5

Holden

Dieci minuti a due g, e Holden sentiva già l’inizio di un forte mal di testa. McDowell li aveva richiamati in tutta fretta. La Canterbury stava facendo riscaldare il suo enorme propulsore. Holden non aveva nessuna voglia di perdere il treno.

«Jim? Abbiamo un problema.»

«Mi dica.»

«Becca ha trovato qualcosa, ed è sufficientemente strano da farmi stringere il culo. Togliamo le tende.»

«Alex, quanto manca?» chiese Holden per la terza volta in dieci minuti.

«Più di un’ora. Vuoi andare a dose?» disse Alex.

‘Andare a dose’ era un’espressione del gergo dei piloti per indicare un’elevata accelerazione g in grado di far perdere i sensi a un essere umano in condizioni normali. La ‘dose’ era il cocktail di farmaci che il sedile del pilota avrebbe iniettato al suo occupante per mantenerlo cosciente, allerta e, se tutto andava bene, prevenire l’infarto quando il suo corpo avesse raggiunto il peso equivalente a cinquecento chili. Holden aveva usato la dose in più occasioni quando era in marina, e la fase di down era davvero spiacevole.

«No, a meno che non sia indispensabile» disse.

«In che senso, strano?»

«Becca, aprigli il collegamento. Jim, voglio che lei veda quel che stiamo vedendo noi.»

Holden si mise in bocca un antidolorifico preso dal casco della sua tuta e ripassò per la quinta volta il segnale inviato dal sensore di Becca. Quel puntino nello spazio era approssimativamente a duecentomila chilometri dalla Canterbury. In base a come l’aveva scansionato la Cant, il display mostrava un’impercettibile fluttuazione, una macchia grigionera che sviluppava un bordo più caldo. Era una variazione di temperatura minima, meno di due gradi. Holden era sbalordito che Becca fosse riuscita a individuarla. Si appuntò mentalmente di fornirle una brillante valutazione per la sua prossima promozione.

«E quello da dove arriva?» chiese Holden.

«Non ne ho idea. È soltanto un punto impercettibilmente più caldo dello sfondo» disse Becca. «Avrei detto che si trattasse di una nube gassosa, perché non riceviamo alcun ritorno dal radar, ma in quella zona non dovrebbero essercene. Voglio dire... Da dove dovrebbe arrivare?»

«Jim, c’è qualche possibilità che la Scopuli abbia fatto fuori la nave che l’ha fatta fuori? Potrebbe essere una nube di vapore provocata da una nave distrutta?» chiese McDowell.

«Non credo, signore. La Scopuli è completamente disarmata. Il foro sulla fiancata è stato provocato da cariche esplosive e non da missili, per cui credo che non abbiano nemmeno opposto resistenza. Potrebbe essere il punto in cui la Scopuli ha sfiatato, ma...»

«Ma forse no. Tornate alla base, Jim. Subito.»

«Naomi, cos’è che si scalda a poco a poco e che non dà segnale di ritorno a radar e lidar quando lo scansioni? Così, a lume di naso» disse Holden.

«Mmm...» mormorò Naomi, prendendosi un po’ di tempo per riflettere. «Qualunque cosa assorba l’energia del segnale non darebbe ritorno. Ma potrebbe scaldarsi nel dissipare l’energia assorbita.»

Il monitor a infrarossi sulla console dei sensori vicino al sedile di Holden avvampò come un sole. Alex imprecò sonoramente nella linea interna.

«L’avete visto anche voi?» disse.

Holden lo ignorò e aprì una linea verso McDowell.

«Capitano, abbiamo appena rilevato un picco massiccio di infrarossi» disse.

Per qualche lungo secondo non giunse risposta. Quando McDowell ricomparve in linea, la sua voce era tesa. Holden non l’aveva mai sentito spaventato.

«Jim, una nave è appena comparsa in quel punto caldo. Sta irradiando calore come una maledetta bastarda» disse McDowell. «Da dove diavolo è uscito quell’affare?»

Holden fece per rispondere ma udì la voce di Becca che filtrava debolmente attraverso il microfono del capitano. «Non ne ho idea, signore. Ma è più piccola della sua traccia termica. Il radar indica un mezzo della taglia di una fregata» rispose lei.

«Come ha fatto?» chiese McDowell. «Invisibilità? Teletrasporto magico attraverso un condotto spazio-temporale?»

«Signore» disse Holden. «Naomi ha suggerito che il calore rilevato possa essere stato provocato da materiali che assorbono energia. Materiali mimetici. Il che significa che quella nave si stava nascondendo di proposito. Il che vuol dire che non ha buone intenzioni.»

Come per rispondere a quelle parole, sei nuovi oggetti apparvero sul radar: piccole icone gialle sullo schermo, che passarono immediatamente all’arancione quando il sistema registrò la loro accelerazione. Sul ponte della Canterbury, Becca gridò: «Oggetti in rapido avvicinamento! Abbiamo sei nuovi contatti ad alta velocità in rotta di collisione!»

«Gesù Cristo in carriola, ma quella nave ci ha appena sparato contro una salva di missili?!?» sbraitò McDowell. «Stanno cercando di abbatterci?»

«Sì, signore» disse Becca.

«Quanto manca all’impatto?»

«Poco meno di otto minuti, signore» rispose lei.

McDowell imprecò sottovoce.

«Abbiamo dei pirati, Jim.»

«Che cosa possiamo fare?» disse Holden, cercando di apparire calmo e professionale.

«Potete chiudere la comunicazione e lasciar lavorare il mio equipaggio. Siete a un’ora da qui, se non di più. I missili sono a otto minuti. Passo e chiudo» rispose il capitano, chiudendo il suo canale di comunicazione e lasciando Holden da solo con il crepitio elettrostatico della linea vuota.

La linea di comunicazione generale fu invasa dal vociare dei suoi compagni: Alex che chiedeva di andare a dose e di precedere i missili fino alla Cant, Naomi che parlava di strategie per sabotarli e Amos che malediceva la nave mimetica e teorizzava i dubbi natali del suo equipaggio. Shed fu l’unico a restare in silenzio.

«Chiudete il becco, tutti quanti!» gridò Holden nel suo microfono. La nave ripiombò in un attonito silenzio. «Alex, trova la maniera più rapida per arrivare alla Cant senza ammazzarci. Fammi sapere quando ci sei riuscito. Naomi, imposta una linea a tre vie tra Becca, te e me. Faremo quel che possiamo per aiutarli. Amos, continua a imprecare, ma spegni il tuo microfono.»

Attese. I secondi che li dividevano dall’impatto passavano inesorabili.

«Collegamento attivo» disse Naomi. Holden poteva udire due diversi sottofondi attraverso la linea di comunicazione.

«Becca, sono Jim. In linea c’è anche Naomi. Dicci che cosa possiamo fare per esservi d’aiuto. Naomi, stavi parlando di tecniche di sabotaggio?»

«Sto facendo tutto quel che posso» disse Becca, con voce sorprendentemente calma. «Ci stanno puntando addosso un mirino laser. Sto trasmettendo rumore bianco per confonderlo, ma hanno della roba davvero avanzata, a quanto pare. Se fossimo più vicini di così, quel puntatore laser ci avrebbe scavato un foro nella carlinga.»

«E che ne dici di un po’ di bianco fisico?» chiese Naomi. «Puoi sganciare un po’ di neve?»

Mentre Naomi e Becca discutevano, Jim aprì una linea privata con Ade. «Ehi, sono Jim. Alex sta lavorando su una soluzione per aprire a manetta, per arrivare lì prima che...»

«Prima che i missili ci trasformino in un mattone volante? Buona idea. Farsi rapire dai pirati dev’essere un’esperienza imperdibile» disse Ade. Holden riusciva a sentire la paura nascosta in quel sarcasmo.

«Ade, ti prego, voglio dirti una cosa...»

«Jim, tu che ne pensi?» chiese Naomi sull’altro canale.

Holden imprecò. Per mascherare la cosa, disse: «Ehm... di cosa?»

«Di usare il Knight per cercare di deviare quei missili» rispose Naomi.

«Si può fare?» chiese lui.

«Forse. Ma stavi ascoltando?»

«Ah... c’è stata una cosa che mi ha distratto per un secondo. Riditemi tutto» riconobbe Holden.

«Possiamo tentare di replicare la frequenza di diffusione della luce emessa dalla Cant e di ritrasmetterla attraverso il nostro sistema di comunicazione. Può darsi che i missili pensino che il bersaglio siamo noi» disse Naomi, parlando come se si stesse rivolgendo a un bambino.

«Così poi faranno saltare in aria noi

«Stavo pensando di fuggire mentre attiriamo i missili verso di noi. Poi, una volta che saremo abbastanza lontani dalla Cant, spegniamo il sistema di comunicazione e cerchiamo di nasconderci dietro l’asteroide» disse Naomi.

«Non funzionerà» replicò Holden con un sospiro. «Seguono la rifrazione del laser per la direzione generale, ma visualizzano anche il bersaglio acquisito tramite immagine telescopica. Gli basterà un’occhiata per capire che non siamo noi il loro bersaglio.»

«Potrebbe valere la pena di fare un tentativo.»

«Anche se ci riuscissimo, dei missili progettati per danneggiare la Cant ci ridurrebbero a una sgommata di grasso nel vuoto.»

«E va bene» rispose Naomi. «Che altro possiamo fare?»

«Niente. Dei tipi molto intelligenti nei laboratori navali hanno già pensato tutto ciò che noi penseremo nei prossimi otto minuti» disse Holden. Dirlo ad alta voce significava ammetterlo a sé stesso.

«E allora che stiamo facendo, Jim?» chiese Naomi.

«Sette minuti» scandì Becca, con voce ancora inquietantemente calma.

«Sbrighiamoci ad arrivare lì. Magari possiamo salvare qualcuno dopo l’impatto con i missili. Aiutare a contenere il danno» disse Holden. «Alex, hai fatto i tuoi calcoli?»

«Sì, vicecomandante. Massima accelerazione e rotazione impostate. Ho angolato la traiettoria di avvicinamento per evitare di aprire un foro nella Cant con il nostro propulsore. Pronti a ballare?» rispose Alex.

«Si balla. Naomi, voialtri allacciate le cinture e preparatevi all’accelerazione» disse Holden, poi aprì una linea verso il capitano McDowell. «Capitano, stiamo arrivando a tutto gas. Cercate di sopravvivere, e porteremo il Knight in posizione per prelevarvi o per darvi una mano a contenere il danno.»

«Ricevuto» rispose McDowell, e chiuse la comunicazione.

Holden aprì una nuova linea con Ade. «Ade, stiamo per andare in accelerazione elevata, per cui non potrò parlarti, ma lasciami aperta la linea, okay? Dimmi quello che succede. Che so... canticchia qualcosa. Sì, anche se canticchi e basta va bene. Ho solo bisogno di sapere che stai bene.»

«Okay, Jim» disse Ade. Non si mise a canticchiare ma lasciò aperta la linea di comunicazione. Holden la sentiva respirare.

Alex cominciò il conto alla rovescia sulla linea generale. Holden verificò le cinture del suo sedile e premette il pulsante che rilasciava la dose. Una dozzina di aghi gli si piantarono nella schiena attraverso le membrane della tuta. Sentì il cuore balzargli in petto e delle fasce di contenimento chimiche gli attanagliarono il cervello. La colonna vertebrale divenne gelida di colpo, e il suo viso avvampò come sotto l’effetto di un’ustione radioattiva. Picchiò un pugno sul bracciolo del sedile. Detestava quella parte, ma quella che doveva ancora arrivare era peggio. Sulla linea interna, Alex lanciò un grido estatico mentre le droghe gli entravano in circolazione. Sul ponte inferiore, anche gli altri si stavano iniettando la dose che avrebbe impedito loro di collassare ma che li avrebbe tenuti sedati nel momento più duro.

Alex disse «Uno», e Holden si ritrovò a pesare cinquecento chili. I nervi ottici stridettero di dolore per il peso insostenibile dei suoi bulbi oculari. I testicoli gli si schiacciarono sulle cosce. Lui si concentrò per evitare di ingoiare la lingua. Tutto intorno, lo shuttle gemeva e scricchiolava. Dal ponte inferiore giunse un tonfo allarmante, ma i pannelli di controllo non segnalarono problemi. Il propulsore del Knight era capace di un’accelerazione imponente, ma al prezzo di un enorme consumo di carburante. Se però fossero riusciti a salvare la Cant, non avrebbe avuto alcuna importanza.

Oltre il battito violento del sangue nelle tempie, Holden riusciva a sentire il respiro lieve di Ade e il ticchettio della sua tastiera. Avrebbe voluto potersi addormentare con quel suono nelle orecchie, ma la dose bruciava come fuoco nelle sue vene. Era più sveglio di quanto non fosse mai stato.

«Sì, signore» disse Ade nella linea.

Holden ci mise un istante a rendersi conto che stava parlando con McDowell. Alzò il volume per sentire quello che stava dicendo il capitano.

«...principale acceso, a piena potenza.»

«Siamo a pieno carico, signore. Se tentiamo una simile accelerazione, faremo saltare il propulsore del telaio» replicò Ade. McDowell doveva averle chiesto di accendere l’Epstein.

«Signorina Tukunbo» disse McDowell. «Abbiamo... quattro minuti. Se si romperà non sarò io a addebitarglielo sullo stipendio, stia pur certa.»

«Sì, signore. Accedo al motore principale. Velocità massima impostata» annunciò Ade, e in sottofondo Holden sentì suonare l’allarme di accelerazione gravitazionale. Ci fu uno scatto più forte quando Ade si allacciò le cinture.

«Motore principale in linea fra tre... due... uno... Accensione» esclamò Ade.

La Canterbury gemette talmente forte che Holden dovette abbassare il volume della linea. La nave cargo si lamentò e gridò come una banshee per diversi secondi, poi ci fu uno schianto devastante. Holden richiamò la schermata di visuale esterna, lottando contro l’oscuramento della vista indotto dall’accelerazione esageratamente elevata. La Canterbury era ancora tutta intera.

«Ade, che diavolo era quello?» chiese McDowell, con voce confusa.

«Il propulsore che spaccava un montante. Il motore principale è fuori uso, signore» rispose Ade, senza aggiungere ‘proprio come avevo detto che sarebbe successo’.

«Quanto abbiamo guadagnato?» chiese McDowell.

«Non molto. I missili viaggiano ora a più di quaranta chilometri al secondo, in costante accelerazione. Siamo rimasti con i propulsori di manovra» disse Ade.

«Merda» esclamò McDowell.

«Ci colpiranno in pieno, signore» avvertì Ade.

«Jim» disse McDowell, con voce improvvisamente forte e chiara sulla linea diretta che aveva appena aperto. «Ci beccheranno, e non c’è modo di evitarlo. Spegni e riaccendi per conferma ricezione.»

Jim spense e riaccese il canale radio.

«Va bene, ora dobbiamo pensare a come fare per sopravvivere dopo l’impatto. Se stanno cercando di azzopparci prima di abbordare la nave, faranno fuori il propulsore e il sistema di comunicazione. Becca ha trasmesso un segnale di SOS continuo non appena sono partiti i missili, ma vorrei che anche lei continuasse a trasmetterlo se noi dovessimo fermarci. Se sanno che siete là fuori, saranno meno propensi a espellerci dal portellone pressurizzato. La presenza di testimoni, e via dicendo...» disse McDowell.

Jim spinse di nuovo due volte il pulsante della radio.

«Tornate indietro, Jim. Nascondetevi dietro quell’asteroide. Chiamate aiuto. È un ordine.»

Jim cliccò due volte, poi mandò il segnale di arresto ad Alex. Tempo un secondo e il gigante che gli si era seduto addosso svanì, sostituito dall’assenza di gravità. Quella transizione tanto improvvisa gli avrebbe fatto vomitare l’anima se nelle sue vene non ci fossero state in circolo le droghe antinausea.

«Che succede?» chiese Alex.

«Cambio di piani» rispose Holden, con i denti che battevano per la dose residua. «Inviamo una richiesta di aiuto e negozieremo il rilascio dei prigionieri una volta che i cattivacci saranno a bordo della Cant. Dirigiti di nuovo verso quell’asteroide, visto che è la copertura più vicina a disposizione.»

«Ricevuto, capo» disse Alex. Poi, a voce bassa, aggiunse: «Cosa non darei per un paio di lanciarazzi o un bel cannone elettromagnetico sulla chiglia.»

«Guarda che ti sento.»

«Svegliamo i bimbi al piano di sotto?»

«Lasciamoli dormire.»

«Ricevuto» disse Alex, e chiuse la linea.

Prima di riprendere l’accelerazione massima, Holden attivò il segnale di SOS del Knight. La linea con Ade era ancora aperta e, ora che McDowell era disconnesso, sentiva di nuovo il suo respiro. Alzò il volume al massimo e si adagiò tra le cinture, nell’attesa di essere schiacciato. Alex non lo deluse.

«Un minuto» disse Ade, con voce abbastanza forte da essere distorta dalle cuffie del suo casco. Holden non abbassò il volume. Lei mantenne una voce ammirevolmente calma mentre eseguiva il conto alla rovescia dell’impatto.

«Trenta secondi.»

Holden avrebbe disperatamente voluto parlare, dire qualcosa di confortante, fare ridicole e false dichiarazioni d’amore. Il gigante seduto sul proprio petto rise delle sue intenzioni con la voce profonda e ruggente del loro propulsore a fusione.

«Dieci secondi.»

«Si prepari a spegnere il reattore e a fingere di essere azzoppati dopo l’impatto dei missili. Se non siamo una minaccia, non ci colpiranno di nuovo» disse McDowell.

«Cinque» scandì Ade.

«Quattro.

«Tre.

«Due.

«Uno.»

La Canterbury sussultò e il monitor sbiancò. Ade trasse un respiro convulso prima che la comunicazione venisse interrotta. Lo stridio elettrostatico nelle cuffie per poco non sfondò i timpani a Holden. Lui abbassò il volume e aprì la linea con Alex.

L’accelerazione diminuì di colpo a due g, più facilmente tollerabili, e tutti i sensori dello shuttle si accesero in sovraccarico. Una luce accecante penetrò attraverso l’oblò del piccolo portello pressurizzato.

«Alex, a rapporto! Cos’è successo?» gridò Holden.

«Mio dio... Erano missili nucleari. Hanno distrutto la Cant» disse Alex, con voce bassa e attonita.

«Quali sono le sue condizioni? Dammi un rapporto sulla Canterbury! I miei sensori sono a zero qua sotto. È tutto bianco!»

Ci fu una lunga pausa; poi Alex disse: «Anche i miei sono a zero, capo. Ma sono in grado di farti rapporto sulle condizioni della Cant. La vedo da qui.»

«La vedi? Da quaggiù?»

«Già. È una nube di vapore grande quanto il monte Olympus. È andata, capo. È andata.»

Non può essere, protestò la mente di Holden. Una cosa del genere non doveva succedere. I pirati non bombardavano le navi cargo con i missili nucleari. Così ci perdevano tutti. Nessuno ci guadagnava niente. E se volevi soltanto ammazzare cinquanta persone, era molto più facile entrare in un ristorante con un fucile automatico.

Aveva voglia di gridarlo, di gridare ad Alex che si sbagliava. Ma doveva tenere la testa sulle spalle. Ora sono io il vecchio al comando.

«E va bene. Nuova missione, Alex. Ora siamo testimoni di una strage. Riportaci a quell’asteroide. Comincerò a compilare un comunicato. Tu sveglia gli altri. Devono sapere» disse Holden. «Io intanto riavvio l’impianto dei sensori.»

Holden spense metodicamente tutti i sensori e i loro software, attese due minuti e poi li rimise in funzione a poco a poco. Aveva le mani che tremavano. Era nauseato. Aveva come l’impressione che il suo sistema vitale manovrasse la propria carne da lontano, e non sapeva quanto di quella sensazione fosse dovuta alla dose e quanto allo shock.

I sensori si riaccesero. Come qualunque altra nave spaziale, il Knight era protetto contro le radiazioni. Non si poteva andare da nessuna parte nelle vicinanze della gigantesca fascia radioattiva di Giove senza uno scudo. Ma Holden dubitava che i progettisti dello shuttle avessero avuto in mente una detonazione di mezza dozzina di testate nucleari nelle vicinanze quando ne avevano determinato le specifiche. Erano stati fortunati. Il vuoto li aveva protetti dall’impulso elettromagnetico, ma l’impatto della radiazione avrebbe comunque potuto friggere tutti i sensori del veicolo.

Una volta ripristinato il sistema, Holden fece una scansione dello spazio occupato dalla Canterbury. Non rimaneva niente che fosse più grosso di una palla da softball. Passò alla scansione della nave che l’aveva distrutta, che procedeva in direzione del sole a un solo, comodo g di accelerazione. Holden si sentì esplodere il petto di rabbia.

Non era spaventato. Una collera bestiale gli fece pulsare le vene sulle tempie e stringere i pugni finché non sentì dolore ai tendini. Accese l’impianto di comunicazione e orientò il raggio verso la nave che si ritirava.

«Questo messaggio è rivolto a chiunque abbia ordinato la distruzione della Canterbury, il cargo frigorifero di marina civile che avete appena polverizzato. Non ti permetterò di andartene impunito, brutto assassino figlio di puttana. Non m’interessa quali siano i tuoi motivi, ma hai appena ucciso cinquanta dei miei amici. Devi sapere chi erano. Ti sto mandando il nome e la fotografia di ciascuno di coloro che sono morti su quella nave. Dai una bella occhiata a quello che hai fatto. Pensaci, mentre mi darò da fare per scoprire chi sei.»

Richiuse il canale di comunicazione vocale, tirò fuori la cartella del personale della Canterbury e cominciò a trasmettere i fascicoli dell’equipaggio all’altra nave.

«Che cosa stai facendo?» chiese Naomi direttamente da dietro alle sue spalle, e non attraverso le cuffie del casco.

Era lì, in piedi e senza casco. Aveva i capelli neri appiccicati sulla fronte e sul collo dal sudore. Il suo viso era imperscrutabile. Holden si tolse il casco.

«Sto mostrando loro che la Canterbury era un luogo in cui vivevano persone reali. Persone con nomi e famiglie» disse, con voce meno stabile di quanto desiderasse per via della dose. «Se c’è qualcosa che somiglia a un essere umano al comando di quella nave, spero che i loro volti lo perseguitino fino al giorno in cui lo sbatteranno nel riciclatore per omicidio.»

«Non credo che abbiano apprezzato il pensiero» disse Naomi, indicando il pannello alle sue spalle.

La nave nemica li stava puntando con il mirino laser. Holden trattenne il fiato. Non ci fu nessun lancio di missili e, dopo qualche secondo, la nave mimetica spense il laser e i suoi motori avvamparono mentre si allontanava ad alta velocità. Holden udì Naomi esalare un tremulo sospiro.

«Quindi la Canterbury è andata?» chiese Naomi.

Holden annuì.

«Porca di quella troia» disse Amos.

Amos e Shed erano insieme davanti alla scala dell’equipaggio. La faccia di Amos era a chiazze rosse e bianche, e le sue manone si aprivano e si chiudevano. Shed crollò in ginocchio, sbattendo forte sul ponte per via dell’accelerazione corrente, a due g. Non pianse. Si limitò a fissare Holden e a dire: «Immagino che Cameron non avrà mai il suo braccio, ora.» Poi si prese la testa tra le mani e fu scosso dai singhiozzi.

«Rallenta, Alex. Non c’è più bisogno di correre, ormai» disse Holden sulla linea. Lo shuttle rallentò fino ad arrivare a un g.

«E ora che facciamo, capitano?» chiese Naomi, fissandolo duramente. Sei tu al comando, ora. Agisci di conseguenza.

«Farli saltare in aria sarebbe la mia prima scelta ma, visto che non abbiamo le armi necessarie... Li seguiremo. Li terremo d’occhio finché non sapremo dove siano diretti. Dopodiché li smaschereremo» rispose Holden.

«Cazzo, sì» esclamò Amos ad alta voce.

«Amos» disse Naomi da sopra la spalla. «Porta Shed sul ponte intermedio e fallo mettere su un sedile. Se serve, dagli qualcosa per farlo dormire.»

«Detto fatto, capo.» Amos passò un grosso braccio attorno al torace di Shed e lo accompagnò di sotto.

Quando se ne fu andato, Naomi si voltò verso Holden.

«No, signore. Non inseguiremo quella nave. Chiederemo aiuto, e poi andremo ovunque quell’aiuto ci dica di andare.»

«Io...» cominciò a dire Holden.

«Sì, sei l’ufficiale in carica. Questo fa di me il vicecomandante, ed è compito del vicecomandante dire al capitano che si sta comportando da idiota. E lei si sta comportando da idiota, signore. Hai già cercato di incitarli a ucciderci con quella tua trasmissione. Ora vuoi anche metterti a dar loro la caccia? E che farai se si lasciassero raggiungere? Trasmetterai un altro appello dettato dall’emozione?» disse Naomi, avvicinandoglisi. «Porterai in salvo i quattro membri rimasti del tuo equipaggio. E questo è quanto. Quando saremo al sicuro, potrai andare a fare la tua crociata, con il dovuto rispetto.»

Holden slacciò le cinture del suo sedile e si alzò in piedi. La dose stava cominciando a esaurire il suo effetto, lasciandogli il corpo consumato e nauseato. Naomi alzò il mento e non indietreggiò di un passo.

«Sono felice di vedere che la pensi come me, Naomi» disse. «Va’ a dare un’occhiata all’equipaggio. McDowell mi ha dato un ultimo ordine.»

Naomi lo fissò critica; Holden poteva leggerle la diffidenza in viso. Lui non si difese e si limitò ad aspettare finché lei non smise di squadrarlo. Naomi gli rivolse un cenno di assenso e ridiscese la scala fino al ponte intermedio.

Una volta da solo, Holden cominciò a lavorare metodicamente, assemblando pacchetti di trasmissione che includevano anche tutti i dati raccolti dai sensori della Canterbury e del Knight. Alex scese giù dalla cabina di pilotaggio e si lasciò cadere sul sedile accanto a lui.

«Sai, cap, ci ho pensato su» disse. La sua voce era scossa da fremiti post-dose proprio come quella di Holden.

Holden trattenne l’irritazione per quella interruzione e disse: «Riguardo a cosa?»

«Riguardo a quella nave mimetica.»

Holden si distolse dal suo lavoro.

«Dimmi tutto.»

«Il fatto è che non conosco alcun pirata che possieda roba del genere.»

«Va’ avanti.»

«In effetti, l’unica volta che ho visto una tecnologia simile a quella che hanno impiegato, è stato quando facevo parte della marina militare» disse Alex. «Lavoravamo su navi con coperture ad assorbimento energetico e dissipatori interni. Più un’arma strategica che tattica. Non si può nascondere un propulsore attivo ma, una volta in posizione e a motori spenti, se immagazzini tutto il calore di scarico internamente, ti puoi nascondere in maniera efficace. Aggiungici la copertura ad assorbimento energetico e radar, lidar e sensori passivi non sono più in grado di rilevarti. Inoltre, è piuttosto difficile mettere le mani su delle testate nucleari, se non fai parte dei militari.»

«Stai dicendo che è stata la marina marziana?»

Alex fece un lungo, tremulo sospiro.

«Se ce l’avevamo noi, sai bene che anche i terrestri dovevano essere al lavoro sulla stessa roba» disse.

I due si fissarono in quello spazio ridotto; le implicazioni di quel che era appena stato detto pesavano più di un’accelerazione a dieci g. Holden tirò fuori il trasmettitore a batteria che avevano trovato sulla Scopuli dalla tasca sulla coscia della sua tuta spaziale. Cominciò a smontarlo, alla ricerca di un punzone o di un marchio. Alex rimase a guardarlo, una volta tanto in silenzio. Il trasmettitore era di tipo generico, poteva provenire dalla sala radio di qualunque nave del sistema solare. La batteria era un blocco grigio senza segni particolari. Alex allungò una mano e Holden gliela passò. Alex aprì il coperchio di plastica grigia e si rigirò tra le mani la pila di metallo. Senza dire una parola, mostrò il fondo a Holden. Stampigliato sul metallo nero c’era un numero di serie che cominciava con le lettere MRCM.

Marina della Repubblica Congressuale Marziana.

La radio era impostata per trasmettere a pieno potenziale. Il pacchetto dati era pronto a partire. Holden si mise di fronte alla telecamera, chinandosi un po’ in avanti.

«Il mio nome è James Holden» disse «e la mia nave, la Canterbury, è stata appena distrutta da una nave da guerra con tecnologia mimetica, equipaggiata con dotazioni contrassegnate da quelli che paiono essere numeri seriali marziani. Seguirà un pacchetto dati.»