32.
Le città possono voltarti la schiena proprio come le persone. In piedi nello slargo davanti alla stazione centrale, accanto alla farmacia Boots, Harkness aveva quella sensazione. Era quel momento chiave della serata in cui, se non sei già andato dove volevi andare, se non hai visto chi volevi vedere, la città ti chiude fuori. Tutti sembrano aver già raggiunto uno scopo, e tu resti con l’aria di un vagabondo.
Harkness spostava l’attenzione lungo la strada silenziosa, che ogni tanto si animava al passaggio di qualcuno. Lo superò una coppia con una bambina in mezzo ai due adulti. Ogni pochi passi la sollevavano da terra. Lei pedalava nell’aria e rideva. C’erano quattro taxi al posteggio. Tre autisti erano fuori a chiacchierare. Il quarto era restato in macchina a leggere un giornale ficcandosi le dita nel naso.
Una donna in un lungo abito da sera verde e un uomo in smoking voltarono l’angolo venendo verso di lui. L’uomo stava ridendo in modo misurato, ah, ah, ah. La donna guardò Harkness in un modo che lo irritò, uno sguardo come un tappeto rosso e una faccia che era una carta di credito ambulante. Passò sotto il porticato sudicio della stazione come fosse Scarlett O’Hara nel portico della sua piantagione. Entrarono nel Central Hotel. Doveva esserci un evento. Un convegno di cretini, a giudicare da quei due, pensò Harkness.
Il venditore di giornali non era il solito, e la serata non gli sorrideva. Le ultime copie dell’“Evening Standard” sembravano incollate sotto al braccio. Si vedeva che era impaziente, probabilmente perché voleva un drink e qualcosa da mangiare prima che arrivassero i quotidiani del giorno dopo, verso le undici.
Dall’altra parte della strada si aprì la porta del Corn Exchange e il pub sputò fuori un ometto. Il modo in cui barcollava suggeriva che l’aria fresca non fosse il suo elemento, e Harkness vide subito che aveva superato quello che suo padre definiva il punto di non ritorno. Il suo impeto lo portò al centro della strada, dove un’auto solitaria inchiodò e suonò il clacson. Lui agitò la mano, con un’aria di regalità preoccupata, e continuò, con grande concentrazione, a procedere secondo un complicatissimo schema a zigzag. La strada era come un fiume che solo lui sapeva come guadare, saltando da una pietra all’altra. L’auto ripartì lentamente, e le tre donne che conteneva si voltarono a guardare il piccoletto che guadagnava l’ingresso della stazione.
Harkness smise di seguire l’andatura da granchio dell’uomo e voltandosi vide Laidlaw che attraversava la strada. La differenza tra l’uomo accasciato e depresso che aveva lasciato nella stanza d’albergo e la determinazione della persona che si dirigeva verso di lui era stupefacente, quasi da chirurgia plastica. Laidlaw si fermò dal venditore di giornali. Harkness udì ciò che gli diceva.
“Cercavo il Piccolo Eck, ma non ho avuto fortuna. Digli che voglio vederlo. Domani. Da Wee Mickey’s, all’una e mezzo. Senza scuse. Il messaggio è chiaro?”
Laidlaw posò una mano sui giornali rimanenti.
“Chiarissimo, signore. E anche l’ora.”
Laidlaw gli diede dei soldi, Harkness non riuscì a vedere quanti, e prese tutti i giornali. L’uomo gli fece un saluto militare e si allontanò.
“Chi è questo Piccolo Eck?” chiese Harkness.
“Solo un informatore qualsiasi.”
“Non sembra, visto quanto disturbo ti prendi per trovarlo.”
“Il disturbo lo sta causando lui. Credo che voglia evitarmi, e questo mi stimola. Probabilmente pensa che sia un modo per alzare il prezzo, ma non è così. Allora, che mi dici?”
“Alan McInnes,” rispose Harkness.
Laidlaw ne fu impressionato. Harkness gli disse il resto assaporandolo in piccole frasi staccate, come una telescrivente. “È a un party. Byres Road. Ho l’indirizzo. Dovremmo trovarlo lì.”
“Davvero notevole,” disse Laidlaw. “Oh, sì, lo è. Lo dirò ai tuoi superiori. Prometti bene. Nel frattempo, sei perdonato di tutto. Ripartiamo dal via.”
Harkness annuì. “Allora andiamo,” disse.
“Va bene, ma dammi un paio di minuti. Mi servono degli antibiotici.”
Harkness lo seguì nella stazione. Laidlaw gettò i giornali in un cestino dei rifiuti e si diresse verso la fila dei telefoni, nei loro gusci di truciolato. Ne provò tre prima di trovarne uno funzionante. Harkness si tenne da parte mentre Laidlaw componeva il numero, inseriva le monete e parlava. Su una panchina poco lontano era seduto il piccoletto uscito dal Corn Exchange. Aveva vuotato le tasche sulla panchina e parlava sottovoce alla città. Harkness udiva quasi tutto. “Paga sempre il biglietto. Ecco il segreto. Il mondo non è in debito con te. Ah-ah. È qui da qualche parte. Deve esserci. Biglietti, per favore. Uddingston, stiamo arrivando. In tempo per...”
Poi disse qualcosa che sembrava “The Deckman”. Probabilmente era il nome di un pub, ma se l’uomo aveva perso il biglietto del treno per andarci, forse per lui era un bene. Harkness si voltò a guardare Laidlaw, il quale era piegato in avanti, come per arrivare più vicino all’orecchio della persona con cui parlava. Harkness capì che stava parlando a dei bambini. Lo vide aspettare, mentre uno andava via e ne arrivava al telefono un altro. Lo vide ridere di gusto. Non l’aveva ancora mai visto così vulnerabile. Depresso, mostrava i muscoli. Contento, sembrava indifeso.
Ma dopo la telefonata il suo viso non tradiva nulla.
“Byres Road, allora,” disse soltanto.
Mentre erano in metropolitana, diretti a Hillhead, Harkness chiese: “Quanti figli hai?”.
“Non abbastanza.”
Risero entrambi, ma Laidlaw non fu più preciso. Aveva una reputazione un po’ misteriosa, ricordò Harkness. Milligan definiva casa sua “Il santuario”, perché pochissimi colleghi vi erano mai entrati. Sorprendendo se stesso, Harkness si trovò a difendere mentalmente Laidlaw dal risentimento che aveva udito nel tono di Milligan. Sapeva che se avesse ripetuto la domanda, Laidlaw avrebbe dovuto rispondere. Ma scelse di non farlo, perché la risposta apparentemente casuale che gli aveva dato era una difesa profonda e deliberata. Gli sarebbe piaciuto scoprirne il motivo, ma non era quello il momento. Con un riguardo verso Laidlaw che non sapeva di avere, Harkness allontanò la conversazione anche da una rivelazione così piccola.
“Credi che questa potrebbe essere la conclusione?”
“Potrebbe,” disse Laidlaw. “Ma non lo credo.”
“Perché?”
“Interrogati,” disse Laidlaw. “È probabile? Un tizio così sospettabile come questo non si è fatto avanti per coprirsi. Cosa significa? Secondo me che è spaventato, nel modo più naturale. Conosceva la ragazza. Aveva un appuntamento con lei quella sera. Lui stesso si considera un sospetto. Perciò si nasconde. Non ammette nulla. Ma la colpa è un’altra cosa. Se sei colpevole, cerchi di capire cosa gli altri pensano di te. Giochi le tue carte. Cominci a fare scommesse deliberate. Perché lavori con le probabilità. Questo tizio non ha ancora fatto una mossa. Era così facile trovarlo, eppure non si è mosso. No. Non funziona. Sento puzza di bruciato. Perciò dobbiamo andare dove ci porta l’odore.”
“Potrebbe essere lui. Potrebbe essere così pietrificato da non sapere cosa fare.”
“Ti dico questo: se Alan McInnes è a quel party stasera, non è lui l’assassino. Questa è la mia scommessa. Ma trovarlo è importante. Potrebbe dirci qualcosa di utile.”
In quel delicato equilibrio tra pessimismo, speranza, presunta delusione delle aspettative e la scoperta di possibilità inaspettate, Harkness riconobbe Laidlaw.
Il numero civico che gli aveva dato la cameriera non era quello giusto. Ma ne provarono diversi, e la musica li guidò alla casa. I Led Zeppelin, pensò Harkness. Sulla porta c’era scritto LAWRIE. Bussarono diverse volte prima che qualcuno venisse ad aprire.
Laidlaw mostrò il tesserino e disse: “Siamo della polizia. Possiamo entrare?”.
La ragazza che aveva aperto li fissò, il bicchiere le tremò in mano e per poco non ne rovesciò il contenuto. Era grassottella, e sembrava vestita con delle tende di broccato. Il suo viso largo e pallido era innocente come una lettera alla mamma. Ma era contratto nello sforzo di capire cosa fosse meglio non dire. Mentre cercava ancora la reazione giusta, un ragazzo con i capelli lunghi e una bandana si manifestò vagamente alle sue spalle e scomparve in una stanza in fondo al corridoio, da cui uscivano suoni come di passeggeri su una nave che affonda.
Un attimo dopo si presentò alla porta un giovane dall’aria sbrigativa. La ragazza non aveva ancora terminato le prove di ciò che doveva dire. Il meglio che era riuscita a fare era stato non rovesciare il suo drink.
“Sì? Come posso aiutarvi?”
Harkness fu colpito da due cose: il modo in cui tante persone, colte di sorpresa, si trasformano in commessi di negozio, e il silenzio che si produsse alle spalle del giovane, come se fosse affondato il Titanic. Lui e Laidlaw erano l’iceberg. Laidlaw mostrò di nuovo il tesserino e ripeté la domanda.
“Per quale motivo?” chiese il giovane. Indossava jeans che sembravano essere stati immersi in vari barattoli di vernice e una camicia di garza che il sudore gli appiccicava al petto. Era impaurito ma deciso. Harkness lo trovò simpatico.
“Vogliamo parlare con un ragazzo di nome Alan McInnes,” disse Laidlaw. “È qui?”
La ragazza divenne una spettatrice affascinata. Mancava solo che si mettesse a prendere appunti. Il giovane era nel pieno di una crisi. Era in casa sua, con i suoi ospiti. Stava cercando di ricordare i suoi diritti. Il padre di Harkness avrebbe simpatizzato con il ragazzo, e anche lui ebbe quella reazione.
“Se fosse qui, cosa vorreste da lui?”
Laidlaw scrollò le spalle. “Senti, figliolo,” disse. “Vogliamo solo parlargli. Se non vuoi farci entrare è un tuo diritto. Questa non è un’irruzione. Ma posso farla diventare una retata, se preferisci.”
Pur non avendo scelta, il giovane si prese il suo tempo per decidere. Era un tipo a posto, decise Harkness.
“Immagino sia meglio lasciarvi entrare,” disse alla fine.
Entrarono. La ragazza recuperò l’aplomb sufficiente per chiudere la porta. Passarono davanti a una stanza che emanava odore d’incenso. Quando raggiunsero la sala principale, Harkness si rese conto che la musica era stata abbassata quasi fino a un sussurro. Udì la parola “polizia” bisbigliata da qualche parte.
La festa era diventata la statua di una festa. La città sembrava aver voltato di nuovo le spalle a Harkness. Il senso della scultura era chiarissimo: a nessuno qui piace la polizia. Era parte dell’arte popolare della Scozia occidentale. Harkness avrebbe dovuto saperlo. Suo padre era uno dei curatori.
Sembrava esserci più gente di quanta la stanza potesse contenerne. Per Harkness, le parti erano in qualche modo più della somma. Le esaminò in frammenti. Un ragazzo teneva un braccio intorno alle spalle di una ragazza. Un uomo imponente con la barba, ritto in piedi, sembrava fare le prove per il ruolo di Mosè. Altri se ne stavano seduti, spaparanzati o in piedi, tutti immobili, fissando i due poliziotti. Una ragazza bellissima dai capelli neri si appoggiò contro un muro, un’apparizione uscita da uno dei sogni di Harkness. Da una sigaretta saliva un filo di fumo.
“Loro sono della polizia,” disse il giovane che li aveva fatti entrare, rompendo il silenzio.
“Mi dispiace disturbare la vostra festa,” disse Laidlaw. “Stiamo cercando Alan McInnes. È qui?”
La reazione fu complessa, un misto di sollievo, curiosità e risentimento. Quando una figura si fece avanti, non semplificò le cose.
“Sono io Alan McInnes.”
La ragazza che aveva lasciato sembrava un poster dell’abbandono. Il suo imbarazzo innocente faceva sembrare crudeli i due poliziotti. Alan McInnes era un bel ragazzo. Un po’ troppo pallido, ma forse era dovuto alle circostanze. Laidlaw gli rivolse un cenno amichevole, ma non fu abbastanza per alleviare la tensione. Il disagio trovò un portavoce.
“Un momento! Di cosa si tratta?”
Era l’uomo imponente con la barba. Aveva la camicia aperta fino all’ombelico. Sul petto villoso sfoggiava un medaglione che sarebbe potuto servire da ancora per la Queen Mary. Avanzò al centro della stanza, per fare spazio alla sua idea di se stesso. Si concentrò su Laidlaw.
“Di cosa si tratta?”
Laidlaw mostrò pazienza. “Vogliamo solo che Alan venga con noi e risponda ad alcune domande. Pensiamo che ci possa aiutare. Lui sa di cosa si tratta. Dico bene, figliolo?”
“Credo di sì.”
“Figliolo!” L’uomo attese finché gli echi della sua voce si spensero. “Figliolo? Il paternalismo è il guanto di velluto della repressione.”
Harkness vide Laidlaw rilassarsi e interpretò correttamente il segno. Quell’uomo aveva tradito la causa. Non gli importava nulla di Alan McInnes. Voleva solo far fare bella figura al suo ego. Laidlaw lo ignorò.
“Non ti dispiace venire con noi, vero, figliolo?”
“No.”
“Aspettate!” L’omaccione ci stava provando di nuovo. “Se dovete prendere un ostaggio, prendete me. Io sono contro tutto ciò che voi difendete. Sono un anticonformista. Un hippie. Un anarchico.”
“Io sono un tifoso del Partick Thistle,” ribatté Laidlaw. “Tutti abbiamo i nostri problemi.”
Ci fu qualche risatina. Laidlaw aveva “glasgowizzato” l’evento. Alan McInnes si avvicinò a loro. L’uomo con la barba si rivolse a un teatro vuoto.
“Il capitalismo al lavoro,” disse.
Tutti guardavano Laidlaw. Lui lasciò che il silenzio diventasse un podio.
“Credo di poter dire che Alan sarà di nuovo con voi prima che la serata finisca,” disse alla fine. “Mentre aspettate,” aggiunse, rivolgendosi all’uomo con la barba, “perché non portate fuori un po’ di bottiglie vuote? Avreste lo spazio per fare una vera festa.”
Uscirono. Il giovane dalla camicia di garza li accompagnò alla porta. La ragazza vestita di tende era di nuovo lì, con il bicchiere in equilibrio precario in mano. Stava diventando abbastanza brava, forse poteva trasformarlo in un lavoro.
La metropolitana era silenziosa. Si sedettero in un vagone vuoto, come tre amici che passavano una serata fuori. Forse fu per l’aria non minacciosa di Laidlaw, ma Alan McInnes cominciò spontaneamente a parlare di Jennifer Lawson.
“Avevi un appuntamento con lei sabato sera,” disse Laidlaw.
“Non si è fatta vedere.”
“Perché non ce l’hai detto?”
“Ero spaventato. Ho pensato che forse lei non ne aveva parlato a nessuno. Era un tipo così. Perciò sono stato zitto.”
“Da quanto tempo la conoscevi?”
“Da un mese e mezzo. Forse un po’ di più.”
“Ci sono persone che possono testimoniare dove ti trovavi sabato notte?”
“Sì. Doveva essere un appuntamento a quattro.”
Continuò a parlare, accumulando prove contro l’idea che pensava loro avessero di lui. Una cosa che disse sembrò interessare particolarmente Laidlaw.
“Cosa hai detto?”
“Lei usciva anche con un altro tizio. Solo nelle ultime due settimane. Me l’aveva detto perché voleva essere leale con me. In modo che potessi decidere di andarmene, se volevo. Ma io ho preferito aspettare e sperare. Lei mi piaceva molto.”
“Come si chiamava l’altro?”
“Non me l’ha detto. Era molto chiusa su alcune cose.”
“Sai qualcosa di lui? Qualsiasi cosa.”
“Jennifer era uscita con lui anche in passato, ma suo padre non approvava. Il tizio è cattolico.”
“Qualche idea su lavoro e città di provenienza?”
“No, lei mi ha detto solo questo. Oltre al fatto che lui probabilmente aveva bisogno di lei. Non era sicuro di sé.”
“In che senso?”
“Non lo so. Non mi ha detto altro.”
Lo accompagnarono a piedi da St. Enoch Square alla Divisione centrale. Fuori dalla porta, Laidlaw prese da parte Harkness.
“Portalo dentro tu,” disse. “Tu hai fatto il lavoro, tua è la gloria. Io comunque penso che lui sia a posto. Intanto vado a caccia di un piccolo informatore.” Rivolto a McInnes, disse ad alta voce: “Sta’ tranquillo, Alan. Di’ loro la verità e andrà tutto bene”. Poi di nuovo a Harkness: “Fammi sapere com’è andata. Mi trovi al Burleigh”.
Harkness sentì la serata andare a male un’altra volta. Era gratificato di aver trovato Alan McInnes, ma deluso dal disinteresse di Laidlaw. Seguendolo con lo sguardo, rifletté che Laidlaw era il tipo di poliziotto che sarebbe piaciuto a suo padre.