Il rukma vimana sorvolava un paesaggio di straordinaria bellezza. Un’ampia foresta si stendeva a perdita d’occhio. Fiumi tortuosi serpeggiavano fra gli alberi e sfociavano in grandi laghi così limpidi che dall’alto potevano quasi scorgerne i fondali.

Sorvolarono immense mandrie di mammut e videro tigri dai denti a sciabola che li seguivano nell’erba alta. Grandi orsi bianchi e bruni si alzarono sulle zampe posteriori al loro passaggio, e stormi di pterosauri si dispersero alla comparsa del vimana.

— Un paesaggio davvero magico — disse William Shakespeare a Palamede. — Forse dovrei riscrivere Sogno di una notte di mezza estate.

Il Cavaliere saraceno annuì, ma poi costrinse il suo amico a voltarsi verso uno degli oblò posteriori. — Neanche questo mondo è privo di difetti — mormorò, indicando il cielo alle loro spalle.

— Abbiamo compagnia — annunciò Scathach, allontanandosi da un finestrino.

— Lo so. — Prometeo indicò uno schermo di vetro incastonato nel pavimento ai suoi piedi. Era cosparso di puntini rossi che si muovevano.

Palamede si guardò intorno. — Questa è una nave da guerra. Non ci sono armi?

L’enorme guerriero dai capelli di fuoco sogghignò dalla postazione di comando; i denti spiccavano candidi sulla barba rossa. — O sì, ce ne sono. Parecchie.

— Temo che ci sia un “ma”, giusto? — mormorò Shakespeare.

Prometeo annuì. — Ma non funzionano. Queste navi sono vecchie. Nessuno – nemmeno Abramo – sa come ripararle. Per la maggior parte ormai servono solo per volare, e ogni giorno ne cade giù qualcuna dal cielo. — Indicò un involto di tela nel sedile al suo fianco. — Perciò forse preferirete armarvi. Mi sono preso la libertà di recuperare le vostre armi dagli anpu.

— Oh, ora sì che sono felice — commentò Scathach, riponendo le sue spade nei foderi che portava sulla schiena.

Saint-Germain e Jeanne erano seduti vicini, con le teste che si toccavano, e guardavano fuori da un oblò. — I vimana guadagnano terreno in fretta — disse la donna. — E sono così tanti che non si riescono neanche a contare.

— La nostra unica consolazione è che soltanto pochi di essi avranno armi attive a bordo — replicò Prometeo.

Palamede aggrottò la fronte. — Quando dici pochi…

— Vuol dire che alcuni saranno armati, sì — chiarì Prometeo.

— Arrivano! — gridò Saint-Germain. — E due hanno lanciato dei missili.

— Sedetevi e allacciatevi le cinture — ordinò l’Antico Signore. Il gruppo corse a sistemarsi alle sue spalle, mentre lui aggiungeva: — Siamo troppo lenti per batterli. I vimana più piccoli sono infinitamente più manovrabili.

— Non puoi darci neanche una buona notizia? — domandò Scathach.

— Sono il pilota migliore di Danu Talis.

La Guerriera sorrise. — Se lo avesse detto chiunque altro, avrei pensato che fosse un pallone gonfiato. Ma non è il tuo caso, zio.

Prometeo le lanciò una rapida occhiata. — Quante volte te lo devo dire… non sono tuo zio.

— Non ancora… — brontolò lei fra i denti.

— Avete tutti le cinture? — domandò l’Antico Signore. Senza aspettare la risposta, fece impennare il vimana ad angolo retto e lo capovolse: il terreno si trovò sopra le loro teste e il cielo sotto di loro. Un attimo dopo lo capovolse di nuovo: cielo e terra tornarono nella loro posizione naturale.

— Sto per vomitare — gemette Scathach.

— Sarebbe alquanto inopportuno, dal momento che sono seduto proprio dietro di te — protestò Shakespeare.

Jeanne tese una mano e strinse quella dell’amica. — Cerca di concentrarti su altre cose.

— Tipo? — Scathach si premette una mano sulla bocca e deglutì.

Jeanne indicò.

L’Ombra guardò davanti a sé e subito ogni traccia di nausea svanì. Di fronte a loro c’erano almeno cento vimana. Per lo più si trattava delle piccole navicelle circolari che avevano visto prima, ma altre erano più grandi e oblunghe. Scathach intravide altri due rukma vimana, e Prometeo gli stava volando incontro.

William Shakespeare cominciò ad allarmarsi. — Non sono mai stato un guerriero, ma… non dovremmo volare nella direzione opposta? — Erano così vicini, ormai, da riuscire a vedere gli anpu che li guardavano con gli occhi spalancati da dentro la navicella più vicina.

— È quello che faremo — replicò Prometeo. — Dopo che i missili saranno esplosi.

— Quali missili?

— I due alle nostre spalle. — Prometeo strattonò i comandi dell’apparecchio, che si impennò e tornò indietro, scambiando di nuovo il cielo con la terra.

Scathach emise un gemito. E i due missili che fino a un attimo prima erano sulla loro scia colpirono i vimana nemici, i quali esplosero in sfere di fuoco. Fiamme e scintille piovvero su altri tre apparecchi, mentre altri due si autodistrussero con uno scontro.

— Meno sette! — annunciò Palamede, con il tono del guerriero che riporta le perdite nemiche al suo comandante.

— Avanti con gli altri novantatré — concluse Saint-Germain, facendo l’occhiolino alla moglie. Jeanne gli prese la mano, la capovolse e indicò la parte interna del polso, dove c’era il tatuaggio di una dozzina di farfalle. Inarcò un sopracciglio sottile in una domanda muta.

— Ho una proposta — gridò Saint-Germain a Prometeo. — Sono un Maestro del Fuoco. Perché non apriamo la porta? Potrei scagliare qualche fulmine…

— Provaci. — Prometeo sbuffò una risata. — Prova a evocare la tua aura.

Il Conte schioccò le dita. Uno dei suoi trucchetti preferiti era usare il dito indice come un fiammifero. Ma non successe nulla. Si strofinò diverse volte le farfalle tatuate sul polso, che erano il suo innesco. Gli uscì solo un ciuffo di fumo nero da sotto l’unghia.

— Il processo che tiene in volo i vimana annulla le aure — spiegò Prometeo. — In effetti, Abramo ritiene che volino attingendo parte del proprio potere dall’aura del pilota.

— Perciò non possiamo usare la nostra aura — concluse Saint-Germain. — Non abbiamo armi, e non possiamo batterli in velocità. Cosa possiamo fare, allora?

— Possiamo batterli nel volo.

Il rukma vimana si calò bruscamente dal cielo. Palamede e il Conte gridarono contenti come se stessero sulle montagne russe, mentre Scathach e Shakespeare strillarono terrorizzati. Solo Jeanne rimase calma e composta.

Dieci vimana si staccarono dalla flotta più grande e li seguirono.

Prometeo portò il rukma vimana a quota molto bassa, ronzando così vicino a terra da decapitare i fiori e appiattire l’erba. Una delle navicelle si avvicinò, e l’anpu al comando preparò un’arma. Prometeo si diresse verso un gruppetto di alberi. Puntò un alberello e, all’ultimo istante, si impennò in modo da piegare il tronco senza spezzarlo. Quando lo ebbero superato, l’alberello scattò all’indietro e investì in pieno il vimana che li inseguiva. Il pilota perse il controllo e la navicella si schiantò.

— Un altro in meno — annunciò Prometeo.

— Bella mossa — commentò Saint-Germain. — Ma dubito che potrai ripeterla.

I nove vimana rimasti li stavano raggiungendo alla svelta.

— Hanno aperto le cupole — riferì il Conte. — Sembra che stiano fissando dei fucili al tetto.

— Tonbogiri — disse l’Antico Signore, schivando i primi colpi con brusche sterzate a destra e a sinistra. — Sparano sfere affilatissime.

Un acuto stridore metallico si levò dal rukma vimana e, con un tonfo pesante, qualcosa scavò un buco nel fianco dell’apparecchio, vicino a Scathach. Una sorta di palla informe rotolò ai piedi della Guerriera.

— Non toccarla! — intimò Prometeo mentre l’Ombra si chinava. — Quelle sfere sono micidiali. Se la raccogliessi, ti trapasserebbe la mano da parte a parte in meno di un secondo.

L’Antico Signore portò il rukma vimana sopra un lago e si abbassò per un attimo sulla superficie, sollevando una schiuma gelida che investì uno degli inseguitori. Confuso, il pilota si staccò dai comandi. Senza controllo, l’apparecchio finì sulla traiettoria del vimana che lo seguiva, proprio mentre quello faceva fuoco. La sfera lo centrò in pieno e l’apparecchio precipitò nel lago.

— Ne mancano solo novantuno — conteggiò Palamede.

Prometeo disegnò un cerchio perfetto nel lago, sollevando l’acqua. Un vimana si affiancò alla nave triangolare e l’anpu puntò il tonbogiri. L’Antico Signore spense i motori e il rukma vimana piombò giù come un sasso. Colpì l’acqua con un’esplosione di schiuma e affondò in una nuvola di bolle. Subito l’acqua cominciò a filtrare dai bordi dei finestrini e delle porte, scrosciando come una rapida dal foro lasciato dal tonbogiri.

Prometeo sibilò per la frustrazione. — Non l’avevo mai fatto prima. Una volta questi affari volavano nello spazio — brontolò fra i denti.

Udirono un tintinnio metallico sul tetto e sollevarono lo sguardo. Attraverso l’acqua, videro l’ombra circolare del vimana che li inseguiva. Un secondo e un terzo apparecchio lo raggiunsero. Le sfere cominciarono a piovere nel lago, in una scia di bollicine, perdendo però presto velocità. Piombavano giù in lente spirali, atterrando sul tetto della nave da guerra con un tonfo lieve, o superandoli per finire sul fondale.

All’improvviso si sentì un piccolo scoppio, e un pannello del pavimento si staccò. Un fiotto di acqua gelida fluì ai piedi di Jeanne. — Stiamo imbarcando acqua!

— Risali! — gridò Palamede. — Dobbiamo risalire prima di diventare troppo pesanti per farlo.

— Tra un minuto — replicò Prometeo. Indicò con il mento lo schermo ai suoi piedi. Due puntini rossi si stavano avvicinando rapidamente.

— Ma ci hanno seguito anche qui sotto? — chiese Saint-Germain.

Prometeo scosse il capo. — Abbiamo risvegliato qualcosa dagli abissi.

— L’hai fatto apposta! — esclamò Scathach. — Ecco perché hai voluto agitare le acque.

— Qualunque cosa sia, si sta avvicinando in fretta… molto in fretta. — Palamede indicò lo schermo. — E non da sola.

— Vedo qualcosa là fuori… qualcosa che si muove nell’acqua — intervenne Saint-Germain, allarmato. — Qualcosa di grande… — Si fermò, per un attimo senza parole. — Con i denti… un sacco di denti…

Prometeo azionò i comandi, e il rukma vimana si issò verso l’alto. Esplose fuori dall’acqua, seguito da due enormi creature simili a squali. La prima si scontrò con le due navicelle circolari, scagliandole lontano; la seconda addentò il terzo vimana spezzandolo quasi in due, per poi trascinarlo sul fondo. Altre tre creature mostruose emersero in superficie, con i denti affilati in bella mostra.

— Squali! — esclamò Scathach.

— Megalodonti — precisò Prometeo, portando il rukma vimana sempre più in alto. L’acqua uscì dagli squarci sui fianchi.

— Erano lunghi almeno dieci metri.

— Lo so — replicò l’Antico Signore. — Probabilmente erano cuccioli.