48.
Matt Mason si portò dietro il bicchiere, quando andò a rispondere al telefono. Aveva mangiato bene, si sentiva di buon umore. Non riconobbe la voce che disse: “Signor Mason?”.
“Chi parla?”
“Sono Minty. Minty McGregor.”
“Sì?”
Mason era diffidente. Non credeva che Minty avesse l’impudenza di ricattarlo, ma il pensiero gli passò per la mente.
“Voglio ringraziarla per aver contribuito al mio fondo pensione.”
“Cosa?”
“Penso che dopo una vita dedicata al crimine è giusto che il crimine mi restituisca qualcosa.”
“Che diavolo significa?”
“Significa che quel ragazzo, Bryson, è stato arrestato mezz’ora fa. E lei è il fortunato proprietario di un paio di mutandine prese da C&A. Ottimo negozio, quello. Se vuole usarle, le raccomando di lavarle con un buon detersivo, capace di togliere le macchie di sangue di pollo senza lasciare traccia.”
Ci fu una pausa, in cui Mason lasciò montare la rabbia. “Bastardo!” sibilò. Quindi annuì e sorrise a un ospite diretto in bagno. “Sei morto.”
“Non ancora. È in anticipo di una o due settimane.”
“È abbastanza tempo per trovarti.”
“E cosa mi farà, signor Mason? Farà venire il cancro al mio cancro?”
Mason si sentì impotente. Era una strana sensazione. La voce al telefono sembrava già venire dall’oltretomba. Non esprimeva nulla, né paura, né soddisfazione. Solo una mancanza di vita che gli gelò l’orecchio.
“Hai una famiglia,” riuscì a dire.
“Già. E ho anche un amico. Un amico fidato. Non può immaginare che grande amico. Se mia moglie si fa solo un taglietto a una gamba, lui s’incazza. E adesso ha un nastro con la registrazione del nostro incontro al pub. Nomi e cifre. E ha anche una mia dichiarazione firmata. Ma non le userà mai, naturalmente. Dico bene?”
Mason era occupato a imparare di nuovo a respirare.
“I miei migliori auguri per il futuro.”
Mason restò con il telefono in mano, che faceva le fusa come un gatto.
In un treno diretto a sud, sudando come se lo scompartimento fosse un bagno turco, Lennie non sapeva ancora di aver commesso un altro errore.