Sophie Newman era nel giardino sul retro, accanto al barbecue, e guardava Prometeo che si occupava del barbecue. L’enorme Antico Signore sorrideva e fischiettava stonato.

— Cosa c’è di tanto divertente? — chiese la ragazza.

— Avresti dovuto vedere la faccia di Marte — rispose Prometeo.

— Voi eravate… siete… nemici? — chiese lei di rimando, e in quello stesso istante, le immagini si misero a danzare nella sua testa.

Marte Ultore e Prometeo, schiena contro schiena, si battevano contro un’orda si guerrieri dalla testa di serpente…

Prometeo, con Marte ferito sulle spalle, si tuffava giù da un ponte in mezzo alle rapide di un torrente…

Marte agguantava al volo una freccia uncinata nell’aria, a un millimetro dalla gola di Prometeo…

— Ora, forse. Un tempo eravamo amici… anzi, più che fratelli.

— E poi cos’è successo?

— È impazzito — disse Prometeo mestamente. — O meglio, la spada lo ha condotto alla pazzia. La stessa spada che ora è nelle mani di tuo fratello.

Sophie guardò in fondo al giardino, dove l’omaccione con il giubbotto di pelle se ne stava tranquillo a bere una limonata rosa con la cannuccia. — Non sembra pazzo, però.

— No, al momento no.

— Perché ti ha aggredito?

— È complicato — replicò Prometeo, scostandosi di scatto per evitare uno schizzo di grasso bollente.

Sophie lanciò un’occhiata alle salsicce e agli hamburger sfrigolanti, poi distolse subito lo sguardo con una stretta allo stomaco. Da dopo il Risveglio, aveva sviluppato una vera avversione per la carne. — Quanto complicato?

— Be’, Marte ha sposato mia sorella, Sofonia, diventando mio cognato. Ma quando la spada lo ha fatto impazzire, io ho aiutato mia sorella a catturarlo e a intrappolarlo in un guscio fatto con la sua stessa aura indurita. Poi lei lo ha sepolto nelle profondità della terra, e nel corso dei secoli la città di Parigi è sorta sopra la sua testa.

— Sophie? — Zia Agnes era comparsa sulla soglia della cucina, con un vassoio.

— Un minuto, zia…

— Subito, Sophie — insistette Tsagaglalal.

— Ti chiedo scusa. — Sophie attraversò il patio.

Tsagaglalal le consegnò il vassoio, con sopra delle fette di sushi. — Vuoi aiutarmi a servire i nostri ospiti? Saranno affamati.

— Zia… Tsagaglalal — cominciò Sophie, confusa. — Cosa stiamo facendo?

— Sfamiamo i nostri ospiti — replicò l’anziana donna, con un sorriso.

— Ma sono nemici mortali.

— Sanno che devono mettere da parte le animosità in mia presenza. È una tradizione. — Gli angoli degli occhi grigi di Tsagaglalal si corrugarono per il divertimento. — Sta andando tutto come deve andare. Ora aiutami a distribuire da mangiare, mentre aspettiamo che Nicholas e Perenelle ci raggiungano.

Attraversarono il patio e raggiunsero il muretto di pietra dove se ne stava appoggiato Marte.

L’Antico Signore raddrizzò subito la schiena e mise giù la limonata. — Maestra — disse, con un profondo inchino. I suoi occhi azzurri si riempirono di lacrime. — Pensavo di non rivederla mai più.

L’anziana donna posò il palmo della mano sulla sua guancia. — Marte, amico mio. È bello rivederti. E ti trovo bene. Sei dimagrito. Stai meglio. Come sta Sofonia?

— Sta bene, credo — rispose Marte, cauto. — Noi non… non abbiamo parlato molto. Ha parlato lei e io ho ascoltato, mentre mi diceva che cosa dovevo fare. — L’Antico Signore sorrise. — Proprio come ai vecchi tempi. Poi mi ha spedito qui a cercare Dee, ma prima mi ha detto di passare da lei. Ha detto che lei aveva qualcosa per me.

Tsagaglalal confermò con un cenno. — È così, infatti. Te lo darò fra un momento, ma prima voglio presentarti…

— Ci siamo già conosciuti — la interruppe Sophie, gelida. Ricordava la creatura nelle catacombe di Parigi. — Marte Ultore, un tempo noto anche come Ares, Nergal e Huitzilopochtli. — Guardò la zia. — È stato lui a risvegliare Josh a Parigi.

— Lo so. — Tsagaglalal le dette un colpetto rassicurante sul braccio. — Sophie, non giudicarlo dai ricordi della Strega, o da quello che è stato costretto a fare a Parigi. Quando Danu Talis è caduta, Marte è rimasto fino all’ultimo e ha condotto migliaia di schiavi homines in salvo. È stato fra gli ultimi a lasciare l’isola.

Sophie guardò di nuovo Marte. — La Strega ti ricorda come un mostro.

— È vero. Lo sono stato — ammise Marte. — Ma Clarent mi aveva avvelenato, cambiando la mia natura. E ora è tuo fratello ad avere la spada. Se non riuscirai a separarli, cambierà anche lui.

— Gliela porterò via — replicò Sophie, ma la sua voce tremò. — So dove si trova.

— È ad Alcatraz. — Marte annuì. — Io e lui siamo legati, ricorda. — Gettò indietro la testa e chiuse gli occhi, con le narici dilatate a inalare un respiro profondo. — Riesco a sentire il suo odore e quello di chi è con lui: Dee e Machiavelli, un’immortale che profuma di salvia…

— Virginia Dare — lo informò Tsagaglalal.

L’uno dopo l’altro, Odino, Hel e Black Hawk attraversarono il cortile e si raccolsero intorno a Marte Ultore.

— … e un altro, un giovane uomo, che sa di pepe di cayenna.

— È il mio amico Billy the Kid — chiarì Black Hawk.

— Sicuro che l’inglese sia sull’isola? — chiese Odino, con voce roca, pronunciando ogni parola con un certo sforzo.

— Sì. — Marte inspirò un’altra boccata d’aria. — E c’è qualcun altro. — Il suo volto si contorse in una smorfia di disgusto. — Ah, il tanfo di Nereo.

Prometeo si allontanò dal barbecue con due vassoi, uno carico di hamburger, l’altro di salsicce infilzate su degli spiedini.

Sophie notò che Marte si irrigidì quando lo vide avvicinarsi. Poi vide che Tsagaglalal lo prendeva per un braccio. L’anziana donna abbassò la voce, ma la ragazza colse lo stesso le sue parole: — Sei ospite in casa mia. Voglio che ti comporti bene.

— Ma certo, maestra — mormorò Marte. Salutò Prometeo con un cenno del mento, e l’altro ricambiò con un sorriso. — Che hai fatto ai capelli?

— Sono invecchiato — rispose Prometeo. — A differenza tua, vedo. — Porse i due vassoi di cibo ai presenti e tutti scossero la testa, tranne Marte e Hel. Marte sollevò una delle salsicce, ne inspirò il profumo e l’addentò quasi con grazia. — Il primo cibo vero che assaggio da millenni.

Hel sporse la testa e aprì la bocca. Una lunga lingua nera scattò, si avvolse intorno a un hamburger e si ritrasse. Azzannò la carne in un solo boccone, e il sugo si mescolò ai fluidi neri che le scorrevano sul mento. La creatura sorrise a Sophie. — Io non sono vegetariana.

— L’avevo intuito — commentò la ragazza, distogliendo lo sguardo e ricacciando indietro il groppo acido che le era salito in gola dallo stomaco.

— Li ho cotti al sangue apposta per te — disse Prometeo.

— Te ne sei ricordato — gracchiò Hel.

— Be’, se ci pensi bene, l’ultima volta che ci siamo incontrati avevi tutte le intenzioni di mangiarmi.

— Prima però ti avrei cucinato.

Odino prese una porzione di sushi, staccò il salmone e appallottolò il riso in un tovagliolo.

Black Hawk ringraziò con un cenno, scrutando il vassoio. — Il tonno è piccante?

Sophie annuì. — Mi pare di sì.

— Allora preferisco il salmone. Non vado d’accordo con il cibo piccante.

Niten comparve con altri due vassoi di sushi. — Appena fatto — annunciò. — Ho tagliato del sashimi per te — disse rivolto a Odino, e indicò le fettine di pesce bianche e rosse. — Tonno e salmone. — Poi guardò Black Hawk. — E involtini di cetrioli e tonno per te. Senza spezie.

Il nativo americano gli rivolse un sorriso. — Hai una buona memoria.

Sophie guardò i due immortali. Trovava ancora incredibile l’idea che si conoscessero già. — Come vi siete incontrati?

— Oh, è stato più di centotrenta anni fa — rispose Niten.

Black Hawk annuì. — Poco dopo la battaglia di Greasy Grass, nel 1876.

— Che giornata — mormorò Niten. — Degna di un vero guerriero.

Sophie prese uno dei vassoi di carne e lo offrì a Hel.

L’Antica Signora annuì con gratitudine e agguantò due hamburger con le mani, prima di risucchiarne un terzo con la lingua. — Abbiamo attraversato diverse porte d’energia per arrivare qui — spiegò con la bocca piena di carne quasi cruda. — E sapete com’è… stimolano l’appetito.

Sophie si allontanò dal gruppo e si diresse verso la casa, reggendo il vassoio vuoto. Si fermò sulla soglia a guardarli da lontano, a un tratto colpita dall’assurdità della scena. Niten parlava con Black Hawk; Marte Ultore e Prometeo confabulavano assorti; Odino e Hel ascoltavano attentamente Tsagaglalal. Sembrava un normalissimo barbecue, con il cibo, le bevande e i profumi della cucina nell’aria. Eppure alcune di quelle creature avevano più di diecimila anni ed erano tutto fuorché umane.

— Forse è un sogno — mormorò. — E sto per svegliarmi.

— Direi più un incubo — disse piano una voce di donna. — Da cui è impossibile svegliarsi.

Sophie si voltò e vide che Nicholas e Perry erano finalmente arrivati.

— È bello rivederti, Sophie — disse l’Alchimista. — E Perenelle mi dice che ti devo molto. Mi hai aiutato a tornare in vita.

Sophie annuì, imbarazzata. — Sono stata… felice di poter essere d’aiuto. — Con un cenno della testa, indicò alle proprie spalle. — Stavo solo pensando a quanto è strano il nostro gruppetto di ospiti. Odino e Hel sono nemici, Prometeo e Marte non si parlavano da millenni, e non avevo idea che Niten e Black Hawk si conoscessero.

Nicholas Flamel sorrise. — E la cosa più strana di tutte è che si stanno parlando come persone civili anziché saltarsi reciprocamente alla gola.

— Come mai? — chiese Sophie. Notò che l’Alchimista indossava una delle camicie di suo padre e un paio dei suoi pantaloni sportivi, mentre Perenelle portava dei jeans e una camicetta a maniche lunghe con il colletto alla coreana, che aveva tutta l’aria di appartenere a sua madre. Provò un vago moto di rabbia verso zia Agnes – no, verso Tsagaglalal – che aveva dato via senza farsi problemi i vestiti dei suoi genitori.

Lentamente, il gruppo si accorse di Nicholas e Perenelle sulla soglia della cucina, e la conversazione si spense. Tutti si voltarono a guardarli.

Nicholas accettò un bicchiere d’acqua da Perenelle e lo sollevò in segno di saluto. — Non ho mai creduto alle coincidenze — disse, uscendo in giardino. — Perciò sono costretto a credere che siate tutti qui per una ragione.

— È così — intervenne Tsagaglalal. — E se volete sedervi, vi dirò io quale.

— Perciò questa riunione straordinaria non è stata casuale? — chiese Prometeo.

— Direi proprio di no — rispose l’anziana donna. — Mio marito e Crono la predissero diecimila anni fa. Anzi, Abramo mi ha lasciato qualcosa per voi. — Tsagaglalal aprì una scatola di cartone posata sul tavolo e tolse un po’ di paglia di imbottitura. — Proteggo questo tavolette di smeraldo da tutta la vita — disse, e cominciò a tirare fuori delle pietre verdi, piatte e rettangolari, e a consegnarle agli altri. — Prometeo, questa è per te. Niten, questa è la tua…

— Che cosa sono? — domandò Sophie.

— Lettere dal passato — rispose Tsagaglalal. — Mio marito le ha scritte diecimila anni fa.

— E sapeva che tutte queste persone sarebbero state qui? — replicò Sophie, incredula.

L’anziana donna si voltò e annuì. — Proprio così. — Poi tirò fuori un’ultima tavoletta di smeraldo dalla scatola e gliela porse. — E sapeva che pure tu saresti stata qui, Sophie Newman.