32
Miller
La mente di Miller si riprese lentamente e con una serie di false partenze. Nel sogno, stava cercando di completare un puzzle mentre le tessere continuavano a cambiare forma e, ogni volta, proprio quando era sul punto di arrivare ad assemblarle in un quadro coerente, il sogno ricominciava da capo. La prima cosa di cui divenne cosciente fu il dolore in fondo alla schiena, poi la pesantezza di braccia e gambe, infine la nausea. Più si avvicinava a uno stato di piena coscienza e più tentava di rimandarlo. Delle dita immaginarie cercarono di completare il puzzle ma, prima che riuscisse a mettere ogni pezzo al proprio posto, i suoi occhi si aprirono.
Non riusciva a muovere la testa. Sentiva qualcosa nel collo: uno spesso fascio di tubi neri che si allontanavano da lui e scomparivano oltre il limite della sua visione. Cercò di alzare le braccia, di spingere via quell’affare invadente e vampiresco, ma non ci riuscì.
Me lo sono beccato, pensò con un fremito di paura. Sono infetto.
Una donna comparve alla sua sinistra. Fu sorpreso di vedere che non era Julie: pelle scura, occhi neri dal taglio appena allungato. La donna gli sorrise. Dei lunghi capelli neri le scendevano da una parte, incorniciandole un lato del viso.
Giù. C’era un giù. C’era una gravità. Erano in accelerazione. Gli sembrò un dettaglio molto importante, ma non sapeva dire perché.
«Ehi, detective» disse Naomi. «Bentornato.»
Dove mi trovo?, cercò di dire lui. La sua gola sembrava scolpita nella pietra. Piena, come una stazione della metropolitana affollata.
«Non cercare di alzarti, di parlare o altro» gli raccomandò lei. «Sei stato incosciente per quasi trentasei ore. La buona notizia è che abbiamo un’infermeria con un sistema esperto di tipo militare e materiali a sufficienza per medicare quindici soldati marziani. Mi sa che abbiamo già bruciato mezza scorta per te e il capitano.»
Il capitano. Holden. Sì, giusto. Avevano attraversato un combattimento. C’era un corridoio, e gente che sparava. E qualcuno era stato male. Gli tornò in mente l’immagine di una donna coperta di vomito marrone, con gli occhi vuoti, ma non seppe dire se fosse soltanto parte di un incubo.
Naomi stava continuando a parlare. Qualcosa a proposito di ricambio completo del plasma e di danno cellulare. Cercò di alzare una mano, di protendersi verso di lei, ma fu trattenuto da una cinghia. Il dolore che sentiva alla schiena proveniva dai reni, e si chiese che cosa, esattamente, stessero filtrando fuori dal suo sangue. Miller chiuse gli occhi e si addormentò prima di poter decidere se riposare o meno.
Stavolta non fu turbato da alcun sogno. Si destò quando qualcosa si mosse in fondo alla sua gola, tirando sulla laringe e sfilandosi. Senza nemmeno aprire gli occhi, rotolò da un lato, tossì, vomitò e tornò nella posizione precedente.
Quando si svegliò, respirava da solo. Sentiva la gola infiammata e malconcia, e aveva le mani legate. Gli avevano piantato dei tubi di drenaggio nell’addome e sul fianco, e dal suo pene fuoriusciva un catetere delle dimensioni di una penna. Non sentiva alcun dolore particolare, per cui immaginò che gli avessero inoculato più o meno tutti i narcotici esistenti in commercio. Non aveva più vestiti, e il suo pudore era stato preservato unicamente da una sottile vestaglia di carta e un gesso che gli manteneva il braccio fermo e inamovibile come una pietra. Qualcuno aveva posato il suo cappello sul letto a fianco.
L’infermeria, ora che poteva vederla, sembrava il reparto di una serie di intrattenimento ad alto budget. Non era un ospedale; era l’idea perfettamente plastica di ciò che sarebbe dovuto essere. Gli schermi sospesi erano sorretti da complesse armature snodabili e riportavano pressione sanguigna, concentrazioni di acido nucleico, ossigenazione, bilanciamento dei fluidi. C’erano due diversi timer in funzione, uno per il giro seguente di autofagici, l’altro per gli antidolorifici. Dall’altra parte del corridoio, su un altro sistema di monitoraggio, i valori di Holden sembravano più o meno uguali.
Il capitano sembrava un fantasma. Aveva la pelle morta e le sclere arrossate per un centinaio di minuscole emorragie. Il suo viso era gonfio di steroidi.
«Ehi» disse Miller.
Holden alzò una mano, salutandolo debolmente.
«Ce l’abbiamo fatta» riprese Miller. Gli sembrava che la sua voce fosse stata trascinata sul selciato per le caviglie.
«Già» disse Holden.
«Ce la siamo vista brutta.»
«Già.»
Miller annuì. Quello scambio di battute aveva prosciugato tutte le sue energie. Tornò a rilassarsi sul lettino e, se non per dormire, per perdere i sensi. Appena prima che la sua mente tornasse a perdersi nell’oblio, Miller sorrise. Ce l’aveva fatta. Era sulla nave di Holden. E sarebbero andati alla ricerca di qualsiasi cosa Julie si fosse lasciata alle spalle per loro.
Delle voci lo svegliarono.
«Allora forse non dovresti.»
Era la donna. Naomi. Una parte di sé la maledisse per averlo disturbato, ma c’era una nota nella sua voce... non proprio di paura o di rabbia, ma abbastanza prossima a esse da risultare interessante. Miller non si mosse. La sua mente non tornò nemmeno completamente in superficie, ma rimase in ascolto.
«Devo farlo» disse Holden. La sua voce sembrava catarrosa, come quella di qualcuno che avesse bisogno di tossire. «Ciò che è successo su Eros... ha ricollocato molte cose nella giusta prospettiva. Mi sono trattenuto troppo.»
«Capitano...»
«No, stammi a sentire. Quando ero laggiù, convinto che non mi rimanesse altro che una mezz’ora di partite di pachinko taroccati e poi la morte... quando è successo, sapevo bene quali erano i miei rimpianti. Capisci? Ho sofferto per tutte quelle cose che avrei voluto fare e che invece non ho mai avuto il coraggio di compiere. Ora che lo so, non posso semplicemente ignorarlo. Non posso pretendere che non ci sia.»
«Capitano» disse di nuovo Naomi, e la nota nella sua voce era più forte di prima.
Non dirlo, povero stupido, pensò Miller.
«Sono innamorato di te, Naomi» dichiarò Holden.
La pausa non durò più di un battito di ciglia.
«No, signore» replicò lei. «Non lo è.»
«Lo sono eccome. So che cosa stai pensando. Che ho attraversato questa esperienza terribilmente traumatica e che sto facendo tutta quella manfrina sul dare un senso alla vita e sul costruire relazioni, e probabilmente in parte è anche questo. Ma tu devi credere che io sappia esattamente quello che provo. E, quando ero laggiù, sapevo che la cosa che desideravo di più era tornare da te.»
«Capitano. Per quanto tempo abbiamo lavorato insieme?»
«Cosa? Non saprei, esattamente...»
«Così, a occhio e croce.»
«Otto giri e mezzo fanno quasi cinque anni» calcolò Holden. Miller percepiva la confusione nella sua voce.
«Va bene. E, in questo periodo, con quante persone hai condiviso la branda?»
«Ha importanza?»
«Abbastanza.»
«Un po’ di persone.»
«Più di una dozzina?»
«No» rispose lui, ma non sembrava sicuro.
«Facciamo dieci» disse Naomi.
«Okay. Ma stavolta è diverso. Non sto parlando di un’avventura di bordo per passare il tempo. Da quando...»
Miller s’immaginò la donna che alzava una mano, o che prendeva quella di Holden tra le sue, o magari che lo fulminava semplicemente con lo sguardo. Qualcosa che aveva interrotto il flusso del discorso.
«E lo sa quand’è che mi sono innamorata di lei, signore?»
Rammarico. Ecco cos’era quella nota nella sua voce. Rammarico. Delusione. Rimpianto.
«Quando... quando tu...?»
«Posso dirti il giorno preciso» proseguì Naomi. «Erano passate sette settimane dall’inizio di quel primo giro. Stavo ancora digerendo il fatto che un qualche terrestre venuto da fuori dall’eclittica mi avesse soffiato l’incarico da vicecomandante. All’inizio non mi piacevi granché. Eri troppo affascinante, troppo carino, e troppo dannatamente comodo sulla mia poltrona. Poi però c’è stata una partita di poker nella sala motori. Tu, io, quei due ragazzi di Luna del reparto meccanici e Kamala Trask. Ti ricordi di Trask?»
«Era l’addetta alle comunicazioni. Era...»
«Come uno scaldabagno? Con la faccia da bulldog?»
«Mi ricordo di lei.»
«Aveva una cotta per te, di quelle serie. Si addormentava piangendo tutte le sere, durante quel primo giro. Non stava giocando perché le piaceva il poker. Voleva soltanto respirare un po’ della tua stessa aria, e lo sapevamo tutti. Perfino tu. E, per l’intera serata, vi ho osservato entrambi; tu non l’hai mai assecondata. Non le hai mai dato motivo di pensare che avesse una possibilità con te. Eppure la trattavi con rispetto. Quella è stata la prima volta che ho pensato che saresti potuto essere un vicecomandante decente, ed è stata la prima volta che ho desiderato di poter essere io, la ragazza nel tuo letto a fine turno.»
«Per via di Trask?»
«Per quello, e perché ha un gran bel culo, signore. Quel che voglio dire è che abbiamo volato insieme per più di quattro anni. E ci sarei stata in qualunque di quei giorni, se me l’avessi chiesto.»
«Non lo sapevo» rispose Holden. La sua voce sembrò un po’ strozzata.
«Non me l’hai mai chiesto. Hai rivolto sempre le tue mire altrove. E, sinceramente, credo che le donne cinturiane ti scoraggino. Finché la Cant... finché siamo rimasti soltanto noi cinque. Ho visto come mi guardavi. So esattamente che cosa significavano quegli sguardi, perché ho passato quattro anni dall’altra parte della barricata. Ma ho ottenuto la tua attenzione soltanto quando ero l’unica femmina a bordo, e questo non mi basta.»
«Non so proprio...»
«No, signore. Non lo sai. È questo il punto. Ti ho visto sedurre molte donne, e so come lo fai. Ti fissi con una donna, ti fai eccitare da lei. Poi ti convinci che tu e lei avete una sorta di relazione speciale e, quando arrivi a crederci, solitamente anche la poveretta pensa che sia così. E poi ci vai a letto per un po’, e la relazione comincia a infiacchirsi. Tu o lei cominciate a usare parole come ‘professionale’ o ‘limiti opportuni’, o a preoccuparvi di quello che penserà l’equipaggio, e tutto il castello crolla giù. Dopo ti vogliono ancora bene. Tutte. Fai ogni cosa così bene che alla fine non sentono nemmeno di doverti odiare per questo.»
«Non è vero.»
«Lo è. E finché non capirai che non devi per forza amare tutte quelle con cui hai una relazione, non saprò mai se mi ami davvero o se vuoi semplicemente portarmi a letto. E non ci verrò finché tu non saprai di quale delle due cose si tratti. L’amore parte sfavorito.»
«Stavo soltanto...»
«Se vuoi venire a letto con me,» disse Naomi «sii sincero. Abbi abbastanza rispetto di me da esserlo. Va bene?»
Miller tossì. Non era sua intenzione, non sapeva nemmeno che stava per farlo. La pancia gli si tese, la gola si chiuse e si scatenò una tosse grassa e profonda. Una volta cominciato, era difficile fermarsi. Si mise seduto, lacrimando per lo sforzo. Holden era sdraiato sul suo letto. Naomi era seduta su quello accanto, sorridendo come se non ci fosse stato niente da origliare. I monitor di Holden indicavano un battito cardiaco accelerato e una pressione alta. Miller poté soltanto sperare che quel povero cristo non avesse avuto un’erezione con il catetere ancora infilato.
«Ehi, detective» disse Naomi. «Come ti senti?»
Miller annuì.
«Sono stato peggio» rispose. Poi, un attimo dopo aggiunse: «Anzi, no. Peggio di così mai. Ma sto bene. Stavamo conciati molto male?»
«Siete morti entrambi» replicò Naomi. «Dico sul serio, abbiamo dovuto disabilitare i filtri di priorità emergenziale per entrambi più di una volta. Il sistema medico meccanico continuava a dichiararvi in fase terminale e a imbottirvi di morfina.»
Lo raccontò con tono leggero, ma Miller le credeva. Cercò di mettersi a sedere dritto. Sentiva il proprio corpo terribilmente pesante, ma non sapeva se fosse per via della propria debolezza o a causa dell’accelerazione della nave. Holden era silenzioso, con la mascella serrata. Miller fece finta di non accorgersene.
«Dovrete entrambi sottoporvi a un controllo mensile per prevenire una recidiva del cancro per il resto delle vostre vite. Il capitano ha un nuovo impianto al posto della tiroide, considerando che l’originale era praticamente fusa. Abbiamo dovuto asportare mezzo metro del tuo intestino tenue, che non la smetteva di sanguinare. Entrambi sarete facilmente soggetti a lividi per un po’ di tempo e, se volevate dei bambini, spero che abbiate fatto conservare un po’ del vostro sperma in una banca da qualche parte, perché tutti i vostri soldatini ormai hanno due teste.»
Miller ridacchiò. I suoi monitor lampeggiarono inviando un allarme, poi tornarono stabili.
«Dai l’impressione di aver ricevuto un addestramento da tecnico medico» osservò.
«No. Ingegnere. Ma ho letto i referti giorno per giorno, per cui ormai ho acquisito un po’ di gergo. Vorrei che Shed fosse ancora qui con noi» rispose, sembrando triste per la prima volta.
Era la seconda volta che qualcuno menzionava questo Shed. Doveva esserci una qualche storia dietro, ma Miller soprassedette.
«Perderemo i capelli?» chiese.
«Può darsi» rispose Naomi. «Il sistema vi ha imbottito di medicinali che dovrebbero contrastare la degenerazione fisica ma, se i follicoli muoiono, allora muoiono, punto e basta.»
«Be’... è un bene che abbia ancora il mio cappello, allora. Che notizie da Eros?»
Il tono di finta leggerezza di Naomi venne meno.
«È andata» disse Holden dal suo letto, voltandosi per osservare Miller. «Credo che siamo stati l’ultima nave a lasciare il porto. La stazione non risponde alle chiamate e i sistemi automatici l’hanno messa in blocco di quarantena.»
«Navi di soccorso?» chiese Miller, e tossì di nuovo. Aveva la gola ancora riarsa.
«Niente da fare» rispose Naomi. «Sulla stazione c’erano un milione e mezzo di persone. Nessuno dispone delle risorse necessarie a organizzare questo genere di operazioni di salvataggio.»
«Dopotutto,» osservò Holden «è in corso una guerra.»
Il sistema automatico attenuò le luci per la notte. Miller giaceva sdraiato sul letto. L’impianto medico di bordo aveva fatto passare il suo regime di cure a una nuova fase e, durante le ultime tre ore, Miller aveva fatto la spola tra febbroni da cavallo e brividi da far battere i denti. I suoi denti e le unghie delle dita di mani e piedi gli facevano un male cane. Il sonno era una chimera, per cui se ne rimase lì sdraiato nella penombra a cercare di rimettere insieme i pezzi.
Si chiese che cosa avrebbero pensato i suoi vecchi partner del suo comportamento su Eros. Havelock. Muss. Cercò d’immaginarseli nei suoi panni. Aveva ucciso delle persone, e l’aveva fatto a sangue freddo. Eros era diventata una kill box e, quando le persone incaricate di far rispettare la legge ti volevano morto, la legge non si applicava più. E poi, alcuni di quegli stronzi che aveva ammazzato avevano ucciso Julie.
Si trattava di omicidio per vendetta, quindi. Era davvero arrivato a quel punto? Era un pensiero che lo rattristava. Cercò di immaginare Julie che sedeva accanto a lui come aveva fatto Naomi con Holden. Era come se avesse aspettato di essere invitata. Julie Mao, che non aveva mai conosciuto per davvero. Alzò una mano per salutarlo.
E che ne è di noi?, le chiese Miller fissandola nei suoi occhi scuri e irreali. Ti amo davvero, o è solo che voglio amarti a tal punto che non riesco a capire la differenza?
«Ehi, Miller» disse Holden, e Julie svanì. «Sei sveglio?»
«Già. Non riesco a dormire.»
«Io nemmeno.»
Rimasero in silenzio per un po’. L’impianto medico di bordo si attivò. Miller sentì un pizzicorio al braccio sinistro, imprigionato nel gesso, mentre i tessuti venivano sottoposti a un altro giro di ricrescita forzata.
«Riesci a cavartela?» chiese Miller.
«Perché non dovrei?» rispose Holden seccamente.
«Hai ammazzato quel tipo» disse Miller. «Sulla stazione. Gli hai sparato. Voglio dire, so che avevi sparato ad altri prima di allora... ma lì, proprio verso la fine, hai colpito in faccia un uomo.»
«Già. È così.»
«E ti senti a posto?»
«Sicuro» replicò Holden, troppo in fretta.
I riciclatori d’aria ronzarono, e il bracciale per la pressione sul braccio buono di Miller lo strinse come una mano. Holden non disse niente ma, quando Miller strizzò gli occhi, poté constatarne l’elevata pressione sanguigna e il miglioramento dell’attività cerebrale.
«Ci facevano sempre prendere un periodo di congedo» disse Miller.
«Come?»
«Quando sparavamo a qualcuno. Che morisse o meno, ci facevano sempre prendere un permesso retribuito. Ci facevano restituire l’arma e ci mandavano a parlare con uno strizzacervelli.»
«Burocrati» commentò Holden.
«Non avevano torto» ribatté Miller. «Sparare a una persona ti cambia. Uccidere una persona... è anche peggio. Non importa se la vittima se lo meritava o se non potevi fare altrimenti. Anzi, un po’ di differenza forse la fa. Ma non cancella quel che è accaduto.»
«Mi pare che tu l’abbia superato, però.»
«Forse» replicò Miller. «Ascolta. Tutto quello che ho detto laggiù sul fatto di uccidere una persona...sul fatto che lasciarla in vita non voleva dire fargli un favore... mi dispiace che sia successo.»
«Pensi di aver sbagliato?»
«No. Ma mi dispiace comunque che sia accaduto.»
«Okay.»
«Cristo. Guarda, sto solo dicendo che è un bene che ti preoccupi di queste cose. È un bene che tu non riesca a smettere di vederlo o di risentirlo. Quella parte in cui quel che hai fatto ti tormenta... È così che dovrebbe essere.»
Holden rimase in silenzio per un momento. Quando parlò di nuovo, la sua voce era ruvida come pietra.
«Ho ucciso altre persone prima d’ora, sai. Ma erano puntini su un radar. Io...»
«Non è la stessa cosa, vero?» chiese Miller.
«No, non lo è» rispose Holden. «Passa mai?»
A volte, pensò Miller.
«No» disse. «Non se hai ancora un’anima.»
«Okay. Grazie.»
«Un’altra cosa...»
«Sì?»
«So che non sono affari miei, ma se fossi in te non mi lascerei scoraggiare da lei. Dice che non capisci il sesso, l’amore e le donne... significa semplicemente che sei nato con un cazzo tra le gambe. E quella ragazza, Naomi, sembra valere davvero la pena di lottare per conquistarla. Mi spiego?»
«Già» riconobbe Holden. Poi aggiunse: «Possiamo non parlarne mai più?»
«Sicuro.»
La nave cigolò e la gravità si spostò di un grado alla destra di Miller. Correzione di rotta. Niente d’interessante. Miller chiuse gli occhi e cercò di costringersi a dormire. Aveva la mente piena di cadaveri, di Julie, di amore e sesso. Holden aveva detto qualcosa d’importante sulla guerra, ma non riusciva a mettere insieme i pezzi. Continuavano a cambiare. Miller sospirò, spostò il proprio peso bloccando uno dei suoi tubi di drenaggio e dovette tornare nella posizione precedente per far cessare l’allarme che era scattato.
Quando il bracciale della pressione si riattivò, era Julie che gli stringeva il braccio, facendoglisi tanto vicina da sfiorargli l’orecchio con le labbra. Miller aprì gli occhi e la sua mente vide sia la ragazza immaginaria, sia gli schermi che la sua presenza avrebbe coperto alla vista se fosse stata davvero lì.
Ti amo anch’io, gli disse. E mi prenderò cura di te.
Lui sorrise nel vedere i numeri che cambiavano mentre il suo cuore prendeva ad accelerare.