5.

La stanza era un doposbronza permanente. Svegliandosi lì, Harry Rayburn doveva ogni volta venire a patti con se stesso. Era la stanza della casa in cui trascorreva più tempo ed era ammobiliata con i relitti di atteggiamenti passati. Atteggiamenti che rappresentavano una discussione irrisolvibile, della quale lui era lo stanco moderatore. Le due stampe di Beardsley sembravano a disagio accanto alle foto incorniciate di pugili. Il più grosso era Marcel Cerdan. L’enorme paralume dal disegno elaborato stonava con l’ascetico biancore dei muri, dando alla stanza l’aspetto di un bordello calvinista. Il letto rotondo era spaventoso e lo obbligava ogni notte ad affondare nel proprio imbarazzo. La sua vestaglia era un kimono.

Più di una volta, a letto, aveva riso della propria pretenziosità. La stanza era un guardaroba di attriti psicologici. Ma quella mattina non ebbe tempo di prendere le distanze dai tentativi di venire a patti con la sua natura. Il telefono lo tirò giù dal letto in una confusione che in parte dipendeva dalla sbronza e in parte era un modo di vivere. Provò un momentaneo imbarazzo per dover rispondere al telefono in quello stato. Sollevando la cornetta, si passò una mano tra i capelli.

“Pronto?”

“Harry? Sono Tommy. Tommy Bryson.”

Quel nome lo trapassò come una lancia.

“Tommy! Dove sei? Vuoi salire?”

Gli venne in mente che quella parola era strana, a meno che non volesse dire di sopra, in camera da letto. Si passò di nuovo le dita tra i capelli.

“Non posso. Harry.”

Il tono in cui pronunciò il nome gli provocò un ingorgo di sensazioni. Era una supplica, ed era ciò che voleva sentire, ma era così piena di dolore che ebbe paura di quello che sarebbe seguito. Attese di scoprire cosa avrebbe dovuto provare.

“È successa una cosa. Una cosa terribile.”

“Che cosa, Tommy?”

“Devi aiutarmi. Ho ucciso una ragazza.”

Quell’affermazione si estese tra loro come una steppa.

“Tommy,” disse Harry.

Ascoltarono ciascuno il silenzio dell’altro, senza speranza.

“Tommy.”

Il nome morì nell’aria. Harry fu stupito di scoprire che la sua voce sapesse cosa dire.

“Cosa vuoi che faccia?”

“Portami carta e penna. Devo scrivere. Devo scoprire cosa è successo.”

Era patetico, come se un malato di cancro alla gola chiedesse delle pastiglie per la tosse.

“Ma prima passeresti da mia madre, per favore? Ti ricordi l’indirizzo?”

“Sì.”

“Dille quello che vuoi. Inventa qualcosa. Non voglio che vada alla polizia.”

“Potresti venire qui, Tommy. Qui non ti cercheranno.”

“No, non posso,” rispose lui. “Non posso.”

“Dove sei?”

La pausa fu un autoinganno, come una scelta se fidarsi o no, ma la scelta era già stata fatta.

“Al Bridgegate. Vicino a Jocelyn Square. Un edificio da demolire. Sopra l’Alice’s Restaurant. C’è una lamiera ondulata sul portone. Ma l’ho forzata. Vieni più tardi, quando sarà tutto tranquillo. Ma da mia madre vacci adesso. Subito.”

“Tommy,” disse Harry.

“Farai tutto quello che ti ho chiesto?”

“Lo farò.”

“Grazie.”

“Ti amo, Tommy. Non dimenticarlo.”

Ma il ragazzo aveva già riattaccato. Solo dopo averlo detto Harry si rese conto di quanto fosse vero. Posando la cornetta, seppe di aver avuto una conversazione definitiva. Una specie di punto di arrivo. Era finita la finzione che il fatto di non aver visto Tommy nelle ultime due settimane non lo avesse turbato. Erano finite tutte le pretese con cui aveva ammobiliato la casa. O almeno avevano finito di ossessionarlo. Se avesse usato di nuovo uno di quei ruoli, sarebbe stato per aiutare Tommy.

Ricordò ciò che gli aveva detto l’ultima volta che si erano parlati. “Tu sei terrorizzato dall’idea di essere gay. Io so che lo sono.” Harry aveva ammesso da molto tempo la propria omosessualità con se stesso. Ma l’aveva fatto solo per proteggersi meglio dagli altri. Aveva trascorso la vita ad acquisire qualità compensatorie che non gli erano naturali, ma gli servivano per sopravvivere. La durezza della propria esperienza lo spinse a perdonare Tommy immediatamente, qualsiasi cosa avesse fatto. Per quanto riguardava lui, chiunque altro meritava di essere il capro espiatorio di Tommy.

La durezza che aveva imparato ora avrebbe avuto uno scopo sincero. L’avrebbe usata per aiutare Tommy a restare impunito. Era la sua rivincita contro la propria vita.