiti che si insultavano piacevolmente a vicenda.
“Sai,” disse Roddy Stewart, “faccio fatica a riconoscere tuo padre dal modo in cui ne parli. La tua descrizione non quadra con il quintale di vibrante apatia che conoscevo e odiavo così bene.”
“Almeno era un uomo coerente,” rispose Alice. “Tuo padre parlava inglese come un indigeno. Un bantu, per la precisione.”
Squillò il telefono. Matt Mason si alzò e strizzò l’occhio a Billy Tate.
“Fine del round, voi due. Billy, commenta il match finché io non torno.”
Il telefono era in corridoio. Mason chiuse la porta del salotto.
“Pronto? Sono Matt Mason.”
“Ciao, Matt, sono Harry.”
Quel nome colpì Mason come uno spasmo. “Ti ho detto di non chiamarmi qui,” disse. “Cosa c’è?”
“Dio, Matt, sono in un guaio terribile. Hai un minuto?”
“Proprio uno. Ho gente.”
Seguì un silenzio significativo, come se l’altro fosse un vagabondo che gli avesse chiesto l’elemosina in strada.
“Hai presente quella ragazza che oggi è stata trovata assassinata?”
“Non era amica mia.”
“Cristo, Matt, stammi a sentire. È una cosa seria. Parlo di quella che è stata trovata stamattina a Kelvingrove Park. Il ragazzo che l’ha uccisa è... un mio amico. Lo conosco bene.”
Mason fece una smorfia, come se volesse vomitare nella cornetta. “Quanto bene? Intendi molto bene?”
Ci fu una pausa. Poi: “Molto bene, sì”.
“Credo di sapere cosa significa, nel tuo caso,” disse Mason.
I ricordi lo infastidivano come l’alito cattivo di un ubriaco. Guardò nel corridoio, verso i costosi cappotti sul tavolo dove li aveva lasciati la governante. I ricordi erano una minaccia in quel posto. Non ne facevano parte.
“Adesso si è nascosto. Ho bisogno del tuo aiuto. Un bisogno tremendo.”
Nel salotto qualcuno rideva. Mason decise di essere prudente. “Ti chiamo domani,” disse.
“Lo farai, vero? Non dimenticartene, per favore. Sono disperato.”
“Ti chiamo domani.” Mason chiuse la comunicazione premendo il tasto con un dito, poi disse al telefono inerte: “Tutto a posto. E grazie della telefonata”.
Riappese la cornetta e tornò in salotto facendosi strada fra una lista di implicazioni. Quando aprì la porta sperò che non gli si leggessero in faccia. “Scusatemi,” disse. Poi aggiunse, con una parodia di accento inglese: “La pressione degli affari, sapete”.
Dagli altri non arrivò quasi nessuna reazione. Solo Roddy strinse gli occhi per un secondo, guardandolo per capire se la telefonata potesse richiedere i suoi servigi, poi tornò a fissare Alice.
“E comunque,” stava dicendo lei, “avrebbe avuto un maggiore successo, se non gli fosse venuta la pleurite.”
“Ma dai, Alice,” ribatté Roddy. “Tuo padre non ha preso la pleurite, l’ha agguantata. Con tutti e due i polmoni, per non lasciarsela scappare.”
Billy rise. Mason guardò il gruppo. Era contento di sé. Roddy era uno dei migliori avvocati di tutta la Scozia. Billy Tate era stato uno dei più forti centravanti nella storia del calcio scozzese, prima di ritirarsi e acquistare un pub. Il fatto che persone del genere passassero a trovarlo la domenica per bere un bicchiere con lui non era un brutto segno. Le loro mogli non erano niente male, ma Margaret era la più bella tra le donne presenti, una cosa che succedeva spesso. Mason guardò e vide che andava tutto bene, era una bella domenica, non valeva la pena di rovinarla a causa del soffio di vento che gli era appena arrivato dal telefono. Era un buco nella sua sicurezza, un buco che avrebbe dovuto tappare. Si alzò in piedi.
“Quando venite voi due,” disse a Roddy e Alice, “più che un ospite mi sento l’organizzatore di un incontro di boxe. Getta loro un asciugamano, Billy. Io vado a prendere qualcosa da bere.”
Tutti sorrisero.