capitolo quarantasette
— Ho sempre saputo della sua esistenza — continuò Tsagaglalal. Fece un gesto con la mano. — Vieni a sederti accanto a me.
Sophie non ne aveva nessuna voglia.
— Per favore — insistette l’anziana donna, con gentilezza. — Ho creato questo spazio per te e per tuo fratello. Perché pensi che non abbia mai permesso ai giardinieri di accudirlo?
Sophie girò intorno alla radura, poi si lasciò cadere a terra, appoggiò la schiena al tronco di un vecchio melo e distese le gambe davanti a sé. — Io non so più che cosa pensare.
Tsagaglalal non si mosse, gli occhi fissi sul volto della ragazza. Gli unici suoni percepibili erano il ronzio delle api e il rumore del traffico in lontananza.
— Stavo pensando… — cominciò Sophie — … una settimana fa, in questo stesso giorno, servivo il caffè al Coffee Cup e non vedevo l’ora che arrivasse il weekend. Josh mi aveva raggiunto per il pranzo, e ci siamo spartiti un panino e una fetta di torta alle ciliegie. Avevo appena parlato al telefono con la mia amica Elle di New York, ed ero contentissima perché forse sarebbe venuta a San Francisco. La mia più grande preoccupazione era di non riuscire a prendermi abbastanza tempo dal lavoro per stare con lei. — La ragazza guardò Tsagaglalal. — Era solo un giorno come tanti. Un giovedì qualunque.
— E ora? — sussurrò l’anziana donna.
— E ora, una settimana dopo, sono stata risvegliata, ho imparato la magia, sono stata in Francia, in Inghilterra e ritorno senza mai salire su un aereo; e sono preoccupata per la fine del mondo. — Sophie cercò di ridere, ma le uscì una risatina acuta e un po’ isterica.
Tsagaglalal annuì lentamente. — Una settimana fa, Sophie, eri una ragazza. Negli ultimi sette giorni hai vissuto una vita intera. Hai visto molto e fatto molto di più.
— Già. Più di quanto volessi.
— Sei cresciuta e maturata — continuò l’altra, ignorando l’interruzione. — Sei una giovane donna straordinaria, Sophie Newman. Sei forte, accorta e potente… molto, molto potente.
— Preferirei non esserlo! — sbottò Sophie mestamente. Si guardò le mani che teneva posate in grembo, con i palmi rivolti all’insù, la destra sopra la sinistra. Spontaneamente, filamenti argentei si raccolsero fra le pieghe delle sue mani, fluendo fino a formare una piccola pozza di liquido scintillante. Un attimo dopo, il liquido si riassorbì, e un paio di guanti d’argento, prima delicati come seta, poi di cuoio e infine di metallo borchiato le avvolsero le mani, chiudendole come in un guscio. Sophie fletté le dita, e i guanti scomparvero. Solo le unghie rimasero per un attimo simili a specchi d’argento, ma poi tornarono anch’esse alla normalità.
— Non puoi fuggire da ciò che sei, Sophie. Sei l’Argento. E questo significa che hai delle responsabilità… e un destino. La tua sorte è stata decisa millenni fa — proseguì Tsagaglalal, comprensiva. — Osservavo mio marito lavorare con Crono, il quale ha dedicato tutta la vita al dominio del Tempo. Un compito che lo ha quasi annientato, deformando e distorcendone il corpo in centinaia di forme diverse. Lo ha reso una delle più repellenti creature che si siano mai viste… eppure mio marito lo chiamava amico, e io non dubito che Crono avesse a cuore il benessere degli homines e la sopravvivenza di questo Regno d’Ombra.
— Alla Strega non piaceva… — disse Sophie, rabbrividendo quando intravide ai margini della memoria la vera forma di Crono.
Tsagaglalal annuì. — E lui la disprezzava per ciò che lei aveva fatto.
— Che cosa aveva fatto? — chiese subito la ragazza, ma poi i ricordi la raggiunsero così in fretta da provocarle un fremito per tutto il corpo.
Un maglio da guerra che infrangeva un teschio di cristallo in mille pezzi, e poi si abbatteva su un secondo, e su un terzo…
Libri di metallo che colavano metallo fuso dagli scaffali di una biblioteca in macerie, corrosi dall’acido…
Straordinari velivoli di vetro e ceramica, raffinati, bellissimi e complessi, circolari, oblunghi e triangolari, scaraventati giù da una scogliera per affondare nel mare…
Tsagaglalal si sporse in avanti. — La Strega ha distrutto millenni di manufatti dei Signori della Terra, dei Grandi Antichi e degli Arconti: ciò che mio marito definiva “il loro arcano sapere”.
— Era troppo pericoloso — affermò Sophie, esponendo il punto di vista della Strega.
— Questa era l’opinione della Strega. — Il volto dell’anziana donna si fece di una tristezza indescrivibile. — Il tuo amico, l’immortale William Shakespeare, una volta ha scritto che “non esistono il bene e il male, è il pensiero a renderli tali.”
— Sì, nell’Amleto. L’abbiamo studiato l’anno scorso a scuola.
— Sofonia era convinta che l’arcano sapere fosse pericoloso e che ciò ne giustificasse la distruzione. Ma tu devi ricordare che il sapere in sé non è mai pericoloso; è il modo in cui quel sapere viene usato a essere pericoloso — insistette Tsagaglalal. — L’arroganza della Strega ha distrutto millenni di sapere, perciò, quando lei ha avuto bisogno di un favore, Crono glielo ha fatto pagare a caro prezzo. Forse stava perfino cercando di evitare che distruggesse altro, anche se ormai, probabilmente, era troppo tardi. A volte mi chiedo cosa sarebbe successo se oggi avessimo avuto accesso a quel sapere. Forse gli homines non sarebbero arrivati al punto in cui ci troviamo.
Sophie intravide rapidi scorci della tecnologia antica, immagini fugaci di città volanti di vetro, vaste flotte di navi metalliche, velivoli cristallini che solcavano il cielo. E poi le scene si incupirono e vide una città delicata come una gemma che si scioglieva, mentre il profilo spaventoso di un fungo nucleare esplodeva al suo centro. Scosse la testa e trasse un respiro profondo e tremante, strizzando gli occhi per tornare al presente e scacciare quelle immagini. I rumori quotidiani del pomeriggio di San Francisco – il richiamo distante di un’imbarcazione, l’allarme di una macchina, la sirena di un’ambulanza – le si fecero subito incontro. — No. Avremmo distrutto tutto quanto — mormorò.
— Forse… — ribatté Tsagaglalal piano. — La distruzione della Terra e di ogni creatura vivente sulla sua superficie era una possibilità che mio marito e Crono contemplavano ogni giorno. Io li guardavo perlustrare la miriade di fili del tempo alla ricerca di quelli in cui gli homines e questo Regno d’Ombra restavano in vita il più a lungo possibile. Li chiamavano “fili propizi”. Quando ne isolavano uno, facevano tutto ciò che era in loro potere per assicurarsi che avesse l’opportunità di prosperare.
Una brezza che odorava di salsedine e smog frusciò fra gli alberi e i cespugli circostanti. Le foglie sussurrarono sommesse, e Sophie rabbrividì. — Io e Josh eravamo uno di questi fili propizi?
— C’erano un ragazzo e una ragazza, sì. Gemelli, d’oro e d’argento. — Tsagaglalal la guardò. — Mio marito conosceva perfino il tuo nome.
Sophie sfiorò la tavoletta di smeraldo che aveva infilato nella cintura dei jeans. Era indirizzata espressamente a lei.
Tsagaglalal annuì. — Sapeva molte cose di te, ma non tutto. I fili del tempo non sono sempre esatti. Ma Abramo e Crono sapevano senza ombra di dubbio che i gemelli erano fondamentali per la sopravvivenza della razza umana e del mondo. E sapevano per certo che dovevano proteggere una coppia perfetta di gemelli, un Oro e un Argento.
— Io e Josh non siamo perfetti — si affrettò a ribattere Sophie.
— Nessuno lo è. Ma le vostre aure sono pure. Sapevamo che ai gemelli sarebbe servita una vasta conoscenza, perciò Abramo creò il Codice, che conteneva nelle sue poche pagine tutto il sapere del mondo. — Il volto dell’anziana donna si aggrottò per il dolore. — Allora stava già cambiando. Sai che cos’è il Cambiamento?
Sophie stava per negare, ma poi annuì, grazie ai ricordi della Strega. — Una trasformazione. Gli Antichi Signori più anziani si tramutarono in… — Si interruppe, sbattendo forte le palpebre di fronte alle immagini che vedeva con l’occhio della mente. — … in mostri.
— Non tutti, ma la maggior parte sì. Alcune trasformazioni furono molto belle. Mio marito riteneva che il Cambiamento potesse essere una mutazione causata dalle radiazioni solari che agivano su delle cellule incredibilmente invecchiate.
— Tu però non sei cambiata…
— Io non appartengo all’Antica Razza — spiegò Tsagaglalal. — E quando Abramo creò il Codice, manipolò la sua essenza in modo che solo gli homines fossero in grado di usarlo. Il suo solo contatto è veleno per gli Antichi Signori. Una serie di guardiani fu scelta per proteggere il Libro nel corso delle epoche.
— Ed era questo il tuo ruolo?
— No. Altri furono scelti per guardare il Libro — rispose Tsagaglalal. — Io avevo l’incarico di proteggere le tavolette di smeraldo e di vegliare sugli Oro e sugli Argento, e di esserci alla fine, quando avrebbero avuto bisogno di me.
— Tsagaglalal — bisbigliò Sophie. — Colei Che Vigila.
L’anziana donna annuì. — Io sono Colei Che Vigila. Usando il sapere proibito degli Arconti, Abramo mi ha resa immortale. Dovevo vegliare sui gemelli, custodirli e proteggerli. E per vegliare, custodire e proteggere me, mio marito fece lo stesso dono a mio fratello minore.
— Tuo fratello… — ripeté Sophie, stupita.
Di nuovo, Tsagaglalal annuì. Teneva gli occhi fissi verso il cielo. — Insieme abbiamo vissuto su questo pianeta per oltre diecimila anni, e vegliato su intere generazioni della famiglia Newman. Oh, che stirpe! Io e mio fratello abbiamo protetto principi e poveri, padroni e servi. Abbiamo vissuto in tutti i Paesi del mondo, e abbiamo aspettato, aspettato, aspettato… — I suoi occhi si fecero più grandi per le lacrime improvvise. — C’è stato qualche Oro di tanto in tanto, e anche qualche Argento, perfino un paio di coppie di gemelli, ma quelli della profezia non si materializzavano mai, e la mente di mio fratello ha iniziato a crollare sotto il peso degli anni.
— Ma… e i Flamel, allora? Perché cercavano i gemelli?
— È stato un errore, un travisamento. Forse c’entra anche un po’ di arroganza. Il loro ruolo era soltanto quello di custodire il Libro. Ma a un certo punto hanno cominciato a credere che il loro compito fosse quello di trovare i gemelli della leggenda.
Sophie si sentì come se le avessero appena risucchiato via il fiato dal corpo. — Perciò tutto ciò che hanno fatto non… non è valso a nulla.
Tsagaglalal sorrise. — No, non è stato inutile. Tutto ciò che hanno fatto li ha condotti sempre più vicini a questa città, a questa epoca, e a voi. Il loro ruolo non era quello di trovare i gemelli: secondo la profezia, sarebbero stati i gemelli a trovare loro. Il loro ruolo era di proteggerli e condurli da chi poteva risvegliarli.
Sophie si sentiva esplodere il cervello. Era terrificante pensare che tutta la sua vita fin dall’istante della sua nascita era stata prevista diecimila anni prima. Poi fu colta da un pensiero improvviso. — Tuo fratello… dov’è ora?
— La prima volta che andammo in Inghilterra, fu quando venimmo a sapere che Scathach aveva contribuito a mettere un giovane di nome Artù sul trono. Mio fratello si avvicinò molto al ragazzo; Artù fu come un figlio per lui. E quando morì… be’, ne fu distrutto. La sua mente cominciò a frammentarsi, e scoprì di non riuscire più a distinguere il passato dal presente, la realtà dalla fantasia. Si convinse che Artù sarebbe tornato e che avrebbe avuto bisogno di lui. Non lascia l’Inghilterra da allora. Dice di voler morire lì.
— Gilgamesh! — esclamò Sophie.
— Gilgamesh il Re — sussurrò Tsagaglalal. — Anche se in Inghilterra lo conobbero con un altro nome. — Le lacrime scorsero lungo il volto rugoso, e il giardino si riempì del profumo del gelsomino. — L’ho perso, ormai, da così tanto tempo…
— Noi lo abbiamo incontrato — si affrettò a rassicurarla Sophie, sporgendosi a toccarle un braccio; l’aura dell’anziana donna crepitò. — È vivo! È a Londra. — La ragazza strizzò le palpebre per scacciare le lacrime che le erano salite agli occhi, ripensando al vecchio e sudicio senzatetto che avevano incontrato per la prima volta a bordo di un taxi londinese.
Il profumo di gelsomino si inacidì. La voce di Tsagaglalal si fece amara. — Oh, Sophie, lo so che è ancora vivo e che si trova a Londra. Ho degli amici lì che lo tengono d’occhio per me, assicurandosi che non gli manchino mai i soldi e che non soffra la fame. — Ormai stava piangendo, grosse lacrime che le colavano dal mento e cadevano nell’erba, sprigionando boccioli di gelsomino bianco. — Non si ricorda di me — sussurrò. — No, non è vero. Si ricorda di me, ma com’ero diecimila anni fa, giovane e bella. Non mi riconoscerebbe ora.
— Mi ha detto che scrive ogni cosa — disse Sophie. Si asciugò lacrime d’argento dal viso. — E che avrebbe scritto di me, e mi avrebbe ricordato. — Ripensò al vecchio che le aveva mostrato uno spesso fascio di carte, tenuto insieme con dello spago. C’erano brandelli di quaderni, copertine di libri, pezzetti di giornale, menu e tovaglioli dei ristoranti, pergamene, perfino ritagli di cuoio e sottilissimi fogli di rame e corteccia. Erano stati tutti ridotti più o meno alla stessa dimensione, e poi ricoperti di scarabocchi minuscoli.
— Questa immortalità è una maledizione! — esclamò Tsagaglalal all’improvviso, con rabbia. — Amavo mio marito, ma ci sono state delle volte… fin troppe volte… in cui l’ho odiato per quello che ha fatto a me e a mio fratello, e ho maledetto il suo nome.
— Abramo mi ha scritto che avrei maledetto il suo nome, ora e per sempre — confessò Sophie.
— Se mio marito aveva un difetto, era che diceva sempre la verità. E a volte la verità è dura.
Sophie rimase col fiato in gola. Alcuni ricordi della Strega si stavano infiltrando nei suoi pensieri, e riguardavano qualcosa di importante. Si concentrò per interpretarli. — Il processo che ha reso Gilgamesh immortale era difettoso. Ma se la sua immortalità venisse rimossa…
— Che cosa stai ricordando, bambina? Qualcos’altro che sapeva la Strega?
— No, non quello, qualcosa che Gilgamesh ha chiesto a Josh di fare.
— E che cos’era?
— Gli ha fatto promettere che quando tutto questo fosse finito – sempre che fossimo stati ancora vivi – saremmo tornati a Londra con il Codice.
L’anziana donna si accigliò, aggrottando la fronte in rughe profonde. — Perché?
— Gilgamesh ha detto che c’è un incantesimo sulle prime pagine del Codice. — Sophie si concentrò al massimo, sforzandosi di ricordare le parole esatte del Re. — Ha detto che era alle spalle di Abramo e che lo aveva guardato mentre le trascriveva.
Tsagaglalal annuì. — Prometeo e mio fratello erano sempre al fianco di mio marito. Ma che cosa ha visto?
— La formula… le parole che conferiscono l’immortalità — rispose Sophie. — E quando Josh gli ha chiesto a che cosa gli potesse servire, dal momento che era già immortale…
— Per invertirla, usarla al contrario — continuò Tsagaglalal. — Potrebbe funzionare. Mio fratello potrebbe tornare mortale, e potrebbe perfino recuperare la memoria e ricordarsi di me! — esclamò la donna. — Potremmo tornare umani e morire in pace.
— Tornare umani? — chiese Sophie. Si ricordò all’improvviso di una cosa che Tsagaglalal aveva detto poco prima. — Tu non appartieni all’Antica Razza, e non sei un Arconte né altro. Che cosa sei?
— Perché credi che il Codice sia stato creato in modo che gli Antichi Signori non potessero sopportarlo e solo gli umani potessero stringerlo in mano? — replicò Tsagaglalal, con un sorriso mesto. — Io e Gilgamesh siamo umani. Eravamo fra i primi della Prima Gente portata in vita dall’aura di Prometeo, nella Città Senza Nome ai confini del mondo. Ora la Prima Gente non esiste più. Siamo solo io e Gilgamesh. E mi resta una sola cosa da fare.
La ragazza tornò a sedersi con la schiena appoggiata al tronco del melo e incrociò le braccia. Sapeva che cosa la zia stava per offrirle. — Posso rifiutare?
— Sì — rispose Tsagaglalal, cogliendola di sorpresa. — Ma se lo fai, decine di migliaia di persone che sono vissute e morte nel corso del tempo al solo scopo di proteggerti saranno morte invano. Tutti coloro che hanno custodito il Codice, le passate generazioni di gemelli, gli Antichi Signori e i guerrieri di Nuova Generazione che si sono schierati con gli homines… tutti saranno morti invano.
— E il mondo finirà — aggiunse Sophie.
— Sì.
— Tuo marito aveva visto anche questo?
— Non lo so. — Tsagaglalal aveva gli occhi rossi, ma aveva finito le lacrime. — Il Cambiamento si stava impadronendo del suo corpo in quegli ultimi giorni, trasformandolo in oro massiccio. Parlare divenne impossibile. Sono sicura che avrebbe trovato il modo di dirmelo… ma poi Danu Talis fu distrutta nella Battaglia Finale. — Tsagaglalal distolse lo sguardo da Sophie e seguì con gli occhi il volo di un bombo che ronzava intorno alla radura perlustrando le chiazze di terreno dove un attimo prima erano fioriti e subito appassiti i gelsomini. — Abramo e Crono videro molte linee della storia, e ognuna di esse era il risultato di decisioni individuali. Spesso era impossibile capire – tranne che in un senso molto ampio – chi avesse scelto cosa. Ecco perché la profezia originale è così vaga: “Uno per salvare il mondo, uno per distruggerlo”. Non so quale sia tu, Sophie. — Tsagaglalal indicò verso la casa. — C’è un’altra tavoletta nella scatola, ed è indirizzata a tuo fratello.
Sophie rimase a bocca aperta per la rivelazione.
L’anziana donna annuì. — Sì, avrei potuto benissimo essere qui a parlare con Josh in questo momento, mentre Sophie Newman poteva trovarsi al fianco di Dee e Virginia Dare ad Alcatraz. Ma verrà un momento – e presto – in cui tu dovrai scegliere. E la scelta che farai determinerà il futuro del mondo e di innumerevoli Regni d’Ombra. — Tsagaglalal vide l’espressione affranta sul volto di Sophie e si avvicinò a posarle una mano sulla guancia. — Dimentica ciò che sai – o che pensi di sapere – e fidati del tuo istinto. Segui il tuo cuore. Non fidarti di nessuno.
— Ma Josh, allora? Potrò fidarmi di lui?
— Segui il tuo cuore — ripeté Tsagaglalal. — Ora chiudi gli occhi e lascia che io ti insegni la Magia della Terra.