7.
“C’era questa ragazzina. Si chiamava Margaret. Dodici anni. Niente fratelli o sorelle. Viveva sola. Con la mamma e il papà. Oh! Una sera suo padre voleva andare al cinema e sua madre acconsentì. Ma non era un film adatto ai bambini, perciò Margaret non poteva andare con loro. Volevano chiamare una babysitter, ma Margaret si offese. ‘Ho dodici anni!’ disse. ‘Non sono una bambina. Posso restare a casa da sola.’ Sua madre insistette, ci voleva una babysitter. E c’era Anne: abitava nella stessa strada, aveva diciannove anni e le piaceva fare da babysitter a Margaret. E la madre di Margaret sapeva che Anne quella sera non aveva nulla da fare. E il padre disse che era illegale lasciare una ragazzina di dodici anni sola in casa. Ma Margaret insistette. Fece i capricci, proprio come il nostro Jack quando si mette a mordere le gambe dei tavoli. Così alla fine i genitori uscirono e Margaret restò accanto al fuoco, a guardare la tivù. La casa era tutta per lei. E pensava: ‘Grande! Sono come un’adulta’. Quando all’improvviso,” Laidlaw schioccò le dita, “le luci si spensero. Il fuoco nel caminetto elettrico si raffreddò. La televisione diventò nera. Buio totale, come essere ciechi. Margaret era spaventatissima.”
Laidlaw assaporò la pausa. Era il momento che piaceva a tutti. Per questo il gioco si chiamava “Cosa è successo dopo?”. Aveva iniziato la storia deliberatamente, per creare un rifugio antiaereo contro gli attacchi di Ena. I suoi attacchi ultimamente avevano perso moralità. Prima era lei che voleva preservare i bambini dalle loro liti. Adesso era il bombardamento di Dresda. Le piaceva far rimbalzare i proiettili sui bambini per colpire lui. Diceva cose del tipo: “Non mi sorprende che tu abbia avuto un incubo, stanotte, Jack. Tuo padre non era qui a proteggerti”. La rabbia che Laidlaw provava per quegli abusi sui bambini lo spaventava.
Ora la rabbia era disinnescata dalle espressioni sulle facce dei figli. Moya, dieci anni, la più grande, era un po’ cinica sul coinvolgimento degli altri due. Ma dietro l’atteggiamento altezzoso stava cercando di indovinare tutti i possibili finali. Sandra, un anno meno di lei, voleva disperatamente arrivare alla risposta prima della sorella. Jack, sei anni, era troppo occupato a identificarsi con l’orrore della situazione di Margaret.
“Cosa è successo dopo?” chiese Jack.
“Margaret restò seduta dov’era, troppo spaventata per muoversi. Poi udì girare la maniglia della porta posteriore. Qualcuno – o qualcosa? – la muoveva. Su e giù. E lei non riusciva a ricordare se la porta posteriore fosse chiusa a chiave oppure no. Voleva gridare, ma l’intruso l’avrebbe sentita. Si alzò e andò a sbattere contro una sedia. Si fece un male cane. Ma non strillò. Arrivò a tentoni fino in soggiorno. Ma era buio anche lì. Persino le luci della strada erano spente. Buio pesto. Poi sentì che il coperchio della cassetta delle lettere della porta d’ingresso veniva sollevato, piano piano. Immaginò due occhi che fissavano l’interno della casa. Due? Magari erano tre occhi. O forse nove? Allora gridò.”
Squillò il telefono. Ena andò a rispondere. Laidlaw sperò che non fosse per lui, ma purtroppo era così.
“Cosa è successo dopo?” chiese ai bambini, mentre andava al telefono.
Il comandante della Omicidi lo informò che a Kelvingrove Park era stato trovato il cadavere di una ragazza. Milligan, della Divisione centrale, sarebbe stato il detective incaricato dell’indagine. Ma Laidlaw avrebbe dovuto aiutarlo. Questo significava, innanzitutto, la reazione inevitabile di Ena. Non restò deluso. Lei era in cucina. Laidlaw chiuse la porta, per non farsi sentire dai bambini, spegnendo le loro suppliche di un finale con un “dopo”.
“C’è stato un omicidio,” disse.
Ena smise di tagliare le verdure per la zuppa del lunedì. Fissava davanti a sé il vetro striato dell’armadietto.
“Tutto quello che desidero è una domenica piacevole e senza interruzioni,” disse.
“Lo so.”
“No, non lo sai. Non lo sai affatto. Che me ne frega di chi è stato ammazzato? I miei figli hanno bisogno di un padre.”
“Per favore,” disse Laidlaw. “Non provare ad attaccarmi su questo fronte. Il mio rapporto con loro è di ferro. Non è a rischio, e lo sai.”
“Lo so? E loro lo sanno? Mi sembra che sai tutto tu. Sai anche come mi sento io? Come si sente tutta la famiglia, per questa storia? Voglio dire, quante volte capita? Anche quello che sta succedendo a noi è un crimine. Ma tu lo sai.”
Ena agitava distrattamente il coltello.
“Sì, lo so. E so anche la differenza tra Hedda Gabler ed East Lynne. E tu sei East Lynne, cara mia. Vuoi vivere come se il resto del mondo fosse soltanto un male necessario. Una ragazza è morta, cazzo. Per te può essere un contrattempo, per lei è molto peggio.”
Si rese conto di aver alzato la voce.
“Non imprecare, i bambini ti sentono.”
“Vaffanculo! Alle parolacce possono sopravvivere. Quello che può ucciderli è la tua indifferenza a chiunque non sia loro.”
Diede ai bambini baci frettolosi come lividi, mentre usciva. Loro non dissero nulla. In macchina, era ancora contratto come un pugno. La situazione stava peggiorando. Ora le loro liti erano stenografiche. La loro tolleranza reciproca si era consumata quasi del tutto. Da solo, in macchina, riusciva a vedere che entrambi avevano detto cose ingiuste. Negli anni erano diventati troppo diretti, in modo quasi selvaggio. Ciascuno dei due aveva capito di non poter approvare ciò per cui si batteva l’altro. Bastava che apparisse un commento all’orizzonte, e l’altro sapeva già la massa di atteggiamenti inaccettabili che vi si nascondeva dietro.
Laidlaw ammise che la sua rabbia era sproporzionata, rispetto alla superficie di ciò che era successo. Ma conosceva la profondità della minaccia contro la quale si era ribellato. Era per quello che si sentiva a disagio quando andavano a trovare degli amici. Oltre le piccole zone di conversazione che coltivavano, i pergolati dell’amicizia, i cliché ornamentali, le preoccupazioni ben espresse, si stendeva un territorio deserto di silenzi, dove marcivano tutte le immondizie di ciò che non li toccava. Di tanto in tanto, per strada, scorgevano una delle strane figure che sfrecciavano in quel silenzio, oppure, in un titolo di giornale, udivano un’eco dei suoni spettrali che lo infestavano. Ma la porta che li metteva in comunicazione con quel territorio restava sbarrata. Laidlaw invece non poteva tenerla chiusa. La realtà continuava a spalancarla a calci.
Come oggi. Il tragitto dal paesino di Simshill and Old Cathcart fino al Kelvingrove Park era la distanza tra la finzione e i fatti. Lasciò la macchina sopra il parco e scese a piedi lungo il pendio, osservando la scena dall’alto. Niente di molto attraente.
Sembrava il set di un film. Il perimetro di sicurezza formava un semicerchio lungo il fiume, con il paletto più lontano a circa settanta metri dalla riva. Entro quell’area si muovevano i poliziotti, larve sulla carcassa di un omicidio. Un paio di loro aveva i cani. Qualcuno scattava fotografie. Uno stava ascoltando le dichiarazioni di un uomo e un ragazzo. Si muovevano in giro come tecnici bizzarri intenti a individuare una fuga di gas.
Ma la cosa più bizzarra non erano loro. Era la folla oltre il perimetro. Laidlaw li guardò malvolentieri. Possedevano quella strana unità che aveva già notato in gruppi simili. Allungavano il collo, comunicavano tra loro, un’idra che parlava a se stessa. Un papà portava una bambina sulle spalle, con i piedini tenuti fermi sotto le ascelle. Un ragazzino succhiava un leccalecca. Laidlaw non riusciva a capirli. Non erano lì per dare una mano, erano guardoni del disastro.
Non volendo mescolarsi con loro, sgomitò fino al poliziotto che sorvegliava il perimetro. Poi si voltò e gridò: “Si entra solo con il biglietto!”.
“Cosa succede, signore?” chiese l’agente.
“Guardali,” rispose Laidlaw. “Di che si tratta? Probabilmente pensano che il mistero sia la ragazza morta. E che chiunque l’abbia uccisa di sicuro sia un tipo strano.”
“Sono soltanto curiosi, signore.”
“Molto.”
“Non sono cattivi.”
“Frequenti le riunioni dell’Esercito della salvezza? Non lasciare sola la vittima, questi sono capaci di portarsi le unghie a casa per ricordo.”
“Non è un po’ cinico, signore?”
“Non dirlo a me, dillo a loro.”
Si diresse verso la ragazza. Era bluastra, come per il freddo, e parzialmente coperta dal fogliame, come un’oscena parodia rovesciata di ciò che raccontiamo ai bambini. La morte trovata sotto un cavolo. Le sue gambe erano un tremendo abbandono. Si erano formati dei lividi, che avevano annerito cosce, faccia e ventre, e il seno sinistro era così scuro che sembrava bruciato. Contro la propria volontà, Laidlaw pensò a Moya. Ricordò la prima volta che l’aveva vista, malconcia dopo la nascita. È difficile venire al mondo, ed è difficile andarsene. Un poliziotto coprì di nuovo la ragazza con il soprabito.
“Oho, c’è l’Interpol.”
Alzando gli occhi, Laidlaw guardò oltre Milligan, verso una sua scena privata.
“Adesso sì che la soluzione del caso è garantita,” insistette Milligan.
“Abbiamo trovato il reggiseno, signore.”
Il giovane agente lo tese a Milligan. Era giallo, con pizzi bianchi.
“Cristo, ci ha lasciato una vera caccia al tesoro,” disse Milligan. “Spero solo che continui, fino a guidarci da lui.”
“Così mancano solo le mutandine,” disse il poliziotto.
L’agente posò il reggiseno accanto alle altre cose: la borsetta marrone, le scarpe gialle, la maglietta rossa, il tailleur pantaloni di jeans. Sì. C’era un’ultima cosa da controllare. Non voleva farlo, perché sapeva che l’avrebbe trovata. Si chinò sul cadavere, spostò il soprabito. La testa era girata a un angolo strano, come se lei stesse ascoltando qualcosa. Con gentilezza Laidlaw le scostò i capelli dalla fronte. Erano rigidi, e non per la lacca, ma per il sudore gelato e la polvere. Sulla tempia sinistra vide una piccola voglia, quella per cui lei temeva di avere poche chance con i ragazzi. Drizzò la schiena.
“Credo di sapere chi è,” disse a Milligan. “Abita al Drum. Ardmore Crescent.”
Il giovane agente lo fissò, sbalordito. Era da quei momenti innocenti che nascevano le leggende.
“La figlia di Bud Lawson!” disse subito Milligan. “Ma certo. Non era tornata a casa.”
“Esatto,” disse Laidlaw. “Ho qui la mia macchina. Vado a prenderlo e lo porto qui.”
“McKendrick, accompagnalo,” disse Milligan. Poi, rivolto a Laidlaw: “Nel caso tu dimenticassi di dirci qualcosa”.
“Non ti nasconderei nulla,” rispose Laidlaw. “Tanto non capiresti comunque. A proposito, non pensi che potremmo affrettare le cose e spostarla da sotto i riflettori?”
“Quali riflettori?” chiese Milligan.
“Spostala e basta.”
“Ispettore Laidlaw, dovrebbe sapere che non si può.”
La voce vibrava di autorità. Laidlaw si voltò e vide il procuratore, dietro la solita nuvola di fumo di sigaro. Gli serviva a tenere lontano l’odore del mondo.
“Il medico sarà qui da un momento all’altro. E non si può spostare la vittima fino a quel momento. Credevo che data la sua vasta esperienza lei lo sapesse.” Milligan intanto si godeva la reprimenda. “Bisogna prima certificarne la morte. Nel frattempo, non credo che si senta troppo a disagio.”
“Perché è morta,” disse Laidlaw. Guardò la folla. “È solo che non vorrei che il padre debba comprare il biglietto per vedere il corpo. Lo accompagnerò all’obitorio.”
A McKendrick quello scambio di battute era piaciuto. Si era sentito male quando aveva visto la ragazza, e gli sembrava che Laidlaw avesse parlato in suo nome. Aveva sentito Milligan accusare Laidlaw di essere un dilettante ed era contento di aver scoperto che era solo una calunnia. In macchina avrebbe voluto parlare, ma rispettò il silenzio finché fu Laidlaw a romperlo.
“Come ti chiami?” chiese l’ispettore.
“McKendrick.”
“Il nome di battesimo.”
“Ian.”
“Bene, Ian. Quando arriviamo, se preferisci puoi aspettare in macchina. Dipende da te.”
McKendrick pensò a Milligan.
“Credo che farei meglio a entrare, se non le dispiace.”
“Come vuoi. Pensavo solo a quanto è piacevole dare brutte notizie alla gente. E immaginavo di risparmiartelo, per questa volta.”
“Credo di dover cominciare ad abituarmi,” rispose l’agente. “Apprezzo la sua idea, ma... insomma, devo abituarmi.”
“Hai ragione, Ian. Solo non abituarti troppo. Conosco persone che non ci fanno più caso. Consegnano cadaveri a domicilio come fossero bistecche.”
Drumchapel li inghiottì come sabbie mobili.
“Bel posticino,” disse Laidlaw.
“Già. Devono viverci persone terribili.”
“Non era quello che intendevo,” ribatté Laidlaw. “Le persone sono notevoli, è il posto che è terribile. A ciascuno dei quattro angoli di Glasgow c’è questo schema: il Drum, Easterhouse, Pollok e Castlemilk. È il più grande progetto di quartieri popolari d’Europa. E di cosa si tratta? Case, e solo case. Discariche architettoniche dove gettare le persone come malta. Architettura penale. Quelli che ci abitano devono essere per forza brave persone, altrimenti avrebbero incendiato questi posti da anni.”
Laidlaw riconobbe l’auto di Bud Lawson. Parcheggiarono dietro di essa e salirono i gradini esterni fino alla porta. I Lawson vivevano al piano terra, la porta a destra. Laidlaw premette il campanello, ma non si udì nessun suono. Guardò McKendrick, premette di nuovo, poi alzò la mano per bussare. La porta si aprì.
“Mi dispiace tanto. Avete suonato? Il campanello è rotto. Fa solo una specie di ronzio. Insisto con mio marito per farlo aggiustare...”
Aveva visto la divisa di McKendrick. Era una donna piccola, con il viso più vecchio del corpo. Il corpo sembrava starle appeso addosso come un vestito di qualcun altro. Mentre parlava del campanello era concentrata sulle scuse, poi la sua attenzione si era spostata su McKendrick con la stessa intensa concentrazione. Laidlaw aveva già visto quel modo di spostare arbitrariamente il punto di vista, sempre in persone che vivevano in ambienti stressanti. Era come se la durezza della loro vita li avesse sopraffatti, scippati, in qualche modo. E così vivevano come in uno stato di concussione.
Ora il motivo della loro presenza si fece strada negli occhi della donna. Non ci fu bisogno di dire nulla. Lei sapeva riconoscere il peggio, perché era abituata ad aspettarselo.
“Oh, mio Dio,” disse. “Lo sapevo. Lo sapevo, lo sapevo. Oh, mio Dio! Cosa le è successo?”
“Signora Lawson?” disse Laidlaw.
“Oh, mio Dio! È successo qualcosa di terribile.”
“Donna. Vieni via dalla strada!”
Bud Lawson si era messo tra loro e la moglie. Alle sue spalle si udivano ancora i mormorii della donna, ma come da dietro una porta chiusa.
“Cosa è successo?”
“Possiamo entrare, signor Lawson?” chiese Laidlaw.
Entrarono nel soggiorno, e McKendrick chiuse la porta. La moglie di Lawson sembrava un pezzo di carta soffiato via dal vento. Alla fine si fermò, inquieta, accanto alla credenza scheggiata, scuotendo la testa verso una statuetta di porcellana che rappresentava una vecchia seduta su una panca. Bud Lawson era in piedi al centro della stanza.
“Mi dispiace, signor Lawson,” disse Laidlaw. “Mi dispiace tanto. Credo che la signora dovrebbe sedersi.”
“Dite quello che siete venuti a dirci.”
“Si tratta di Jennifer, temo. Crediamo di averla trovata. Ma se si tratta davvero di lei... è morta.”
La voce della donna salì e scese, con un suono che McKendrick non riuscì a sopportare. Sulla guancia destra di Bud Lawson si formò un nodo, dovuto alla mascella serrata. Distolse lo sguardo dalla moglie e si voltò a metà verso di loro.
“Come è successo?” chiese.
Laidlaw scosse la testa e si avvicinò alla signora. Lei si lasciò condurre verso una poltrona e si sedette, piangendo. Laidlaw le tenne la mano sulla spalla.
“Come è successo?”
“No, signor Lawson,” disse Laidlaw. “Per prima cosa deve identificarla. Se si tratta davvero di Jennifer, potrà riferire i particolari a sua moglie. Le dirò tutto in macchina.”
Bud Lawson prese la giacca dallo schienale di una sedia e la indossò. Era pronto ad andare.
“Signor Lawson,” disse Laidlaw. “Perché non chiede a una vicina di tenere compagnia a sua moglie?”
Lawson lo fissò, senza comprendere. Laidlaw fece un cenno a McKendrick. L’agente uscì e parlò con una donna nella casa accanto. Lei spiegò la situazione ai propri famigliari e lo seguì subito. Si sedette sul bracciolo della poltrona dove era seduta la signora Lawson, passandole un braccio intorno alle spalle. Quando uscirono stava dicendo: “Sadie, Sadie, oh, Sadie”.
In macchina, McKendrick si sedette dietro. Fissava il collo scavato di Bud Lawson come fosse la superficie di un pianeta sconosciuto.