13

Holden

Holden rimase pietrificato a fissare il sangue che pompava dal collo di Shed e che veniva aspirato come fumo da una ventola di scarico. I rumori del combattimento cominciarono a scemare mentre l’aria veniva risucchiata fuori dalla stanza. Le sue orecchie cominciarono a pulsare e poi a far male come se qualcuno ci avesse piantato uno spillone. Mentre lottava con le cinture di sicurezza, lanciò un’occhiata ad Alex. Il pilota stava gridando qualcosa ma, in quell’aria rarefatta, la sua voce non risuonava. Naomi e Amos erano già fuori dai sedili, si erano dati una spinta con i piedi e stavano fluttuando rapidi verso i due fori. Amos aveva un vassoio in una mano. Naomi, un raccoglitore bianco ad anelli. Holden li fissò per quel mezzo secondo che gli ci volle per capire che cosa stessero tentando di fare. Il mondo si restrinse intorno a lui, la sua visione periferica si riempì di bagliori e oscurità.

Quando riuscì a liberarsi, Amos e Naomi avevano già coperto i fori con i loro tappi improvvisati. La stanza era invasa dal sibilo acuto dell’aria che cercava di forzare una via di fuga attraverso quei blocchi imperfetti. Holden si sentì tornare la vista mentre la pressione atmosferica riprendeva a salire. Respirava a fatica, annaspando. Gli sembrò che qualcuno stesse tirando di nuovo su la manopola del volume, e le grida di aiuto di Naomi divennero udibili.

«Jim, apri l’armadietto di emergenza!» gridò.

Gli stava indicando un piccolo pannello rosso e giallo sulla paratia accanto al suo sedile. Gli anni di addestramento a bordo di una nave si fecero largo attraverso l’anossia e la depressurizzazione, e Holden strappò il sigillo sull’armadietto e aprì lo sportello. All’interno c’erano un kit di pronto soccorso marchiato con l’antico simbolo della croce rossa, una mezza dozzina di maschere a ossigeno e una busta sigillata di dischi di plastica rigida insieme a una pistola a caldo. Il kit di sigillatura di emergenza. Lo afferrò.

«Solo la pistola» gli gridò Naomi. Non sapeva se la sua voce suonava distante per via dell’aria rarefatta o perché l’abbassamento di pressione gli aveva perforato i timpani.

Holden tirò fuori la pistola dalla busta di rattoppi e gliela lanciò. Naomi fece passare una striscia di colla sigillante istantanea intorno al bordo del suo raccoglitore ad anelli. Poi tirò la pistola ad Amos, che la raccolse con un gesto abile della mano e sigillò anche il suo vassoio da portata. Il fischio s’interruppe, sostituito dal sibilo del sistema atmosferico interno che faticava a riportare la pressione a un livello normale. Quindici secondi.

Tutti guardarono verso Shed. Senza il vuoto, il sangue si riversava in una sfera rossa che galleggiava appena sopra il suo collo, come un macabro sostituto animato della testa.

«Cristo santo, capo» disse Amos, distogliendo lo sguardo da Shed e spostandolo su Naomi. Fece schioccare i denti con un ticchettio udibile e scosse la testa. «Che cosa...»

«Proiettili gauss» rispose Alex. «Quelle navi hanno dei cannoni a rotaia.»

«Navi della Fascia con cannoni a rotaia?» chiese Amos. «Si sono per caso costruiti una fottuta flotta militare senza che nessuno mi dicesse niente?»

«Jim, il corridoio esterno e la cabina dall’altra parte sono entrambi privi di atmosfera» disse Naomi. «La nave è compromessa.»

Holden fece per rispondere, poi diede un’occhiata al raccoglitore che Naomi aveva incollato sulla falla. La copertina bianca recava una scritta in lettere nere che dicevano ‘MRCM-Procedure di emergenza’. Dovette ricacciarsi in gola una risata che sarebbe sicuramente diventata nervosa e inarrestabile.

«Jim» disse Naomi, con voce preoccupata.

«Sto bene, Naomi» replicò Holden, poi fece un respiro profondo. «Quanto tempo reggeranno quelle toppe?»

Naomi fece spallucce con le mani, poi cominciò a raccogliersi i capelli sulla nuca e a legarli con un elastico rosso.

«Più a lungo di quanto non durerà l’aria. Se tutto intorno a noi c’è vuoto, significa che in questo momento lo scompartimento è rifornito dalle bombole di emergenza. Niente ricircolo. Non so quanto duri per ogni stanza, ma non dovrebbe essere più di un paio d’ore.»

«Ti fa venir voglia di aver messo quelle cazzo di tute, eh?» disse Amos.

«Non avrebbe fatto alcuna differenza» rispose Alex. «Se fossimo sbarcati con indosso le tute ambientali, ce le avrebbero tolte.»

«Almeno potevamo provarci» ribatté Amos.

«Be’, se vuoi prenderti la briga di tornare indietro nel tempo e fare tutto da capo, fa’ pure, socio.»

Naomi intervenne seccamente con un «Ehi», poi però nient’altro.

Nessuno stava parlando di Shed. Si stavano sforzando di non guardare il cadavere. Holden si schiarì la gola per attirare l’attenzione di tutti, poi fluttuò verso il sedile del compagno morto, portando con sé i loro sguardi. Si fermò lì per un momento, permettendo a tutti di dare un’ultima occhiata al corpo decapitato, dopodiché tirò fuori una coperta dal cassetto sotto il sedile e la fissò sul corpo di Shed con l’aiuto delle cinture.

«Shed è stato ucciso. Siamo in una situazione di massimo pericolo. Litigare non ci aiuterà ad allungare le nostre vite» disse Holden, guardando uno per uno i membri del suo equipaggio. «Che cosa possiamo fare?»

Nessuno disse niente. Holden si voltò di nuovo verso Naomi.

«Naomi, che cosa potrebbe aiutarci a restare in vita un po’ più a lungo e che potremmo fare ora?» chiese.

«Vedrò se riesco a trovare le bombole d’emergenza. La stanza è pensata per sei occupanti, noi siamo solo in... siamo solo in quattro. Forse potrei riuscire a rallentare il flusso e a prolungarlo di un po’.»

«Bene. Grazie. Alex?»

«Se c’è qualcun altro oltre a noi, staranno cercando i sopravvissuti. Comincerò a picchiare contro la paratia. Nel vuoto non si sentirà ma, se ci sono altre cabine con dell’aria, il suono viaggerà attraverso il metallo.»

«Un buon piano. Mi rifiuto di credere che siamo gli unici rimasti su questa nave» disse Holden, poi si voltò verso Amos. «Amos?»

«Fatemi dare un’occhiata a quel pannello di comunicazione. Forse potrei riuscire ad accedere alla plancia o al controllo dei danni, o... cazzo, a qualcosa» rispose Amos.

«Grazie. Mi farebbe molto piacere riuscire a segnalare che siamo ancora qui» disse Holden.

Ognuno si mise al lavoro mentre Holden fluttuava in aria accanto a Shed. Naomi cominciò a tirar via i pannelli di accesso dalle paratie. Alex, con le mani appoggiate a un sedile per far leva, si sdraiò sul ponte e cominciò a scalciare contro la paratia con gli stivali. La stanza vibrava appena a ogni calcio. Amos tirò fuori dalla tasca un attrezzo multiplo e cominciò a smontare il pannello di comunicazione.

Quando Holden fu sicuro che fossero tutti impegnati, posò una mano sulla spalla di Shed, poco sotto la macchia rossa che si stava allargando sulla coperta.

«Mi dispiace» sussurrò al corpo. Sentì un bruciore agli occhi e se li premette con il retro dei pollici.

L’unità di comunicazione era stata estratta dalla paratia e penzolava appesa ai suoi fili quando ronzò una volta, con forza. Amos guaì e si spinse via con tanta veemenza da catapultarsi attraverso la stanza. Holden lo afferrò al volo e si slogò la spalla cercando di arrestare lo slancio di quei centoventi chili di meccanico terrestre. Il pannello ronzò di nuovo. Holden lasciò andare Amos e fluttuò verso la paratia. Un LED giallo baluginava accanto al pulsante bianco dell’unità. Holden lo premette. Il pannello si animò con la voce del tenente Kelly.

«Scansatevi dal portello, stiamo per entrare» disse.

«Aggrappatevi a qualcosa!» gridò Holden all’equipaggio, poi afferrò la cinghia di un sedile e se l’avvolse attorno alla mano e all’avambraccio.

Quando il portellone si aprì, Holden si aspettava che tutta l’aria fosse risucchiata all’esterno. Invece, ci fu uno schianto assordante e la pressione sembrò calare appena per un secondo. Fuori, nel corridoio, spessi fogli di plastica erano stati sigillati tra le pareti, creando una zona pressurizzata su misura. Le pareti della nuova sala si piegarono pericolosamente all’infuori per via della pressione atmosferica, ma ressero. All’interno di quella zona franca, il tenente Kelly e tre dei suoi marine indossavano pesanti armature pressurizzate ed erano carichi di armi a sufficienza per combattere diverse guerre minori.

I marine entrarono rapidamente nella stanza, imbracciando le armi, e sigillarono il portello alle loro spalle. Uno di loro gettò un grosso sacco verso Holden.

«Cinque tute pressurizzate. Indossatele» disse Kelly. I suoi occhi si spostarono verso la coperta imbevuta di sangue che copriva Shed, poi alle due toppe improvvisate. «Avete subìto perdite?»

«Il nostro medico, Shed Garvey» rispose Holden.

«Già. Ma che cazzo succede?» chiese Amos quasi gridando. «Chi è che se ne sta là fuori a rompere il culo a cannonate alla vostra bella nave?»

Naomi e Alex non dissero niente e cominciarono a tirar fuori le tute dalla borsa e a porgerle ai compagni.

«Non lo so» rispose Kelly. «Ma stiamo abbandonando la nave. Ho ricevuto l’ordine di portarvi in salvo su una scialuppa. Abbiamo meno di dieci minuti per raggiungere la piattaforma di attracco, salire su una nave di salvataggio e allontanarci dalla zona dello scontro. Fate in fretta.»

Holden indossò la tuta, e le implicazioni di quell’evacuazione gli balenarono nella mente.

«La nave sta andando in pezzi, tenente?» chiese.

«Non ancora. Ma siamo stati abbordati.»

«E allora perché ce ne andiamo?»

«Stiamo perdendo.»

Kelly non batté il piede con impazienza mentre aspettava che si infilassero le tute pressurizzate; Holden immaginò che fosse soltanto perché i marine avevano gli stivali magnetici già attivi. Non appena tutti ebbero segnalato di essere pronti, Kelly eseguì un rapido controllo radio su ogni tuta, poi uscì nel corridoio. Con otto persone al suo interno, quattro delle quali in armatura pesante, la piccola cabina pressurizzata era decisamente affollata. Kelly tirò fuori un coltello da guerra da un fodero che portava sul petto e dilaniò la barriera di plastica con un unico, rapido movimento. Il portello alle loro spalle si richiuse di scatto e l’aria nel corridoio svanì mentre i fogli di plastica finivano di strapparsi senza produrre alcun rumore. Kelly partì di corsa lungo il corridoio, con l’equipaggio che si sforzava di rimanere al passo con lui.

«Ci spostiamo a tutta velocità verso il gruppo di ascensori della chiglia» disse Kelly attraverso il collegamento radio. «Sono sigillati per via dell’allarme, ma posso aprire le porte di uno di essi e galleggeremo lungo la tromba fino alla piattaforma di attracco. Dovremo fare tutto di corsa. Se doveste vedere degli assalitori, non vi fermate. Continuate a muovervi, sempre. Ci occuperemo noi di eventuali presenze ostili. Ricevuto?»

«Ricevuto, tenente» annaspò Holden. «Ma perché abbordare voi?»

«Il centro informazioni di comando» disse Alex. «È come il sacro Graal. Codici, schieramenti, nuclei computerizzati, strategie. Impossessarsi del CIC di un’ammiraglia è il sogno erotico di ogni stratega.»

«Basta chiacchiere» disse Kelly. Holden lo ignorò.

«Questo significa che faranno saltare in aria il nucleo, piuttosto che lasciarlo in mano nemica, dico bene?»

«Già» rispose Alex. «Procedura standard in caso di abbordaggio. I marine devono mantenere il controllo di plancia, CIC e sala macchine. Qualora uno dei tre venisse perso, gli altri due innescano l’esplosione, e la nave diventa come una stella per qualche secondo.»

«Procedura standard» ringhiò Kelly. «Quelli sono miei amici.»

«Desolato, tenente» replicò Alex. «Ho prestato servizio sulla Bandon. Non intendevo prenderla alla leggera.»

Svoltarono l’angolo e il blocco di ascensori fu presto in vista. Tutti e otto erano chiusi e sigillati. I portelloni ad alta pressurizzazione si erano chiusi quando la nave era stata forata.

«Gomez, attiva il bypass» disse Kelly. «Mole, Dookie, tenete d’occhio i corridoi.»

Due marine si allargarono a ventaglio, controllando i corridoi attraverso il mirino. Il terzo si avvicinò a una delle porte degli ascensori e cominciò ad armeggiare con i controlli. Holden segnalò al suo equipaggio di addossarsi alla parete, fuori da possibili linee di tiro. Di tanto in tanto, il ponte vibrava lievemente sotto i suoi piedi. Era improbabile che le navi nemiche avessero continuato a sparare con i propri assalitori all’interno. Doveva trattarsi di armi da incursione e di esplosivi leggeri. Mentre se ne stavano lì, nell’assoluto silenzio del vuoto, gli eventi si velarono di una sensazione surreale e distante. Holden si rese conto che la sua mente non stava funzionando come avrebbe dovuto. Era una reazione al trauma. La distruzione della Canterbury, le morti di Ade e McDowell. E ora qualcuno aveva ammazzato Shed mentre se ne stava legato al suo sedile. Era troppo; non riusciva ad accettarlo. Sentì la scena intorno a sé farsi sempre più distante.

Holden guardò verso Naomi, Alex e Amos. Il suo equipaggio. Loro gli restituirono lo sguardo, con i volti sbiancati e spettrali nella luce verde dei monitor dei loro caschi. Gomez alzò un pugno in segno di vittoria mentre il portello pressurizzato esterno dell’ascensore si apriva, rivelando le porte dell’ascensore. Kelly fece un gesto ai suoi uomini di copertura.

Quello di nome Mole si voltò e cominciò a tornare verso l’ascensore, quando la sua faccia si disintegrò in un’esplosione di frammenti di vetro rinforzato e sangue. La sua corazza e la paratia del corridoio alle sue spalle furono investite da un centinaio di piccole detonazioni e riccioli di fumo. Il suo corpo sobbalzò come quello di una marionetta, inchiodato al pavimento dagli stivali magnetici.

La sensazione d’irrealtà che attanagliava Holden fu spazzata via dall’adrenalina. La raffica di colpi che aveva investito la parete e il corpo di Mole consisteva di proiettili esplosivi ad alta intensità, sparati da un’arma a ripetizione. La linea di comunicazione si riempì delle grida dei marine e dell’equipaggio di Holden. Alla sua sinistra, Gomez spalancò le porte dell’ascensore grazie alla forza accresciuta dall’armatura potenziata, rivelando il condotto vuoto alle loro spalle.

«Dentro!» gridò Kelly. «Tutti dentro!»

Holden rimase indietro, spingendo dentro Naomi, poi Alex. L’ultimo marine, quello che Kelly aveva chiamato Dookie, scaricò il fucile automatico verso un bersaglio dietro l’angolo, che Holden non riusciva a vedere. Quando esaurì i proiettili, il marine posò un ginocchio a terra ed espulse il caricatore con un unico gesto fluido. Ne estrasse uno di riserva dal pettorale della corazza e lo piantò nella sua arma più rapidamente di quanto Holden non riuscisse a seguire con lo sguardo. Il marine riprese a sparare meno di due secondi dopo aver esaurito il primo caricatore.

Naomi gridò a Holden di entrare nel condotto dell’ascensore, poi una mano simile a una morsa d’acciaio lo afferrò per una spalla, lo tirò via dalla presa magnetica dei suoi stivali sul pavimento e lo scaraventò attraverso le porte dell’ascensore.

«Si faccia ammazzare quando non sono io a fare da baby-sitter» abbaiò il tenente Kelly.

Si spinsero contro le pareti del condotto e fluttuarono giù per il lungo tunnel, verso poppa. Holden continuava a guardarsi alle spalle, verso la porta aperta che si allontanava sempre di più.

«Dookie non ci sta seguendo» disse.

«Ci sta coprendo la via di fuga» replicò Kelly.

«Sarà meglio che ce la caviamo, allora» aggiunse Gomez. «Che il suo gesto sia valso a qualcosa.»

Kelly, in testa al gruppo, afferrò un piolo sulla parete del condotto e si fermò di colpo. Tutti gli altri lo imitarono.

«Questa è la nostra uscita. Gomez, va’ a dare un’occhiata» disse Kelly. «Holden, ecco il piano: prenderemo una delle corvette dalla piattaforma di attracco.»

A Holden parve sensato. Le corvette erano fregate leggere; navi scorta, le più piccole a essere equipaggiate con un propulsore Epstein. Sarebbe stata sufficientemente veloce da poter viaggiare ovunque nel sistema e far mangiare la polvere alla maggior parte delle minacce possibili. Ricopriva anche il ruolo secondario di torpediniera, per cui aveva le sue difese. Holden annuì nel suo casco verso Kelly, poi gli fece segno di proseguire. Kelly aspettò finché Gomez non ebbe finito di aprire le porte dell’ascensore e fu giunto sulla piattaforma.

«Okay. Ho la chiave e il codice di attivazione per farci salire a bordo della nave e avviarla. Andrò dritto alla corvetta, per cui statemi attaccati alle chiappe. Accertatevi di aver disattivato i magneti degli stivali. Ci spingeremo contro il muro e fluttueremo in linea retta, per cui prendete bene la mira o perderete il treno. Ci siamo tutti?»

Tutti risposero affermativamente.

«Magnifico. Gomez, com’è la situazione là fuori?»

«Abbiamo un problema, tenente. C’è una mezza dozzina di assalitori a tener d’occhio i mezzi nell’hangar. Armature potenziate, assetto di manovra a zero g, e artiglieria pesante. Sembrano impazienti di dar battaglia» sussurrò Gomez in risposta. La gente tendeva sempre a sussurrare, quando si nascondeva. Avvolto com’era dalla sua tuta pressurizzata e circondato dal vuoto, Gomez avrebbe anche potuto accendere un fuoco d’artificio dentro la sua corazza e nessuno l’avrebbe sentito, eppure sussurrava.

«Ci dirigeremo dritti verso la nave, aprendoci un varco con le armi» disse Kelly. «Gomez, porto fuori i civili tra dieci secondi. Tu ci coprirai le spalle. Una volta attaccata battaglia, mantieniti in continuo movimento. Cerca di fargli credere che sei un piccolo plotone.»

«Mi sta dando del piccolo, signore?» replicò Gomez. «Sei stronzi morti in arrivo.»

Holden, Amos, Alex e Naomi seguirono Kelly fuori dal condotto dell’ascensore, uscendo sulla piattaforma di attracco e fermandosi dietro un cumulo di casse color verde militare. Holden sbirciò da sopra e individuò subito gli assalitori. Erano in due gruppi da tre unità, vicino al Knight; uno sopra lo shuttle, e l’altro sul ponte sotto di esso. Avevano una corazza semplice, completamente nera. Holden non aveva mai visto quel modello prima di allora.

Kelly li indicò e guardò Holden. Lui annuì. Poi il tenente indicò una fregata nera e tozza dall’altra parte dell’hangar, a venticinque metri di distanza, a metà strada tra loro e il Knight. Aprì la mano sinistra e cominciò a contare da cinque richiudendo le dita. Quando arrivò a due, la sala s’illuminò di lampi come una discoteca con la luce stroboscopica: Gomez aveva aperto il fuoco da un punto a dieci metri da loro. La prima raffica colpì due degli assalitori sopra il Knight e li mandò a gambe all’aria. Un istante dopo, una seconda raffica fu sparata da cinque metri di distanza rispetto al punto da cui Holden aveva visto partire la prima. Avrebbe potuto giurare che si trattasse di due uomini diversi.

Kelly ripiegò l’ultimo dito della mano, puntò i piedi contro la parete e si spinse verso la corvetta. Holden aspettò che Alex, Amos e Naomi lo imitassero, poi partì per ultimo. Quando si mise in movimento, Gomez stava già aprendo il fuoco da un’altra posizione. Uno degli assalitori puntò un’arma imponente verso i lampi dei suoi spari. Gomez e la cassa dietro cui si era riparato saltarono in un’esplosione di fuoco e schegge.

Erano arrivati a metà percorso verso la nave, e Holden stava cominciando a pensare che avrebbero potuto farcela, quando una striscia di fumo attraversò la sala e intercettò Kelly; il tenente si disgregò in un lampo di luce.