Cinque anpu enormi scortarono l’uomo con l’uncino attraverso le sale di marmo e oro del Palazzo del Sole. I corridoi solitamente pieni di animazione erano stati sgombrati, e sentinelle anpu armate facevano la guardia alle porte, talvolta tenendo al guinzaglio cani molto simili a loro. Candele e incensi aromatizzati ardevano a intervalli regolari lungo le pareti, ma i loro profumi dolci erano soffocati dal pesante fetore muschiato degli anpu.

Marethyu era tenuto legato in catene di pietra infrangibili, una per ciascun polso, una intorno alla vita e altre due alle caviglie. Le guardie reggevano una catena a testa, chiudendolo all’interno di un cerchio. Il prigioniero era stato spogliato del mantello, che uno degli anpu teneva drappeggiato su un braccio, e indossava solo una cotta di maglia a maniche lunghe che lo copriva dal collo alla vita e un paio di jeans sporchi e strappati; punte di metallo luccicavano sugli anfibi logori e consumati. Lunghi capelli biondi e sporchi gli ricadevano sulle spalle, e una frangetta tagliata male pioveva sopra i suoi occhi azzurri e inquietanti; una ruvida barba grigio-bianca gli copriva le guance e il mento. Addentrandosi nel palazzo, Marethyu continuava a spostare la testa, avanti e indietro, con le labbra che si muovevano mentre traduceva i glifi sugli antichi pannelli alle pareti o decifrava la rozza scrittura ogham che decorava i plinti delle statue di vetro e di metallo lungo il corridoio.

Gli anpu lo condussero fino a una porta alta e stretta a due battenti. Non diedero segno di voler bussare o entrare.

Nonostante le catene, l’uomo con l’uncino si sporse in avanti per esaminare la porta. Due grandi lastre in argento e oro chiudevano la soglia, levigate a specchio. Sopra, un alto stipite d’oro massiccio era scolpito in migliaia di glifi squadrati, ciascuno dei quali racchiudeva un volto umano, animale o mostruoso. Diversi glifi erano vuoti, o completati a metà. Ma al centro dello stipite c’era un riquadro più grande degli altri, che mostrava una dettagliata incisione di una mezzaluna… o di un uncino.

Marethyu diede uno strattone con la mano sinistra, facendo quasi cadere l’anpu che teneva la catena, per confrontare il proprio uncino con l’incisione. Erano quasi identici. Socchiudendo gli occhi, tradusse scrupolosamente i glifi che circondavano l’immagine dell’uncino.

— Curioso, vero? — Una voce potente riecheggiò nel corridoio.

I battenti della porta si dischiusero e un vapore bianco e profumato scivolò lungo il pavimento, spandendo il profumo intenso e stucchevole dell’incenso. La creatura che aveva parlato rimase nascosta finché i battenti non si aprirono del tutto e una luce bianca e cruda divampò dall’interno. Incorniciata nella soglia c’era una figura slanciata, di un’altezza innaturale. La luce bianca scorreva come un liquido lungo la sua veste di metallo bianca, munita di cappuccio. — Trovai questa porta fra le rovine di una città dei Signori della Terra, al centro di una lontana palude, a sud. La palude aveva inghiottito quasi tutta la città, ma la porta era immacolata, come nuova. Ha diecimila anni… o forse dieci volte tanto.

Marethyu tirò di nuovo la catena, e l’anpu che la custodiva faticò a restare in piedi. Sollevò il braccio, e la piatta mezzaluna di metallo fissata al suo polso diventò prima d’argento, poi d’oro per la luce riflessa. — È curioso, sì — concordò. — Ma non mi sorprende. Poche cose mi sorprendono più. — Sollevò il mento, indicando con un cenno la serie di glifi squadrati. — Mi fa piacere vedere che mi hanno ricordato nelle loro storie.

— Dunque i Signori della Terra ti conoscevano.

— Abbiamo avuto un breve incontro.

— Non così breve, immagino. Hanno scolpito il tuo simbolo lassù insieme alle loro liste di sovrani. — L’alta figura con la veste di metallo si fece avanti, scostandosi il cappuccio dal viso e rivelando gli occhi allungati e i lineamenti affilati. — Io sono Aton di Danu Talis.

— So chi sei. E io sono… Marethyu.

— Ti aspettavo.

— Abramo ti ha detto della mia venuta?

— No. Sapevo di te da tempo… da molto tempo. — Aton guardò gli anpu e le catene di pietra che lo stringevano. — Sono necessarie? — chiese.

— Tuo fratello sembrava pensare di sì — rispose Marethyu, con un sorriso che rivelò i suoi piccoli denti bianchi. — In effetti, ha insistito molto.

Aton premette i lunghi denti sul labbro inferiore. — E sono inutili, presumo.

— Del tutto inutili, sì.

L’aria crepitò e si inacidì, e un’ombra passò rapida intorno all’uomo con l’uncino. Le catene di pietra si incrinarono, quindi si infransero, polverizzandosi ai suoi piedi. Gli anpu arretrarono sbalorditi, estraendo i kopesh. Marethyu si strofinò il polso sinistro con la mano destra.

Aton guardò i soldati dalla testa di sciacallo. — Lasciateci — ordinò, poi diede loro le spalle e rientrò nella stanza.

Gli anpu si scambiarono occhiate confuse e scrutarono Marethyu, che ricambiò con un sorriso e fece per scacciarli con un gesto della mano. — Andate via, su… fate i bravi cagnolini. — Quindi si voltò e seguì l’Antico Signore, chiudendosi la porta alle spalle. I battenti erano spessi quanto il corpo di un uomo, ma si spostarono senza nessuno sforzo. — Tuo fratello non sarà contento — disse Marethyu.

— Anubi non lo è quasi mai, ultimamente — replicò Aton. — Dice che dovrei ucciderti.

— Anche solo provarci sarebbe un errore — affermò Marethyu, sorridendo. — Non hai idea di quanti ci abbiano provato. — Con le braccia incrociate al petto, si guardò intorno: si trovavano in un’enorme sala circolare illuminata da un piccolo sole artificiale, che fluttuava a pochi centimetri dal soffitto. Marethyu approvò con un cenno. — Amo la tecnologia degli Arconti. Da quanto tempo arde?

Aton fece un gesto vago. — È stato sostituito una volta. E illumina questa sala da oltre mille anni. È l’ultimo del suo genere, però. Quando si estinguerà, dovremo tornare a qualcosa di un po’ più primitivo.

La stanza circolare era priva di mobili, la pareti d’oro e d’argento massiccio spoglie di ornamenti e di scritte. Il pavimento invece era dominato da un mosaico circolare simile a un labirinto di tessere d’oro e d’argento: la mappa di Danu Talis. Le tessere d’argento rappresentavano l’acqua, e il luccichio del sole conferiva loro un’impressione di movimento.

Aton si dispose al centro del labirinto e si voltò a guardare Marethyu. I suoi grandi occhi gialli luccicavano di riflessi dorati. — Questo l’ho trovato tra le rovine di un edificio dei Grandi Antichi, al centro del Grande Deserto. Credo che un tempo fosse il soffitto di una cattedrale. — Ne tracciò il profilo con le dita. — Ho modellato questa città a sua immagine. Mi piaceva l’idea che un disegno dei Grandi Antichi diventasse la mappa di una città moderna.

— Ho già visto questo disegno — replicò Marethyu, camminando intorno al bordo del cerchio. — Ritorna nel mondo degli homines, nei Regni d’Ombra e oltre. — Portò le braccia dietro la schiena, la testa piegata di lato ad ammirare il pavimento. — È completo.

— Di ogni pezzo.

— I nostri antenati erano stupefacenti — continuò l’uomo con l’uncino. — Non credi?

— Non hai paura di me? — chiese Aton, senza rispondere alla domanda.

— Non ho ragione di temerti. Ma tu hai paura di me, invece.

— Ho paura di ciò che rappresenti.

— Vale a dire?

— La morte del mio mondo.

Marethyu scosse la testa. — Al contrario. Sono qui per fare in modo che il tuo mondo – questo mondo incredibile e straordinario che hai creato – continui a vivere.

Aton attraversò il labirinto. Incombeva con tutta la sua altezza sull’uomo con l’uncino, ma Marethyu rimase immobile a guardarlo impassibile. Gli occhi gialli dell’Antico Signore si socchiusero in due fessure orizzontali. — Ti prendi gioco di me?

— No. — Marethyu sollevò la mano sinistra, e la luce scorse lungo la curva dell’uncino, facendo compiere ad Aton un passo indietro. — Non hai idea di quanto mi sia costato venire qui. Ho sopportato millenni di sofferenza e ho viaggiato attraverso innumerevoli fili del tempo per trovarmi qui, in questo posto, in questo momento specifico. Ho sacrificato tutto – ogni singola cosa che abbia mai amato – per trovarmi qui di fronte a te.

— Perché?

— Perché io e te possiamo decidere la sorte di Danu Talis e delle innumerevoli generazioni che verranno dopo di essa. — L’aura scura di Marethyu brillò, tingendosi per un attimo dell’oro riflesso nella stanza. Fece un gesto, e all’improvviso la grande mappa ai loro piedi si dissolse, per poi infrangersi in mille pezzi. L’argento traboccò dai suoi confini, inondando le tessere d’oro. — Se Danu Talis non cade, il mondo futuro non esisterà mai… — Le tessere d’argento si ossidarono, facendosi color bronzo cupo, quindi si incrinarono e si spezzarono. Marethyu fece un altro gesto: una brezza gelida spazzò il pavimento, i pezzi dell’antica mappa si sparpagliarono, lasciandosi dietro solo la nuda pietra. — Il tuo impero, il vasto impero De Danann, distruggerà non solo se stesso, ma l’intero pianeta nell’arco di una sola generazione.

— Mi piaceva molto quel pavimento — mormorò Aton.

— Fidati di me, sei destinato ad assistere a distruzioni ben peggiori!

Aton nascose le mani nelle lunghe maniche e si allontanò. Attraversò il pavimento spoglio, con l’orlo della veste metallica che suscitava scintille sulla pietra. Uscì su un balcone ricco di fiori e rampicanti, affacciato sulla città di Danu Talis, e inspirò i dolci profumi della vita e della vegetazione, scacciando il gusto acido e leggermente amaro dell’aura di Marethyu.

La luce stava cominciando a calare a occidente, gli edifici ardevano d’oro, i canali luccicavano d’argento. Ai piani inferiori degli edifici più alti, c’erano già delle luci. In lontananza, si udivano risate e i deboli suoni di una musica lontana.

Marethyu comparve al suo fianco. Poggiando le braccia sul balcone, scrutò la città-isola.

— Ammira la più grande città che questo pianeta abbia mai conosciuto! — esclamò Aton con orgoglio.

L’uomo con l’uncino annuì. Sollevò la testa, gli occhi azzurri che si scurivano per intonarsi al colore del cielo, con il sole che tramontava e tingeva d’oro brunito i vimana, simili a striature di luce nel cielo. — È una meraviglia.

— Ci sono state grandi città sulla Terra prima di questa — continuò Aton. — I Grandi Antichi avevano intere città-scuola, i loro grandi centri del sapere; gli Arconti e i Signori della Terra costruirono enormi città di vetro e metallo nel passato più remoto. Ma non c’è mai stato nulla di paragonabile a Danu Talis.

— La sua leggenda durerà millenni — concordò Marethyu.

— Danu Talis è una città-stato, e io la governo da quasi duemila anni. Mio padre, Amenhotep, governava la città prima di me, e mio nonno Thoth era uno dei Grandi Signori che strapparono l’isola dal fondo del mare, diecimila anni prima.

— Sì, lo so. Io c’ero.

— Tu c’eri?

— Sì.

Il sovrano di Danu Talis guardò a lungo l’uomo con l’uncino. Alla fine, annuì. — Ti credo. Forse avremo il tempo di discutere di alcune delle cose che hai visto nel corso della tua lunga vita e dei tuoi viaggi straordinari.

— No — replicò Marethyu. — Mi resta pochissimo tempo.

Aton annuì. — Una volta, Danu Talis era poco più di un’isola-stato, circondata di nemici. Quando salii al trono, eravamo assediati da ogni lato. Io e Anubi abbiamo cambiato tutto questo. Ora Danu Talis è il cuore di un impero immenso che si stende in tutto il globo, con avamposti su ogni continente, incluse le lontane e gelide Terre del Nord. E tutti coloro che un tempo erano contro di noi – Grandi Antichi, Arconti e Signori della Terra – sono stati sconfitti o scacciati ai margini del mondo conosciuto.

— Tu hai studiato la storia — replicò Marethyu. — Mi padre – o meglio, l’uomo che credevo mio padre – mi ha insegnato che ogni impero è segnato. Viaggiando attraverso il tempo e la storia, ho scoperto che aveva ragione. Tutti i grandi imperi sono destinati a crollare.

Di nuovo, Aton annuì. — Ho studiato la storia del mondo fino al Tempo Prima del Tempo, e la lezione è chiara: gli imperi sorgono e crollano. — Rivolse il viso verso la piramide gigantesca che dominava il centro dell’isola: metà era illuminata dal sole al tramonto, l’altra era avvolta nell’oscurità. Piccoli fuochi ardevano su ciascuno degli infiniti gradoni che conducevano al vertice piatto, ornato di bandiere colorate che sventolavano alla brezza della sera.

— Danu Talis è spacciata — disse Marethyu. — Non ti servono veggenti o profezie per predire il suo futuro.

Aton guardò l’uomo con l’uncino. — Che cosa sei tu? Non sei un Antico Signore né un Grande Antico, non sei un Arconte né un Signore della Terra.

— Non sono nessuna di queste cose — confermò Marethyu, in tono grave. — Sono il tuo futuro. Tu hai governato questa città per millenni. È stata davvero l’Età dell’Oro di Danu Talis, ma la città è destinata alla rovina e alla disperazione. E se questo succede, tutto ciò per cui hai lavorato, ogni sacrificio che tu abbia mai fatto, sarà stato vano. Ma non deve essere per forza così. Tu puoi proteggere la reputazione della tua città; anzi, puoi assicurarti che costituisca la base non di una, ma di dozzine di civiltà per i millenni a venire.

— E tu mi assicuri che quanto dici è vero?

— L’ho visto — disse Marethyu, mentre la luce del tramonto tingeva i suoi occhi d’oro. — Giuro che è tutto vero.

— Ti credo — sussurrò Aton. — Cosa vuoi che faccia?

— Ho bisogno che tu diventi un waerloga, un traditore. Devi infrangere la parola data. Devi tradire la tua città.

— Con chi?

— Con me.