Dischi volanti? — domandò William Shakespeare. Si aggiustò gli occhiali sul naso e sorrise deliziato. — Dischi volanti. — Diede un colpetto di gomito a Palamede. — Te l’avevo detto che esistevano davvero. Te l’avevo detto che esistono più cose in…

— Sono vimana — lo corresse Scathach. — Le leggendarie navi volanti di Danu Talis. — Sollevando un po’ la testa e schermandosi gli occhi con la mano, osservò altre sei navicelle roteanti calarsi rapide dal cielo azzurro e fermarsi ad aleggiare sopra le loro teste. Quattro si calarono a pochissima distanza da terra, ondeggiando appena, come barche sulla superficie di un fiume. C’era un lievissimo tremolio nell’aria, e sull’erba sottostante i veicoli si produsse un sottile strato lucente di brina.

Le cupole di cristallo sulla sommità dei vimana si aprirono e comparvero gli anpu. Alti e muscolosi, con le armature nere solcate di fili d’oro e d’argento e armati di falcetti-spada – i micidiali kopesh – i guerrieri dalla testa di sciacallo presero Marethyu per primo. L’uomo incappucciato non aveva ripreso conoscenza ed era rimasto a terra, scosso da tremiti ogni volta che le scintille bianche e azzurrognole si staccavano dal suo uncino e piovevano nell’erba verde. Tre anpu lo caricarono nel vimana più grande, che si allontanò subito ronzando.

Scathach lo seguì con lo sguardo: il disco d’argento attraversò la città-labirinto, riflettendosi nei canali e gettando ombre sulle strade sottostanti. Lo vide volare verso la gigantesca piramide nel cuore della città e poi atterrare nella corte di un grande palazzo scintillante d’oro e d’argento alle sue spalle.

Poi la Guerriera si voltò verso il gruppetto di anpu rimasti. Aveva già incontrato quelle creature in una ventina di Regni d’Ombra e, sebbene non si fosse mai battuta con loro, conosceva la loro temibile reputazione. Erano guerrieri micidiali… ma l’Ombra lo era di più. Si preparò a combattere. Strofinandosi i palmi delle mani sulle cosce, piegò la testa a destra e manca, di scatto, per allentare i muscoli del collo. Gli anpu avevano commesso un errore madornale: non avevano ancora disarmato il nemico. Scathach aveva ancora le sue spade, i coltelli e il nunchaku. L’esperienza aveva affinato i suoi istinti di combattimento: avrebbe cominciato con l’anpu più vicino, mandandolo a gambe all’aria. E prima ancora che la creatura toccasse terra, l’avrebbe afferrata, fatta roteare e gettata contro i suoi due compagni, mettendoli fuori gioco. Il diversivo sarebbe stato sufficiente perché anche Jeanne e Palamede si gettassero nella mischia, e a quel punto avrebbe lanciato le spade a Saint-Germain e Shakespeare. Tutto sarebbe finito nel giro di pochi minuti. Poi avrebbero requisito un vimana e…

Scathach intercettò lo sguardo di Palamede. — Sarebbe un errore — mormorò il Cavaliere. Poi si voltò e, schermandosi gli occhi con la mano, scrutò la città. — Tu sei insuperabile, Guerriera, ma gli anpu non saranno facili da sconfiggere. Ci saranno feriti. Saint-Germain, forse, oppure Jeanne, sicuramente Will. Sarebbe inaccettabile. E poi, se i padroni degli anpu ci avessero voluti morti, avrebbero potuto ucciderci dal cielo.

Scathach si morse il labbro, con i denti da vampiro. Palamede aveva ragione: se anche uno soltanto dei suoi compagni fosse stato ferito o ucciso, il prezzo della fuga sarebbe stato troppo alto. Mosse la tesa in un cenno di assenso quasi impercettibile, certa che al Cavaliere saraceno non sarebbe sfuggito. — Ci sarà un’altra occasione.

— Sempre — concordò lui.

Gli anpu passarono in mezzo a loro, raccogliendo le armi, e poi li divisero in gruppetti. Il robusto Palamede fu spinto verso un velivolo, mentre Saint-Germain e Shakespeare, più piccoli, furono indirizzati verso un altro. Tre anpu armati scortarono Scathach e Jeanne verso un terzo vimana d’argento.

Scathach salì a bordo per prima, e l’apparecchio si abbassò leggermente sotto il suo peso. L’interno della nave era spoglio, tranne per i quattro sedili lunghi e stretti concepiti per un’anatomia canina. Uno degli anpu, più basso e massiccio degli altri, con il muso sfregiato da una lievissima traccia di cicatrici bianche, indicò un sedile e fece loro cenno di avvicinarsi, senza dire una parola. Scathach cercò di sedersi, ma rischiò di scivolare; scoprì così che era più comodo sdraiarsi. Jeanne seguì il suo esempio, e gli anpu bloccarono entrambe con tre sbarre di metallo.

— Quanto siamo nei guai? — chiese Giovanna d’Arco.

L’anpu col muso sfregiato le scoccò un’occhiataccia, e aprì il lungo muso di sciacallo a mostrare le fauci irte di denti. Si premette un artiglio sulle labbra per ordinarle il silenzio.

— Su una scala da uno a dieci, ci stiamo avviando al dodici — disse Scathach.

L’anpu sfregiato si chinò sulla Guerriera, puntando i grandi occhi neri nei suoi. Una bava vischiosa gli colava dai denti.

— Ma non parlano? — domandò Jeanne.

— Solo quando stanno per attaccare in battaglia — rispose Scatty. — E allora gridano così forte da farti gelare le ossa. Spesso la preda rimane paralizzata dallo shock.

— Che cosa sono?

— Credo che siano una razza in qualche modo affine ai clan Torc. Un altro esperimento degli Antichi Signori finito male.

Infine, rendendosi conto che le due donne non avevano nessuna intenzione di obbedire, l’anpu si allontanò disgustato.

— Sono amici o nemici? — chiese ancora Jeanne.

— Difficile dirlo. Ormai non ci capisco più niente nemmeno io. — Scathach stava fissando il cielo azzurro dritto davanti a sé, attraverso l’apertura sul tetto.

Il vimana si abbassò un poco quando entrarono anche gli altri due grossi guerrieri, e poi una cupola di vetro si chiuse, insonorizzando la navicella. Scathach notò che la cupola era sporca di insetti spiaccicati durante il volo.

— Conoscevano Marethyu, però — disse Jeanne.

— Sembra che tutti sappiano chi sia, tranne noi. Ed è chiaro che è lui il burattinaio dietro tutto questo. Detesto l’idea che siamo stati tutti manipolati — commentò Scatty cupa. — Ti prometto che io e l’uomo con l’uncino ci incontreremo di nuovo. E giuro che gli farò qualche domandina difficile.

Avvertirono una sensazione profonda nelle ossa, come una forte vibrazione, e poi fu come se cadessero verso l’alto, fra i ciuffi di nuvole candide. Le nuvole roteavano e sfrecciavano loro accanto, uniche indicazioni di movimento.

— E se Marethyu scegliesse di non risponderti? — chiese Jeanne. — Hai visto anche tu come i nostri amici canini si siano premurati di metterlo fuori combattimento da lontano. A quanto pare, lo temono; temono i suoi poteri.

— Mi risponderà — replicò Scatty. — So essere molto persuasiva.

— Lo so. — Giovanna d’Arco chiuse gli occhi e trasse un respiro profondo. Ridacchiò, ignorando le occhiatacce degli anpu. — Era da un po’ che non ci capitava una vera avventura. — Sospirò. — Sarà proprio come ai vecchi tempi.

Scathach sorrise. Era sicura che quell’avventura sarebbe stata diversa da tutte le altre. Lei e Jeanne avevano combattuto – da sole o insieme – per salvare regni e imperi, per rimettere principi sul trono ed evitare guerre, ma in quel momento c’era ben altro in ballo. Stando a Marethyu, stavano combattendo non solo per il futuro della razza umana, ma di tutte le razze nella variegata miriade di Regni d’Ombra.

Jeanne si mosse un poco per cercare una posizione comoda. — Quando io e Francis siamo stati in India, l’anno scorso, abbiamo visto immagini di vimana in antichi manoscritti e scolpite nei templi. Francis mi ha detto che ci sono molte storie di navi volanti nella letteratura epica indiana.

— È vero — confermò Scathach. — E spuntano fuori anche nelle leggende egizie e babilonesi. I pochi vimana che non erano su Danu Talis il giorno della Caduta sfuggirono alla distruzione. I miei genitori ne avevano uno, anche se era molto diverso da questo. Quando ho avuto l’età giusta per guidarlo, ormai era vecchissimo ed era stato riparato così tante volte che non somigliava più all’originale. Riusciva a malapena a staccarsi da terra. — La Guerriera scosse la testa, sorridendo al ricordo. — Mio padre una volta mi ha detto che aveva visto il cielo oscurarsi di vimana quando la flotta partì per l’ultima battaglia contro i Signori della Terra…

La voce di Scathach si spense. Parlava raramente dei suoi genitori, e mai di sua spontanea volontà. Si considerava una solitaria, e ormai era una reietta da troppo tempo. Ma aveva una famiglia: una sorella che non vedeva mai nel Regno d’Ombra della Terra, e i genitori e un fratello che vivevano in un lontano Regno d’Ombra costruito a immagine e somiglianza del mondo perduto di Danu Talis. Ora era tornata indietro di diecimila anni, e trovò strano pensare che – in quello stesso istante – i suoi genitori erano vivi e vegeti nella città che scorreva sotto i suoi piedi. Era un pensiero che le toglieva il fiato, quasi come un pugno nello stomaco.

E all’improvviso scoprì di avere voglia di vederli. No, di più. Aveva bisogno di sapere com’erano prima che lei e sua sorella fossero nate. I genitori di Scathach e Aoife si erano inaspriti con la distruzione del loro mondo. Erano cresciuti in un’epoca in cui erano i padroni indiscussi, e tutto ciò era finito il giorno in cui l’isola si era inabissata nel mare. Era stato subito chiaro, perfino nelle ore immediatamente seguenti alla distruzione di Danu Talis, che non ci sarebbero più stati servi e padroni, Grandi Signori e Antichi Signori. Solo superstiti.

Crescendo, Scathach e Aoife si erano rapidamente rese conto che i genitori ce l’avevano con loro, perché erano nate dopo la Caduta. Le gemelle erano state le prime di quella che poi sarebbe stata chiamata “Nuova Generazione”. Molto, molto più tardi, Aoife e Scathach erano giunte alla conclusione che i genitori si vergognavano di loro. Erano state cresciute sapendo che il fratello maggiore, dalla pelle chiarissima e i vivaci capelli rossi, nato su Danu Talis, era il preferito. A differenza loro, era un Antico Signore.

Scathach avvertì un crampo allo stomaco: la nave stava cominciando a calarsi verso la città.

Voleva vederli, anche solo per un momento. Voleva starsene lì a guardare sua madre, suo padre e suo fratello prima della distruzione dell’isola. Perché nel corso dei millenni non li aveva mai visti ridere o sorridere neanche una volta, e quando parlavano degli altri – Antichi Signori inclusi – lo facevano sempre con astio. Quella rabbia aveva trovato sfogo nei corpi, trasformandoli in creature ingobbite, storte e brutte. E, per un solo istante, Scathach voleva vederli quando erano stati giovani e belli. Aveva bisogno di sapere se erano mai stati felici.

Di colpo, divenne buio. Scathach e Jeanne videro il fianco irregolare di una montagna nera comparire sopra di loro e farsi sempre più alto, finché il cielo non si ridusse a un cerchietto azzurro e lontano.

— Ci stiamo infilando dentro qualcosa — disse Scathach, e poi colse un vago odore di zolfo. Inspirò profondamente, cercando di isolare quella scia dalla puzza di cane sporco degli anpu e da quella di metallo dei vimana.

— Anch’io lo sento. — Jeanne scoppiò in una risatina tremante. — Zolfo… mi ricorda Dee.

Il disco volante si fermò e l’anpu sfregiato comparve sopra Scathach. Le agitò il kopesh ricurvo davanti alla faccia, slegandola con la mano sinistra.

La Guerriera scrutò l’arma, con gli occhi socchiusi. Le richiamava alla mente ricordi amari: tanto tempo prima aveva addestrato il faraone-ragazzo Tutankhamon a combattere con due kopesh. Anni dopo, aveva scoperto che era stato sepolto insieme alle lame gemelle che lei gli aveva regalato.

— Scatty… — cominciò Jeanne, con una lieve traccia di panico nella voce. Piegò la testa per guardare la Guerriera che si rialzava. — Dove siamo?

— In una prigione. — Scathach sorrise. — E, come tu sai bene, non esiste al mondo prigione capace di trattenermi.

La cupola del vimana si sollevò. Il tanfo di zolfo era da togliere il fiato. Un’ondata di calore ardente investì le due prigioniere, insieme a un fortissimo rumore di tuono.

— Ho la sensazione che questa non sia una prigione qualunque — gridò Jeanne mentre Scathach veniva spinta verso il bordo dell’apparecchio.

L’anpu la pungolò sulla schiena e l’Ombra si voltò ringhiando, mostrando i denti da vampiro. La creatura si fece subito indietro. Un attimo prima di uscire dall’apparecchio, Scathach abbassò lo sguardo per voltarsi a guardare l’amica; minuscoli puntini di fuoco riflesso le danzavano negli occhi. — Puoi dirlo forte… Siamo nella bocca di un vulcano attivo.