46.

Ciò che successe dopo colse Harkness di sorpresa. Non solo per la rapidità, ma anche per il modo improvviso in cui comprese la vera natura di ciò in cui erano coinvolti. Quando in seguito ripensò a quel caso, le scene che rivedeva più spesso cominciavano al punto in cui lui e Laidlaw scendevano dall’auto davanti a Poppies.

Harkness aveva creduto che stessero semplicemente tornando da una visita alla signora Bryson. Nulla di diverso da tutte le altre cose che avevano fatto. Ma quella semplice azione, dopo tutte le persone che avevano interrogato, i posti in cui erano stati, le riflessioni, fu come l’ultimo atto di un incantesimo. Usando tutta la loro abilità, avevano richiesto l’accesso a un segreto. Ma Harkness stava per scoprire che il trucco, in una richiesta del genere, era che anche il segreto aveva accesso a te.

La piazzetta era immersa nel buio, se non per le luci del Maverick. Nel bagliore del divertimento degli altri incontrarono uno dei due poliziotti che avevano lasciato lì. Era il più alto dei due che emerse dall’ombra e venne verso di loro. Sullo sfondo delle voci che uscivano dal pub, parlarono come cospiratori.

“Harry Rayburn è uscito, signore. Ma è tornato. Giusto un minuto fa.”

“Dov’è andato?”

“Al Bridgegate. Un edificio destinato alla demolizione, il numero diciassette. Don è rimasto lì di guardia.”

“Ci arriveremo più in fretta a piedi. Tu resta qui con Rayburn. E telefona alla Divisione. Ma prima lasciaci un po’ di vantaggio. Non voglio che il ragazzo si spaventi.”

Le ultime parole le aveva dette correndo. Harkness lo raggiunse. Una donna anziana davanti a loro si voltò e si riparò in un androne. Laidlaw riusciva a parlare correndo. “Sapeva che ci saremmo arrivati... Voleva avvisarlo di fuggire... Mentre ci teneva impegnati a parlare.”

Concentrandosi sul respiro, Harkness pensò che l’ultima parte di Laidlaw a morire sarebbe stata la sua bocca. La gente si fermava a guardarli con fare inquisitorio, con quella speciale idea che a Glasgow tutti hanno dei diritti comuni, come se loro due dovessero fermarsi e dare spiegazioni del perché correvano. Superarono Argyle Street, Stockwell Street e poi tagliarono per il Bridgegate.

La corsa cambiò la sensazione che Harkness aveva di se stesso. Lo mise al di fuori dei propri preconcetti, come spesso fa l’esercizio fisico. La posizione da inchiesta giudiziaria che aveva adottato su quel caso fu penetrata con efficacia. Non si sentiva più una testa pensante da poliziotto. Era un fascio confuso di tensioni e stress, consapevole della fatica che gli costava respirare, delle variazioni dell’asfalto sotto i piedi, della stanchezza che gli irrigidiva le gambe. I suoi preconcetti non erano un progresso. Erano schegge di proiettili che lo colpivano come il fuoco della contraerea. Un’auto fece inversione a U alla fine del Bridgegate. L’altro poliziotto cominciò a correre verso di loro. Qualcuno uscì da un caseggiato in rovina. Qualcun altro si incamminò verso l’edificio dall’altra parte del Bridgegate. Laidlaw gridò: “Ehi, tu! Bud Lawson!”. La figura sul portone scomparve di nuovo dentro l’edificio. Bud Lawson si mise a correre e raggiunse il portone prima di loro. Laidlaw gridò al poliziotto: “Sorveglia la porta!”.

Appena entrarono, la città scomparve. Per Harkness, già frastornato dalla corsa, fu come cadere in un pozzo. Fu sopraffatto da quel cambio improvviso: un odore fetido e quattro uomini che correvano nel buio.

Ormai per respirare gemeva. Laidlaw era davanti a lui. Ogni gradino era come un pugno alle cosce. I polmoni sembravano foderati di spine. Un pezzo di ringhiera si ruppe sotto la sua mano. Tutti e quattro sembravano star scendendo in una spirale, la violenza era nell’aria. Tutto finì all’improvviso, con un incidente grottesco.

Il ragazzo e Bud Lawson avevano raggiunto un pianerottolo, quando dietro di loro le scale crollarono. Ci fu un rumore da spaccare le orecchie. Laidlaw e Harkness si rannicchiarono come sotto il giudizio di Dio. Il rimbalzare delle macerie nella tromba delle scale fece loro capire la profondità della caduta che avevano rischiato. La polvere soffocante si posò su di loro come una benedizione. Tra loro e il pianerottolo c’era un buco nero di circa due metri e mezzo. Anche il pianerottolo era immerso nel buio. Ma loro sapevano cosa sarebbe successo. Prima udirono un guaito, come di un cucciolo in trappola. Poi una voce.

“Troppo tardi, poliziotto. Lui è mio.”

La voce terrorizzò Harkness. Arrivò brutale, dal buio, impossibile da contrastare. Il vuoto tra loro e quella voce sembrava insuperabile. L’estrema stanchezza che Harkness provava non era solo fisica. Si insinuava nel profondo del suo essere per insegnargli il significato della futilità. Aveva pensato che localizzare e isolare chiunque avesse avuto la forza di uccidere in quel modo selvaggio Jennifer Lawson fosse un compito difficile. Ora comprendeva che era impossibile, perché quella forza non era isolata. Si era moltiplicata per creare una forza gemella, quel momento di tremenda brutalità le cui spore erano dentro ciascuno di loro.

“Bud Lawson!” Laidlaw gettò la voce oltre lo spazio, afferrando ciò che si trovava dall’altra parte. “Non toccare quel ragazzo!”

Era una voce atavica, come quella di Lawson. La sua ferocia faceva parte anche di Harkness, proprio come la rabbia di Bud Lawson. Si sentì rinchiuso tra i loro respiri animaleschi. Il patetico piagnucolio del ragazzo era come una supplica contro ciò che anche Harkness era diventato.

“Lo uccido.”

“Se lo fai, io uccido te. Credici.”

Quelle voci erano la stessa terribile forza che parlava con se stessa.

“Per un topo di fogna come questo?”

Era una domanda, comprese Harkness, il suono di qualcosa di umano. Se Lawson avesse avuto la certezza che gridava di avere, il ragazzo sarebbe già morto. Tutto ciò che doveva fare era gettarlo di sotto come spazzatura. Ma era arrivata l’incertezza, e con essa la speranza. Laidlaw provò subito ad ampliarla, trasformandola in dubbio.

“Cosa ti dà il diritto di farlo?”

“Sono il padre!”

“Non la conoscevi nemmeno.”

“Zitto, poliziotto.”

“No. Tu non la conoscevi. Lei ti odiava!”

Il silenzio che seguì spaventò Harkness. Forse significava che Laidlaw aveva fatto male i suoi calcoli. Se era così, il ragazzo sarebbe morto. Ma ciò che venne dal buio fu la voce di Bud Lawson, umanizzata dal dolore.

“Come lo sai?”

“Ho fatto un sacco di domande. Non tutte le risposte vanno contro quel ragazzo. Non prenderti in giro da solo! Lei ti odiava. E aveva ragione. Padre? Padre è qualcosa di più che mettere incinta tua moglie. È più di quello che tu sia mai stato.”

“Io amavo mia figlia!”

“Non è quello che ho sentito. Lei ti mentiva, si nascondeva da te. Non ti dava nessuna fiducia perché tu non ne davi a lei. Non le permettevi di essere se stessa. Hai contribuito a ciò che le è successo.”

“No!”

“Non sei stato tu, ma hai contribuito. E che diritti hai, allora? Che diritto ha chiunque di noi di toccare quel ragazzo?”

“Sta’ zitto!”

“No. Se non puoi sopportare quello che dico, non ascoltare. È quello che hai fatto per tutta la vita. Nasconderti. Sempre. Non potevi affrontare ciò che era tua figlia: un’altra persona, un corpo separato. Una donna, che desiderava degli uomini. Cattolici? Non era con i cattolici che tu ce l’avevi. Odi i cattolici, odi la gente! Non sopportavi che lei avesse qualcun altro all’infuori di te. È di questo che si tratta. Forse eri innamorato di lei?”

“Zitto! Zitto!”

“È solo una domanda. Non so la risposta. E tu? Se la sai, allora uccidi il ragazzo. È lì, è indifeso. E tu sei un duro, vero? Ma ora sai che ti stai nascondendo. Uccidilo! Se non ce la fai a correre il rischio di lasciarlo vivo.”

Ci fu silenzio. Il silenzio crebbe e divenne un urlo terribile e il tonfo di un colpo fortissimo, il rumore di ossa frantumate. Laidlaw saltò dall’altra parte. Il pezzo di ringhiera che aveva afferrato si ruppe, ma tenne abbastanza a lungo da permettergli di aggrapparsi al pianerottolo.

Harkness udì il metallo rimbalzare nella tromba delle scale, misurando la profondità del suo sbalordimento. Poi una voce sorpresa alle sue spalle esclamò: “Gesù Cristo!”. Era un visitatore dal mondo ordinario, un suono da un luogo che a Harkness sembrava lontano mille miglia. Erano arrivati i rinforzi.

Mentre salivano le scale, Harkness chiese una torcia elettrica. Quando la puntò verso il pianerottolo dall’altra parte, disegnò un arbitrario cerchio di luce nel buio totale. Al centro c’era Laidlaw. A sinistra, Tommy Bryson, un bel ragazzo dalla pelle chiara, rannicchiato con i pantaloni celesti bagnati sul davanti: se l’era fatta addosso. A destra di Laidlaw era accasciato Bud Lawson, la mano sinistra che teneva la destra, ridotta a una massa di sangue e ossa sporgenti. Il muro scabro accanto a lui, che era come la cornice di tutto il quadro, era sporco di sangue dove Bud l’aveva colpito con la mano. Laidlaw strinse gli occhi contro la luce improvvisa, la bocca che aveva salvato la vita di un uomo prese una piega irritata per quella intrusione.

Dopo una breve consultazione, ruppero una porta a un piano inferiore e la usarono come ponte per arrivare al pianerottolo. Quando finalmente il gruppetto emerse di nuovo dal portone dentro Glasgow, la torcia che aveva indicato loro la strada illuminò una scritta che nessuno aveva ancora notato, fatta con una penna a sfera:

Arrestate Hampden Park
Chiudeteli tutti all’interno
Lui è l’uomo cancro
Scatenerà lo stesso l’inferno.