51
Holden
Holden sapeva che gli esseri umani erano in grado di tollerare accelerazioni di g estreme per poco tempo. Con l’ausilio di appropriati sistemi di sicurezza, alcuni stuntman professionisti avevano sostenuto impatti di oltre venticinque g ed erano sopravvissuti. Il corpo umano si deformava naturalmente, assorbendo l’energia nei tessuti molli e diffondendo l’impatto in zone più ampie.
Sapeva anche che il problema, in un’esposizione prolungata a g elevati, consisteva nel fatto che la pressione costante sul sistema cardiovascolare avrebbe cominciato a farne emergere le debolezze. Se un’arteria aveva un qualche punto debole che, quarant’anni più tardi, si sarebbe probabilmente trasformato in aneurisma, bastavano poche ore a sette g per farla esplodere. I capillari negli occhi cominciavano a perdere sangue. L’occhio stesso si deformava, provocando a volte un danno permanente. E poi c’erano gli organi cavi, come i polmoni e il tratto digestivo. Se vi si ammassava troppa gravità, collassavano.
E, benché le navi da guerra potessero essere manovrate a g molto elevati per brevi periodi di tempo, ogni momento trascorso in accelerazione moltiplicava il pericolo.
Eros non aveva nemmeno bisogno di sparargli contro qualcosa. Bastava che continuasse ad accelerare finché i loro corpi non fossero esplosi per la pressione. La sua console segnava cinque g ma, proprio mentre controllava, passò a sei. Non potevano continuare l’inseguimento. Eros sarebbe riuscito a fuggire. Non potevano far niente per impedirlo.
Ma ancora non diede l’ordine d’interrompere l’accelerazione ad Alex.
Come se Naomi gli avesse letto nella mente, la scritta ‘Non possiamo continuare ancora’ apparve sul suo display, con il codice identificativo della vicecomandante in alto sullo schermo.
‘Fred sta cercando una soluzione. Potrebbe aver bisogno di averci a portata di Eros quando avranno elaborato un piano’ rispose. Perfino muovere le dita di quei pochi millimetri necessari a usare i controlli inseriti nel suo sedile per quel preciso scopo era doloroso.
‘A portata di cosa?’ digitò Naomi.
Holden non rispose. Non ne aveva idea. Il proprio sangue bruciava con le droghe che lo tenevano allerta e sveglio mentre il suo corpo veniva schiacciato. La dose aveva l’effetto contraddittorio di fargli correre il cervello a velocità doppia e al contempo di non permettergli di riuscire a ragionare veramente. Ma Fred avrebbe trovato qualcosa. C’erano un sacco di persone intelligenti al lavoro sul problema.
E Miller.
Miller stava trasportando a mano una bomba a fusione nel cuore di Eros, in quello stesso momento. Quando il tuo nemico aveva il vantaggio tecnologico dalla sua, non potevi che attaccarlo con il minimo sforzo tecnologico possibile. Forse un detective depresso che trascinava con sé una bomba su un carrello sarebbe riuscito a superare le difese di Eros. Naomi aveva detto che non si trattava di magia. Forse Miller ce l’avrebbe fatta e avrebbe fornito loro l’occasione di cui avevano bisogno.
Comunque fosse andata, Holden doveva essere lì, anche soltanto per vedere.
‘Fred’ digitò Naomi.
Holden aprì il collegamento. Fred lo guardò con l’espressione di un uomo che tratteneva un sorriso.
«Holden» disse. «Come ve la state passando?»
‘Sei g. Sputi il rospo.’
«Bene. È saltato fuori che gli sbirri delle Nazioni Unite hanno rivoltato la rete della Protogen come un calzino, alla ricerca di indizi su quello che è successo. E immaginate un po’ chi è saltato fuori come nemico numero uno per i pezzi grossi della Protogen? Il vostro affezionatissimo. All’improvviso tutto è perdonato, e la Terra mi vuole riaccogliere nel suo caldo abbraccio. Il nemico del mio nemico pensa che io sia un bastardo sulla retta via.»
‘Che bello. La milza mi sta per esplodere. Tagli corto.’
«L’idea di Eros che si schianti sulla Terra è una brutta cosa. Un evento da estinzione totale, anche se si tratta soltanto di un asteroide. Quelli delle Nazioni Unite hanno guardato il canale di Eros e si sono cacati addosso.»
‘E...’
«La Terra si sta preparando a impiegare il suo intero arsenale nucleare di terra. Migliaia di testate. Hanno intenzione di vaporizzare quell’asteroide. La marina militare intercetterà quel che rimane dopo l’attacco iniziale e sterilizzerà quell’intera area di spazio con un bombardamento nucleare costante. So che è un rischio, ma non abbiamo altro.»
Holden resistette al bisogno di scuotere la testa. Non voleva finire con una guancia schiacciata permanentemente sul sedile.
‘Eros ha schivato la Nauvoo. Sta procedendo a sei g e, secondo quanto dice Naomi, Miller non percepisce alcuna accelerazione. Qualsiasi cosa stia facendo, non ha le nostre stesse limitazioni inerziali. Che cosa gli impedirebbe di schivare di nuovo? A una velocità del genere, i missili non riuscirebbero mai a fare marcia indietro e colpirlo. E su cosa diavolo puntereste i mirini? Eros non riflette più alcun segnale radar.’
«È qui che entrate in scena. Abbiamo bisogno che riusciate a inquadrarlo con un laser. Possiamo usare il sistema di puntamento della Rocinante per guidare le testate verso il bersaglio.»
‘Detesto darle un dispiacere, ma saremo fuorigioco molto prima dell’arrivo di quei missili. Non possiamo tenere il passo. Non possiamo guidare i missili per voi. E, una volta perso il contatto visivo, nessuno potrà più rintracciare Eros.’
«Potreste dover impostare l’autopilota» disse Fred.
Intendendo: ‘Potreste dover morire tutti nei vostri sedili.’
‘Ho sempre voluto morire da martire e tutto, ma che cosa le fa pensare che la Roci sia in grado di competere con quell’affare? Non ammazzerò il mio equipaggio soltanto perché non siete capaci di inventarvi un piano migliore.’
Fred si chinò verso lo schermo, stringendo gli occhi. Per la prima volta, la maschera di Fred venne meno e Holden vide la paura e l’impotenza che nascondeva.
«Ascolti, mi rendo conto di quel che le sto chiedendo, ma lei sa qual è la posta in gioco. Non abbiamo altro. Non l’ho chiamata per sentirmi dire che non funzionerà. Ci dia una mano o lasci perdere. In questo momento, ‘avvocato del diavolo’ è soltanto una definizione educata per ‘pezzo di merda’.»
Mi sto schiacciando a morte, probabilmente con danni permanenti, soltanto perché non volevo lasciar perdere, razza di bastardo. E scusa se non sono disposto ad ammazzare i miei soltanto perché me lo dici tu.
Il fatto di dover digitare ogni cosa aveva il vantaggio di contenere gli scatti emozionali. Invece di saltargli alla gola per aver messo in dubbio la sua dedizione alla causa, Holden si limitò a scrivere ‘Mi ci faccia pensare’ e interruppe il collegamento.
Il sistema ottico di puntamento che sorvegliava Eros indicò che l’asteroide stava di nuovo aumentando la propria velocità. Il gigante seduto sul suo petto continuò a ingrassare mentre Alex spingeva la Rocinante all’inseguimento. Un indicatore rosso lampeggiante informò Holden che, considerando la durata dell’accelerazione che avevano sostenuto, poteva aspettarsi uno svenimento del dodici per cento dell’equipaggio. L’indice sarebbe salito. Era solo questione di tempo, e avrebbe raggiunto il cento percento. Holden cercò di ricordare la massima accelerazione teorica della Rocinante. Alex l’aveva già portata per un breve periodo a dodici g, quando erano fuggiti dalla Donnager. Il limite reale era uno di quei numeri irrilevanti, che servivano solo a vantarti delle prestazioni che la tua nave in realtà non avrebbe mai raggiunto concretamente. Quindici g? Venti?
Miller non aveva nemmeno percepito un’accelerazione. Quanto potevi andare veloce, se nemmeno riuscivi a percepirlo?
Quasi senza rendersi conto di quello che stava per fare, Holden attivò l’interruttore di spegnimento del motore principale. In pochi secondi si ritrovò in caduta libera, squassato da violenti colpi di tosse mentre gli organi cercavano di ritrovare la loro posizione originale all’interno del suo corpo. Quando si fu ripreso abbastanza da riuscire a fare un respiro profondo, il primo da ore, Alex lo contattò in linea.
«Cap, hai spento tu i motori?» domandò il pilota.
«Sì, sono stato io. Basta così. Eros riuscirà a fuggire, a prescindere da quello che facciamo noi. Stiamo soltanto prolungando l’inevitabile, e a rischio della vita dell’equipaggio.»
Naomi ruotò il sedile e gli rivolse un sorriso triste. L’accelerazione le aveva provocato un occhio nero.
«Abbiamo fatto del nostro meglio» disse.
Holden si spinse fuori dal sedile, tanto forte da picchiare gli avambracci sul soffitto, poi si spinse di nuovo giù e si addossò a una paratia afferrandosi al sostegno di un estintore. Naomi lo osservava dall’altra parte della plancia, con la bocca atteggiata in una O di sorpresa. Holden sapeva che probabilmente si stava comportando in modo ridicolo, come un bambino petulante che faceva i capricci, ma non riusciva a trattenersi. Lasciò la presa sull’estintore e fluttuò in mezzo al ponte. Non si era reso conto di aver picchiato sulla paratia con l’altro pugno. Ora che se n’era accorto, il dolore arrivò alla mano.
«Porca puttana» disse. «Porca puttana!»
«Abbiamo...»
«Abbiamo fatto del nostro meglio? E che diavolo importa?» Holden sentiva la testa invasa da una nebbia rossa, e non era tutta colpa della dose. «Ho fatto del mio meglio anche per aiutare la Canterbury. Ho cercato di fare la cosa giusta quando ho lasciato che ci prendessero a bordo della Donnager. Hanno forse contato un cazzo, le mie intenzioni?»
L’espressione di Naomi si fece imperscrutabile. Le sue palpebre si abbassarono, e lo fissò attraverso gli occhi socchiusi. Le sue labbra si serrarono finché non divennero quasi bianche. Volevano che ti uccidessi, pensò Holden. Volevano che uccidessi il mio equipaggio, nell’ipotesi in cui Eros non riuscisse a superare i quindici g, e io non ce l’ho fatta. Il senso di colpa, la rabbia e il dolore si confusero in lui, trasformandosi in qualcosa di inafferrabile e sconosciuto. Non riuscì a dare un nome a quella sensazione.
«Sei l’ultima persona da cui mi sarei aspettata autocommiserazione» disse Naomi, con voce tesa. «Dov’è il capitano che si chiede sempre: ‘Che cosa possiamo fare, ora, per migliorare la situazione?’»
Holden fece un gesto impotente intorno a sé. «Mostrami il pulsante che devo premere per impedire che l’intera popolazione della Terra venga uccisa, e lo premerò.»
Fintantoché non uccida te.
Naomi si slacciò le cinture e fluttuò verso la scala dell’equipaggio.
«Vado giù a controllare Amos» disse, poi aprì il portellone. Fece una pausa. «Sono il tuo ufficiale operativo, Holden. Controllare le linee di comunicazione fa parte del mio lavoro. So che cosa ti ha chiesto Fred.»
Holden sbatté le palpebre, e Naomi uscì. Il portellone si richiuse alle sue spalle con un tonfo che non poteva essere stato più forte del normale, ma che sembrò esserlo comunque.
Holden chiamò il cockpit e disse ad Alex di fare una pausa e di prendersi un caffè. Il pilota si fermò a metà strada, mentre attraversava il ponte, con l’aria di chi volesse dire qualcosa, ma Holden si limitò a fargli cenno di andare. Alex si strinse nelle spalle e si allontanò.
Quella sensazione liquida gli si era radicata nello stomaco e sbocciò in un vero e proprio fremito di panico che gli scosse tutti gli arti. Una qualche parte maligna della sua mente, vendicativa e autoflagellante, insisteva a mostrargli ancora e ancora il film di Eros che si precipitava verso la Terra. Sarebbe precipitato in un rombo furioso dal cielo, come la visione fatta realtà dell’apocalisse di ogni religione, con fuoco e terremoti e piogge pestilenziali che flagellavano la Terra. Ma, ogni volta che Eros colpiva la Terra, nella sua mente, era l’esplosione della Canterbury quella che vedeva. Una luce bianca, sconvolgente e improvvisa, e poi nient’altro che il rumore di schegge ghiacciate che percuotevano lo scafo della sua nave come una grandine delicata.
Marte sarebbe sopravvissuto, per un po’. E probabilmente alcune sacche della Fascia avrebbero resistito anche più a lungo. Avevano la cultura dell’arrangiarsi, del sopravvivere di scarti, vivendo al limite estremo delle proprie risorse. Alla fine, però, senza la Terra, ogni cosa sarebbe morta. Gli esseri umani erano stati fuori dal pozzo di gravità per molto tempo. Abbastanza a lungo da sviluppare la tecnologia necessaria a recidere quel cordone ombelicale, ma non si erano mai presi la briga di farlo davvero. Stagnante. L’umanità, con tutto il suo desiderio di precipitarsi in qualsiasi buco vivibile che riuscisse a raggiungere, era diventata stagnante. Soddisfatta di andarsene in giro su navi costruite più di mezzo secolo prima, di usare una tecnologia che era rimasta immutata da ancora più tempo.
La Terra era stata tanto concentrata sui propri problemi che aveva ignorato i suoi figli più lontani, tranne quando si trattava di pretendere una fetta dei proventi delle loro fatiche. Marte aveva impiegato la sua intera popolazione nel compito di rifare l’intero pianeta, cambiandone il volto da rosso a verde. Cercando di creare una nuova Terra per porre fine alla dipendenza dal vecchio pianeta. E la Fascia era diventata la periferia, i bassifondi del sistema solare, dove tutti erano troppo impegnati a cercare di sopravvivere per poter impiegare del tempo nel tentativo di creare qualcosa di nuovo.
Abbiamo trovato la protomolecola esattamente nel momento ideale perché ci infligga il massimo danno possibile, pensò Holden.
Era sembrata una scorciatoia. Un modo per evitare il lavoro più duro e saltare a piè pari verso lo stadio divino. Ed era passato così tanto tempo da quando qualcosa aveva rappresentato una minaccia per l’umanità, che non fosse l’umanità stessa, che nessuno era nemmeno più abbastanza intelligente da essere spaventato. Lo stesso Dresden l’aveva detto: chiunque avesse creato la protomolecola, l’avesse caricata su Phoebe e sparata verso l’umanità, era già allo stadio divino quando gli antenati degli uomini di oggi erano convinti che la fotosintesi e il flagello fossero delle avanguardie tecnologiche. Eppure Dresden aveva preso quella loro antica macchina di distruzione e l’aveva comunque messa in moto, perché, a ben vedere, gli esseri umani non erano ancora altro che scimmie curiose. Dovevano ancora toccare qualsiasi cosa trovassero con un bastoncino, per vedere che cosa facesse.
La nebbia rossa nella mente di Holden aveva acquisito una strana persistenza lampeggiante. Ci mise un po’ per rendersi conto che un indicatore sul suo pannello di controllo si stava accendendo a intermittenza, segnalandogli una chiamata in arrivo dalla Ravi. Holden si diede una spinta contro uno dei sedili che aveva accanto, tornò fluttuando verso la sua postazione e aprì il collegamento.
«Qui la Rocinante. Dite pure, Ravi.»
«Holden, perché ci siamo fermati?» chiese McBride.
«Perché non saremmo comunque riusciti a tenere il passo, e il pericolo di morte per l’equipaggio era troppo elevato» rispose Holden. Perfino a lui sembrò un argomento debole. Da codardi. McBride non sembrò farci caso.
«Ricevuto. Mi farò dare nuovi ordini. Vi farò sapere se c’è qualche cambiamento.»
Holden chiuse il collegamento e fissò la console con sguardo assente. Il sistema di puntamento ottico stava facendo del suo meglio per mantenere Eros nel proprio mirino. La Roci era una buona nave. All’avanguardia. E, dal momento che Alex aveva segnato l’asteroide come una minaccia, il computer avrebbe fatto tutto quel che poteva per continuare a tracciarne i movimenti. Ma Eros era un oggetto in rapida accelerazione a bassa albedo che non rifletteva il radar. Poteva muoversi imprevedibilmente e ad altissime velocità. Era solo questione di tempo, prima che lo perdessero di vista, tanto più che aveva la precisa intenzione di far perdere le proprie tracce.
Una piccola finestra di dati si aprì accanto alle informazioni di posizione sulla console, per informarlo che la Ravi aveva acceso il suo transponder. Tenerlo acceso quando non c’erano minacce apparenti né necessità di passare sotto copertura era una pratica standard, anche per le navi militari. L’ufficiale in sala radio della piccola corvetta della Marina Militare delle Nazioni Unite doveva averlo acceso per abitudine.
La Roci lo registrò come una nave conosciuta e lo mostrò sul pannello delle minacce assegnandogli un puntino verde che pulsava delicatamente e una targhetta con il nome. Holden lo fissò a lungo con sguardo assente. Poi sgranò gli occhi.
«Merda» esclamò Holden, poi aprì la linea di comunicazione interna. «Naomi, ho bisogno di te in plancia.»
«Credo che preferirei restare qui per un po’» rispose lei.
Holden attivò l’allarme di postazioni di battaglia sulla sua console. Le luci del ponte divennero rosse e un segnale acustico risuonò per tre volte.
«Vicecomandante Nagata, in plancia» disse. Avrebbe potuto mettergli il muso più tardi. Se lo meritava. In quel momento, però, non c’era tempo da perdere.
Naomi fu sul ponte operativo in meno di un minuto. Holden si era già allacciato le cinture sul suo sedile ed era intento a rivedere i registri di comunicazione. Naomi andò alla propria postazione e si allacciò le cinture. Gli rivolse uno sguardo interrogativo – ‘Alla fine ci tocca morire, insomma?’ – ma non disse niente. Se Holden avesse risposto che era così, lei avrebbe obbedito. Sentì una punta di ammirazione mista a irritazione nei suoi confronti. Trovò quel che cercava nei registri prima di parlare.
«Okay» disse. «Abbiamo avuto il contatto radio con Miller dopo che Eros è scomparso dai radar. Giusto?»
«Sì, è così» confermò lei. «Ma la sua tuta non è abbastanza potente da trasmettere oltre il guscio di Eros per lunghe distanze, per cui una delle navi attraccate ha amplificato il proprio segnale.»
«Il che vuol dire che, qualsiasi cosa stia facendo Eros per annullare il segnale radar, non ha effetto sulle trasmissioni dall’esterno.»
«Mi pare corretto» replicò Naomi, con crescente curiosità nel tono di voce.
«E tu hai ancora i codici di controllo delle cinque navi cargo dell’APE sulla sua superficie, giusto?»
«Sì, signore.» Poi, un attimo dopo: «Oh, cazzo.»
«Okay» disse Holden, girando il suo sedile per guardare Naomi con un gran sorriso in volto. «Perché la Roci e ogni altra nave militare del sistema solare hanno un interruttore che serve a spegnere il proprio transponder?»
«Per evitare che un nemico possa prendere a bersaglio il segnale per farle saltare in aria» spiegò lei, ricambiando il suo sorriso.
Holden fece di nuovo girare il sedile e cominciò ad aprire un canale di comunicazione con la Stazione di Tycho.
«Vicecomandante, sarebbe così gentile da usare i codici di controllo che le ha fornito Miller per riaccendere quelle cinque navi cargo dell’APE e riattivare i loro transponder? A meno che il nostro ospite su Eros non possa andare più veloce delle onde radio, credo che abbiamo risolto il problema dell’accelerazione.»
«Ricevuto, capitano» rispose Naomi. Anche se era rivolta dall’altra parte, Holden riusciva a sentire il sorriso nella sua voce, e questo sciolse l’ultimo gelo che gli attanagliava lo stomaco. Avevano un piano. Avrebbero fatto la differenza.
«Chiamata in arrivo dalla Ravi» disse Naomi. «Vuoi che te la passi prima di accendere i transponder?»
«Diavolo, sì.»
La linea frusciò.
«Capitano Holden. Abbiamo ricevuto i nostri nuovi ordini. A quanto pare, inseguiremo quell’asteroide ancora per un po’.»
McBride aveva la voce di qualcuno che era appena stato mandato a morire. Stoica.
«Forse vorrà trattenersi per un altro paio di minuti» replicò Holden. «Abbiamo un’alternativa.»
Mentre Naomi attivava i transponder sulle cinque navi cargo dell’APE che Miller aveva lasciato attraccate sulla superficie di Eros, Holden illustrò il piano a McBride e poi, su una linea separata, a Fred. Quando questi lo richiamò con l’approvazione entusiasta del piano da parte sua e del comando della Marina Militare delle Nazioni Unite, le cinque navi cargo già emettevano il loro lamento, dichiarando all’universo intero la propria posizione. Un’ora dopo, il più grande stormo di armi nucleari interplanetarie della storia del genere umano era stato lanciato ed era in rotta verso Eros.
Vinceremo noi, pensò Holden mentre guardava i missili volare come un nugolo di puntini rossi sul suo display di minaccia aerea. Sconfiggeremo questa cosa. E, per di più, il suo equipaggio sarebbe rimasto in vita. Nessun altro doveva morire.
Tranne...
«C’è Miller in linea» disse Naomi. «Probabilmente ha notato che abbiamo riacceso le navi.»
Holden sentì un nodo formarglisi nello stomaco. Miller sarebbe stato lì, su Eros, quando fossero arrivati quei missili. Non tutti avrebbero potuto festeggiare la vittoria.
«Ehi, Miller. Come te la passi?» chiese, non riuscendo a evitare del tutto che la sua domanda assumesse un tono da funerale.
La voce di Miller era incostante e mezza coperta dalle interferenze, ma non così incomprensibile da non permettere a Holden di udirne il tono e di sapere che tutta la loro festa stava per andare a puttane.
«Holden» disse Miller. «Abbiamo un problema.»