— È ora. — Perenelle si scansò le mani dal viso. Aveva gli occhi lucidi di lacrime color latte. Altre lacrime le rigavano le guance. — Prometeo, Niten… Potete lasciarci sole, per favore?

L’Antico Signore e l’immortale si scambiarono uno sguardo, fecero un cenno di assenso e uscirono senza dire una parola, lasciando Perenelle, Tsagaglalal e Sophie intorno al letto.

Sophie guardò Nicholas. L’Alchimista sembrava sereno; anche se gli ultimi giorni avevano inciso profonde rughe sul suo volto, alcune di esse si erano appianate, tanto da lasciare intravedere il bell’uomo che era stato un tempo. La ragazza deglutì. Flamel le era sempre piaciuto, e sapeva che nelle settimane in cui Josh aveva lavorato con lui alla libreria, i due erano diventati amici. Forse per via delle frequenti assenze dei loro genitori, le figure autorevoli come insegnanti e allenatori avevano sempre attirato Josh. Sophie sapeva che suo fratello aveva avuto una vera ammirazione per Nicholas Flamel.

Perenelle si portò al capezzale del marito. Lo scacciaspiriti azzurro e oro che pendeva alle sue spalle le circondò la testa come un’aureola di luce. — Tsagaglalal, Sophie, so di non avere il diritto di chiedervelo. — L’accento francese dell’immortale era molto pronunciato, e i suoi occhi scintillavano liquidi. — Ma ho bisogno del vostro aiuto.

Tsagaglalal chinò il capo. — Farò qualunque cosa.

Sophie esitò un poco prima di rispondere. Non sapeva cosa Perenelle volesse, ma intuiva che c’entrava in qualche modo la salma di Flamel. Non aveva mai visto un cadavere prima di allora, e al pensiero di toccarlo le si stringeva lo stomaco. Alzò lo sguardo, e vide che le due donne la guardavano.

— Non posso… cioè… che cosa vuole che faccia? L’aiuterò, certo. Ma non posso occuparmi del corpo. Non riuscirei a toccare un… cioè…

— No, non è niente del genere — la rassicurò Perenelle. Accarezzò delicatamente la testa del marito, e qualche filo d’argento dei suoi capelli le rimase fra le dita. Sorrise. — E poi Nicholas non è morto. Non ancora.

Turbata, Sophie guardò di nuovo l’Alchimista. Aveva pensato che si fosse spento nel sonno. Ma in quel momento, scrutandolo bene, vide che la gola pulsava ancora, anche se in modo irregolare. Strinse gli occhi e si concentrò sui propri sensi risvegliati. Ascoltando con attenzione, udiva perfino il battito – lento, molto lento – del suo cuore. L’Alchimista era vivo, ma ancora per quanto? Sophie aprì gli occhi e guardò la Fattucchiera. — Cosa vuole che faccia?

Perenelle annuì con gratitudine. Allargò le dita e le posò sulle tempie del marito. — Quando ero bambina, incontrai un uomo incappucciato, con gli occhi azzurri e un uncino di metallo al posto della mano sinistra… — iniziò, con sguardo lontano e sognante.

Tsagaglalal rimase a bocca aperta. — Hai incontrato Morte! Non lo sapevo.

La Fattucchiera fece un sorriso mesto. — Lo conoscevi?

L’anziana donna annuì. — Lo incontrai a Danu Talis, prima della Caduta… e poi di nuovo, alla fine. Abramo lo conosceva.

Sophie si voltò a guardare Tsagaglalal. Sua zia aveva appena detto di essere stata a Danu Talis? Ma quanti anni aveva? Frammenti di immagini e ricordi le balenarono nella mente…

Una bella donna dagli occhi grigi che stringeva fra le mani un libro di metallo, correndo su per le scale infinite di una piramide altissima. Delle sagome la oltrepassavano rapide, umane e non umane, mostruose e bestiali, tutte in fuga dalle saette di energia grezza che danzavano nel cielo. Una figura avvolta nelle tenebre comparve in cima alla piramide, un uomo con un uncino luccicante al posto della mano sinistra, da cui colava un pallido fuoco azzurro…

La voce di Perenelle interruppe i ricordi e riportò Sophie al presente. — Avevo sei anni quando mia nonna mi portò a conoscere l’uomo incappucciato. — Lievi volute dell’aura color ghiaccio di Perenelle si staccarono dalla sua pelle per avvolgersi intorno al corpo, come una veste candida. — In una grotta costellata di cristalli, sulle coste della Baia di Douarnenez, quell’uomo mi parlò del mio futuro. E mi parlò di un mondo, un mondo indescrivibile, un mondo magico, pieno di sogni e meraviglie.

— Un Regno d’Ombra? — bisbigliò Sophie.

— Per molto tempo ho creduto di sì, ma ora so che stava descrivendo il nostro mondo così com’è oggi. — Perenelle scosse la testa e cambiò lingua, passando prima al francese e poi al bretone della sua infanzia lontana. — L’uomo con l’uncino mi disse che avrei incontrato l’uomo della mia vita e che sarei diventata immortale.

— Nicholas Flamel! — esclamò Sophie, guardando di nuovo il corpo disteso e immobile nel letto.

— Ero molto giovane — continuò Perenelle, come se la ragazza non avesse parlato. — E anche se quella era un’epoca in cui credevamo nella magia – ricordate, eravamo agli inizi del Quattordicesimo secolo – sapevo bene che nessuno vive per sempre. Pensai che quell’uomo fosse un pazzo o uno sciocco… ma a quel tempo rispettavamo e ascoltavamo quelli come lui, prestavamo attenzione alle loro profezie. Secoli più tardi, seppi il suo nome: Marethyu.

— Morte — disse di nuovo Tsagaglalal.

— Predisse che quando sarei stata poco più di una bambina avrei sposato…

— Nicholas — mormorò Sophie.

— No — disse Perenelle, sorprendendo la ragazza. — Nicholas non è stato il mio primo marito. C’è stato un altro uomo, un nobile di basso rango. Morì poco dopo il matrimonio, lasciandomi vedova e benestante. Avrei potuto scegliere fra molti pretendenti, ma andai a Parigi e mi innamorai di uno scrivano di dieci anni più giovane di me. La prima volta che vidi Nicholas, ricordai che Marethyu aveva detto che la mia vita sarebbe stata piena di libri e di scrittura. E capii che quella profezia si stava avverando.

La temperatura della stanza si era abbassata di colpo, diventando prima fresca e poi fredda. Il fiato di Sophie usciva in nuvolette dalle labbra, e la ragazza resistette all’impulso di scaldarsi le mani. L’aura della Fattucchiera continuava a divampare, raccogliendosi alle sue spalle come due grandi ali bianche. Sophie si accorse che anche la propria aura aveva iniziato a crepitare e a scorrere sulla pelle e, quando guardò Tsagaglalal, scoprì che i suoi lineamenti erano confusi dietro un pallido velo di energia. Come la Fattucchiera, l’anziana donna era avvolta in una veste bianca, e quando Sophie abbassò lo sguardo, rimase stupita nel vedere che pure lei era racchiusa in una lunga veste d’argento dal collo fino alle caviglie, le mani inghiottite dentro le lunghe maniche gonfie.

— Marethyu… avevo quasi dimenticato l’esistenza di quell’uomo, finché un giorno non si presentò nella nostra bottega — continuò Perenelle. Teneva le mani premute sulle tempie del marito mentre parlava; sottilissime volute di aura verde si levavano dalla pelle di Flamel, per poi esplodere come bolle nell’aria. — Era un mercoledì – lo ricordo come se fosse ieri – perché era l’unico giorno della settimana in cui lasciavo Nicholas da solo in bottega. Non dubito che Marethyu avesse scelto quel giorno apposta. Tornai a casa e trovai la bottega chiusa, anche se era pomeriggio e il sole non era ancora tramontato. Nicholas era sul retro. La stanza divampava di luce: c’erano candele ovunque, di ogni forma e dimensione. Ne aveva disposte una dozzina su un tavolo, intorno a un piccolo oggetto metallico rettangolare. Era il Codice, il Libro di Abramo il Mago, e la luce si rifletteva sulla copertina come un sole in miniatura. Prima ancora che Nicholas me ne parlasse, seppi cos’era. Non l’avevo mai visto prima, ma sapevo che aspetto aveva.

— Marethyu — disse Tsagaglalal, annuendo. Le lacrime scorrevano sulle sue guance rugose. — Ce l’aveva lui.

— Come lo sai? — bisbigliò Sophie, anche se la risposta a quella domanda si stava già formando nella sua mente.

— Perché gliel’ho consegnato io — replicò Tsagaglalal, e la sua aura per un attimo brillò ancora più forte.

Fu allora che il ricordo colpì Sophie come una raffica di vento.

Il cielo squarciato di lampi, la terra che eruttava fuoco, le grandi lastre della piramide che si spezzavano… e la giovane donna dagli occhi grigi che consegnava un libro rilegato in metallo all’uomo con l’uncino, con un gesto brusco…

Sophie barcollò un poco e le immagini svanirono.

La stanza era gelida e una sottile patina di brina scintillante si stava spandendo su ogni cosa. Parte dell’aura di Perenelle si era riversata sul pavimento, gonfiandosi come nebbia, mentre il resto pulsava sotto forma di grandi ali bianche alle sue spalle. Alcune volute sottili scorsero lungo le sue mani e si avvilupparono alle dita, per poi strisciare sul cranio di Nicholas contorcendosi come vermi.

— Ero una bambina quando Marethyu mi disse che io e mio marito saremmo diventati i guardiani di un libro rilegato in metallo. Saremmo stati gli ultimi di una lunga serie di esseri umani che avevano protetto quell’oggetto prezioso. Disse che il libro conteneva tutto il sapere del mondo… ma, la prima volta che lo vidi, pensai che non potesse essere vero. C’erano così poche pagine. Come si poteva contenere tutto il sapere del mondo in sole ventidue pagine? Solo molto più tardi io e Nicholas cominciammo a scoprire i segreti del Codice e il suo testo mutevole.

— Non riuscivate a leggerlo? — domandò Sophie, e non si stupì neanche un po’ quando si accorse di avere usato la stessa lingua di Perenelle.

— No. Capimmo la natura del Codice oltre vent’anni più tardi. — La pelle della Fattucchiera pulsava di luce bianca come ghiaccio. Una delicata rete di venature rosa si vedeva sul dorso delle sue mani, e la luce si era raccolta nei suoi occhi verdi, privandoli del loro colore, facendoli apparire ciechi. — Alla fine, tutto ciò che Marethyu ci aveva detto si è avverato… — Liberò un sospiro, che si diffuse come un ampio pennacchio nell’aria gelida. — C’è solo un’ultima profezia.

— Dicci qual è, Fattucchiera. — L’aura avvolgeva ormai del tutto Tsagaglalal, formando una veste vagamente egizia. Sotto quella pelle rugosa, Sophie colse un barlume della bellissima e giovane donna che un tempo era stata.

— Marethyu mi disse che sarebbe giunto un giorno – in un futuro lontano, in una terra ancora innominata – in cui io e mio marito saremmo stati vicini alla morte. — Perenelle parlava con una voce lieve e priva di emozioni, ma aveva le guance bagnate di lacrime. — Nicholas sarebbe morto per primo, e poi, due giorni dopo, anch’io sarei morta.

Sophie strizzò le palpebre, e lacrime d’argento scorsero sul suo viso. Non riusciva neanche a immaginare come potesse essere vivere conoscendo la propria morte. Era terrificante o liberatorio?

— Marethyu mi chiese che cosa avrei fatto se avessi potuto tenere in vita mio marito per un altro giorno ancora. E io risposi…

— Qualunque cosa. Tutto — bisbigliò Sophie, senza accorgersi di averlo detto ad alta voce.

— Qualunque cosa. Tutto — confermò Perenelle. — Senza la pozione dell’immortalità, mi restano forse due giorni da vivere. — La sua aura si fece più luminosa, le ali più piene, con le punte che sfioravano il soffitto. — Marethyu disse che non avrei potuto salvare il mio caro Nicholas, ma avrei potuto donargli un giorno in più di vita… se gli avessi ceduto uno dei miei.

La ragazza sussultò, a bocca aperta.

— Tu faresti la stessa cosa per il tuo gemello — disse Perenelle, senza esitazione.

Sophie fu scossa da un brivido lungo la schiena. L’amore valeva tutto… qualunque cosa.

La Fattucchiera guardò prima lei, poi Tsagaglalal, poi di nuovo la ragazza. — Ho bisogno dell’aiuto di entrambe voi per trasferire una parte della mia aura in Nicholas.

— E come? — domandò Sophie, con un soffio di fiato.

— Ho bisogno che mi prestiate la vostra aura.