20
Miller
Miller era seduto al tavolo di un bar all’aperto, con il tunnel che si apriva ampio sopra di lui. Nelle aiuole pubbliche l’erba cresceva alta e pallida, e il soffitto brillava di un bianco pancromatico. La Stazione di Ceres cominciava ad andare alla deriva. Le meccaniche orbitali e l’inerzia la mantenevano fisicamente al proprio posto di sempre, ma la sua storia era cambiata. I sistemi di difesa erano gli stessi. La resistenza a trazione dei portelloni di sicurezza del porto era immutata. Tutto ciò che avevano perso era l’effimero scudo rappresentato dallo status politico, ed era stato come perdere tutto.
Miller si chinò in avanti e sorseggiò il suo caffè.
Alcuni ragazzi giocavano sulle aiuole. Li vide come dei ragazzini, anche se gli venne in mente che, a quell’età, lui si considerava un adulto. Quindici, sedici anni. Indossavano dei bracciali dell’APE. I ragazzi discutevano a voce alta, rabbiosa, di tirannia e libertà. Le ragazze li guardavano pavoneggiarsi di fronte a loro. L’antica storia del mondo animale era sempre la stessa, che fosse su uno scoglio in rotazione circondato dal vuoto assoluto o nelle minuscole riserve di scimpanzé sulla Terra. Perfino lì, sulla Fascia, la gioventù ti dava l’illusione di essere invulnerabile, immortale, un’incrollabile convinzione che, per te soltanto, le cose sarebbero state diverse; che le leggi della fisica ti avrebbero graziato, che i missili non ti avrebbero mai colpito, che l’aria non sarebbe mai venuta a mancare di punto in bianco. Magari agli altri poteva capitare, alle navi da combattimento raffazzonate dell’APE, ai cargo cisterna, ai caccia d’assalto marziani, alla Scopuli, alla Canterbury, alla Donnager e alle centinaia di navi che erano state distrutte nelle piccole azioni di guerriglia da quando il sistema si era trasformato in un campo di battaglia. Agli altri, ma non a te. E quando la gioventù era abbastanza fortunata da sopravvivere al proprio ottimismo, tutto ciò che era rimasto a Miller era una vaga paura, una certa invidia e una soverchiante percezione della fragilità della vita. Ma aveva ancora tre mesi di salario anticipato sul suo conto e un sacco di tempo libero. E il caffè non era malaccio.
«Desidera ordinare qualcos’altro, signore?» chiese il cameriere. Non sembrava più grande degli altri ragazzi sull’aiuola. Miller scosse la testa. Erano passati cinque giorni da quando la Star Helix gli aveva revocato il contratto. Il governatore di Ceres si era eclissato, portato in salvo da un cargo prima che la notizia trapelasse. L’Alleanza dei Pianeti Esterni aveva annunciato l’inclusione di Ceres tra i territori gestiti ufficialmente dall’APE, e nessuno aveva obiettato. Miller aveva passato il primo giorno da disoccupato in stato di ubriachezza, ma la sua sbornia aveva avuto uno strano sapore di pro forma. Si era rifugiato nella bottiglia perché era familiare, perché era la cosa che si faceva quando perdevi la carriera che ti definiva come individuo.
Il secondo giorno l’aveva impiegato per superare la sbornia. Il terzo aveva cominciato ad annoiarsi. Su tutta la stazione, le forze di sicurezza erano impegnate nel tipo di azione dimostrativa che si era aspettato di vedere: mantenimento preventivo dell’ordine. Le poche manifestazioni politiche e proteste erano state stroncate rapidamente e duramente, e ai cittadini di Ceres non era importato poi molto. Avevano gli occhi incollati sui loro schermi, sulla guerra. Un po’ di gente del posto con la testa spaccata che veniva gettata in carcere senza giusta causa era al di sotto della soglia di attenzione pubblica. E, in tutto questo, Miller non aveva alcuna responsabilità personale.
Il quarto giorno aveva controllato il suo terminale, scoprendo di aver ricevuto l’ottanta percento dei registri di attracco per cui aveva fatto richiesta prima che Shaddid gli bloccasse l’accesso. Erano più di mille documenti, e uno qualunque di essi poteva essere l’unica pista rimanente per arrivare a Julie Mao. Per il momento, non si aveva notizia di missili nucleari marziani in viaggio per distruggere Ceres. Nessuna intimazione alla resa. Nessun esercito d’invasione. La situazione poteva precipitare da un istante all’altro ma, finché non l’avesse fatto, Miller avrebbe bevuto caffè e analizzato i registri delle navi, al ritmo di uno ogni quindici minuti. Aveva calcolato che, se quella di Holden fosse stata l’ultima nave di tutti quei registri, l’avrebbe trovato in sei settimane.
L’Adrianopole, una prospettrice di terza generazione, era attraccata a Pallas nella finestra temporale incriminata. Miller controllò il formulario di registrazione, di nuovo frustrato nel constatare quante poche informazioni contenesse in confronto ai database di sicurezza. La nave era di proprietà di Strego Anthony Abramowitz. Aveva otto segnalazioni per manutenzione insufficiente, ed era stata bandita da Eros e da Ceres in quanto ritenuta un pericolo per l’incolumità del porto. Sulla carta si trattava di un idiota con un incidente in lista d’attesa, ma il piano di volo sembrava legittimo, e lo storico della nave era sufficientemente datato da non puzzare di contraffatto. Miller cancellò il file.
La Badass Motherfucker: una nave cargo che triangolava tra Luna, Ganimede e la Fascia. Di proprietà della MYOFB Corporation di Luna. Un controllo sul database pubblico di Ganimede rivelò che aveva lasciato il porto nell’orario previsto e che non si era presa il disturbo di riempire un piano di volo. Miller picchiettò sullo schermo con un’unghia. Non era certo il modo migliore per passare inosservati. Chiunque avesse avuto un minimo di autorità in materia avrebbe rintracciato e multato quella nave anche soltanto per il piacere di farlo. Miller cancellò il file.
Il suo terminale emise un trillo. Un messaggio in entrata. Miller lo aprì. Una delle ragazze sul prato lanciò un grido e le altre scoppiarono a ridere. Un passero le sorvolò, con le ali che frusciavano nella brezza costante del riciclatore.
Havelock aveva un aspetto migliore di quando era su Ceres. Sembrava più felice. Non aveva più gli occhi cerchiati di nero e la forma del suo viso si era vagamente ammorbidita, come se il bisogno di dar prova di sé sulla Fascia gli avesse deformato le ossa e ora stesse tornando invece alla sua fisionomia naturale.
«Miller!» disse il video. «Ho saputo che la Terra ha tagliato fuori Ceres appena prima di ricevere il tuo messaggio. Che sfortuna. Mi dispiace che Shaddid ti abbia licenziato. Detto tra noi, quella donna non è che un’idiota presuntuosa. Dalle voci che corrono, pare che la Terra stia facendo tutto quello che può per tenersi fuori da questa guerra, il che include la cessione di qualunque stazione suscettibile di costituire oggetto di contesa. Sai com’è... quando da un lato hai un pitbull e dall’altro un rottweiler, la prima cosa che fai è mollare la bistecca.»
Miller ridacchiò.
«Ho firmato un contratto con la Protogen, una grossa compagnia di servizi di sicurezza per privati e cazzate del genere. Vista la paga però vale la pena di sopportare le loro manie di grandezza. Il contratto dovrebbe riguardare Ganimede ma, con lo schifo che sta uscendo fuori in queste settimane, chissà come andrà a finire? È saltato fuori che la Protogen ha una base di addestramento sulla Fascia. Non ne avevo mai sentito parlare, ma pare che sia una scuola niente male. So che stanno continuando ad assumere, e sarei felice di spendere una buona parola per te. Basta che tu me lo dica e io vado a parlare con il responsabile del reclutamento, così ti tiriamo fuori da quel dannato scoglio.»
Havelock sorrise.
«Abbi cura di te, collega» disse il terrestre. «Ci sentiamo presto.»
Protogen. Pinkwater. Al Abbiq. Piccole forze di sicurezza aziendali che le grandi compagnie transorbitali usavano come eserciti privati e mercenari da assoldare secondo necessità. Il contratto di sicurezza su Pallas era detenuto da AnnanSec ormai da anni, ma era una compagnia con base su Marte. L’APE stava reclutando, di sicuro, ma non avrebbe certo preso lui.
Erano passati anni dall’ultima volta che aveva cercato lavoro. Aveva dato per scontato di essersi lasciato alle spalle quella specifica difficoltà, e il fatto che sarebbe morto lavorando sotto contratto per la sicurezza e l’ordine pubblico della Stazione di Ceres. Ora che gli eventi l’avevano sbattuto fuori dalla porta, ogni cosa sembrava vacillare intorno a lui. Era come quel momento che passa tra il colpo e la percezione del dolore. Doveva trovarsi un altro lavoro. Doveva fare qualcosa di più che limitarsi a mandare un paio di messaggi ai suoi vecchi partner. Esistevano delle agenzie di collocamento. Su Ceres c’erano dei locali che avrebbero volentieri assunto un ex poliziotto come buttafuori. C’erano zone grigie di mercato che avrebbero impiegato chiunque fosse stato in grado di conferirgli una vaga aura di legalità.
L’ultima delle cose sensate era proprio starsene lì seduto, a sbirciare le ragazzine del parco e a dare la caccia alle possibili piste di un caso che non avrebbe mai nemmeno dovuto seguire fin dall’inizio.
La Dagon era giunta su Ceres appena un po’ in anticipo rispetto all’intervallo di tempo sotto controllo. Era di proprietà della Glapion Collective; Miller era piuttosto sicuro che si trattasse di una copertura di facciata per l’APE. E questo la rendeva potenzialmente sospetta. Sennonché il piano di volo era stato inserito poche ore dopo la distruzione della Donnager, e il registro di uscita da Io sembrava legittimo. Miller spostò il file in una cartella dedicata a quelle navi che meritavano un approfondimento.
La Rocinante, di proprietà della Silencieux Courant Holdings, di Luna, era un cargo cisterna per il trasporto di gas atterrato su Tycho poche ore prima della fine dell’intervallo incriminato. La Silencieux Courant era una società di medie dimensioni senza legami noti con l’APE, e il piano di volo da Pallas era plausibile. Miller fece per cancellare il file, poi si fermò. Si appoggiò allo schienale.
Perché mai un cargo cisterna che trasportava gas si trovava a volare tra Pallas e Tycho? Entrambe le stazioni erano consumatori di gas. Volare da un consumatore all’altro senza passare da un fornitore a metà strada era un buon modo per non coprire le spese di attracco. Fece richiesta di visura del piano di volo che aveva seguito la Rocinante prima di arrivare a Pallas, poi tornò ad appoggiarsi allo schienale e rimase in attesa. Se il registro era presente nei server di Ceres, la risposta non avrebbe dovuto impiegare più di un paio di minuti. La barra di notifica stimava invece un’ora e mezza per il caricamento, il che significava che la richiesta era stata inoltrata ai sistemi di attracco su Pallas. Il piano di volo non era registrato sul server locale.
Miller si accarezzò il mento: cinque giorni senza rasoio avevano quasi dato inizio a una barba. Sentì l’accenno di un sorriso comparirgli sul volto. Fece una ricerca di approfondimento sul termine ‘Rocinante’. Il significato letterale era ‘cavallo non più utile al lavoro’, e la prima accezione era il nome del ronzino di Don Chisciotte.
«Sei tu, Holden?» disse Miller allo schermo. «Te ne vai in giro a combattere contro i mulini a vento?»
«Desidera qualcosa, signore?» chiese il cameriere, ma Miller lo scacciò con un gesto della mano.
C’erano ancora centinaia di registri da esaminare e almeno qualche altra dozzina nella sua cartella di approfondimento. Miller li ignorò, fissando il registro di quell’attracco a Tycho come se potesse costringere lo schermo a far comparire maggiori informazioni con la sola forza di volontà. Poi, lentamente, tornò al messaggio da parte di Havelock, premette il tasto di risposta e fissò il puntino nero della telecamera del terminale.
«Ehi, collega» disse. «Grazie per l’offerta. Potrei anche accettare, ma ho un po’ di difetti da smussare prima di fare il salto. Sai com’è. Se però potessi farmi un favore... Avrei bisogno di tracciare una nave e ormai ho accesso soltanto ai database pubblici, senza contare che, quando riceverai il mio messaggio, Ceres potrebbe anche essere entrata in guerra con Marte. Chissà, sai com’è... Comunque, se potessi impostare una sorveglianza di livello uno sui suoi piani di volo, fammi un fischio se dovesse saltar fuori qualcosa... Ti pagherò una bevuta, uno di questi giorni.»
Fece una pausa. Doveva esserci qualcosa di più da dire.
«Abbi cura di te, collega.»
Rivide il messaggio. Sullo schermo sembrava stanco; il suo sorriso era un po’ posticcio, la voce più acuta di quanto non sembrasse nella sua testa. Ma diceva quel che doveva dire. Lo inviò.
Ecco a cosa lo avevano ridotto. Niente più accesso agli atti, arma di servizio confiscata – ma ne aveva ancora un paio di riserva al suo buco – e i soldi che stavano finendo. Doveva spremere ogni risorsa, chiedere favori per ottenere cose che sarebbero dovute essere normale routine, superare il sistema in astuzia per raccogliere le briciole. Era stato un poliziotto, e l’avevano trasformato in un topo. E ciononostante, pensò, mettendosi comodo sulla sedia, ho fatto un lavoro niente male, per un topo.
Il boato della detonazione giunse dal lato della rotazione, poi si levarono delle voci rabbiose. I ragazzi sul prato interruppero i loro giochi e fissarono verso quella direzione. Miller si alzò. C’era del fumo, ma non vide fiamme. La brezza divenne vento mentre le pale dei purificatori della stazione aumentavano i giri per risucchiare le particelle in modo da evitare che i sensori rilevassero il rischio di alimentare un fuoco. Ci furono tre spari in rapida successione, e delle voci si levarono in un rozzo coro. Miller non riuscì a capirne le parole, ma il loro ritmo gli disse tutto ciò che c’era da capire. Non era un incidente, né un incendio, né una breccia. Era solo una rivolta.
I ragazzi si avviarono verso il trambusto. Miller afferrò una di loro per il gomito. Non doveva avere più di sedici anni; aveva gli occhi quasi neri e il viso perfetto, a forma di cuore.
«Non andarci» le disse. «Raduna i tuoi amici e scappate via.»
La ragazza lo squadrò; guardò la mano di lui sul suo braccio, poi la confusione in lontananza.
«Non potete farci niente» disse Miller.
Lei si liberò dalla sua stretta.
«Si può sempre provare, no?» replicò la giovane. «Podría intentar, non crede?» ‘Potrebbe farlo anche lei.’
«Ci ho già provato» disse Miller, mentre riponeva il suo terminale nella custodia e si allontanava. Alle sue spalle, il rumore della rivolta cresceva d’intensità. Immaginò che potesse occuparsene la polizia.
Durante le quattordici ore successive, la rete del sistema riportò cinque sommosse sulla stazione e alcuni danni strutturali minori. Un nome che non aveva mai sentito prima di allora annunciò un coprifuoco in tre fasi; chi fosse stato trovato fuori dal proprio buco più di due ore prima o dopo il turno di lavoro sarebbe stato soggetto all’arresto. Chiunque ora fosse al comando, evidentemente era convinto che segregare sei milioni di persone fosse la soluzione per creare stabilità e pace. Si chiese che cosa ne pensasse Shaddid.
All’esterno, le cose si stavano mettendo ancora peggio. I laboratori astronomici di osservazione dello spazio profondo di Tritone erano stati occupati da una banda di prospettori simpatizzanti dell’APE. Avevano girato il sistema di scansione dei telescopi e cominciato a trasmettere la posizione di ogni nave marziana nel sistema solare, assieme ad altre immagini ad alta definizione della superficie di Marte, fino a inquadrare la gente a petto nudo che prendeva il sole nei parchi a cupola. Si diceva che una salva di testate nucleari fosse stata lanciata contro la stazione, e che dell’impianto telescopico non sarebbe rimasto altro che polvere nell’arco di una settimana. Il lento traccheggiare dei terrestri aveva cominciato a smuoversi, con le compagnie che avevano base sulla Terra e su Luna che cominciavano a ritirarsi verso il fondo del pozzo di gravità. Non tutte l’avevano fatto, nemmeno la metà, ma quante bastavano per inviare un messaggio che diceva: ‘Non contate su di noi.’ Marte invocava solidarietà; la Fascia invocava giustizia e, più spesso, mandava a farsi fottere la culla dell’umanità.
La situazione non era ancora del tutto fuori controllo, ma stava cominciando a surriscaldarsi. Ancora qualche incidente e non avrebbe più avuto importanza sapere come era cominciata. Né quali fossero gli interessi in gioco. Marte sapeva che la Fascia non poteva vincere, e la Fascia sapeva di non avere niente da perdere. Era la ricetta perfetta per un eccidio di proporzioni mai viste nella storia dell’umanità.
E, come per Ceres, anche in questo caso Miller non poteva farci niente. O quasi. Poteva rintracciare James Holden, scoprire quel che era successo alla Scopuli e seguire le tracce fino a ritrovare Julie Mao. Era un detective. Questo era quel che faceva.
Mentre svuotava il suo buco, tirando via gli oggetti che si erano ammassati nei decenni come una crosta, le parlava. Cercava di spiegarle perché mai avesse mandato tutto all’aria pur di ritrovarla. Dopo aver scoperto la Rocinante, gli era difficile evitare di definirsi donchisciottesco.
La sua Julie immaginaria era scoppiata a ridere, o forse si era impietosita. Pensava che fosse un ometto patetico e triste, visto che rintracciare lei era la cosa più vicina a uno scopo che fosse riuscito a trovare nella vita. L’aveva accusato di essere soltanto uno strumento nelle mani dei suoi genitori. Aveva pianto e gli aveva messo le braccia al collo. Era rimasta seduta con lui a guardare le stelle in una qualche inimmaginabile sala d’osservazione.
Miller mise tutto quello che aveva in uno zaino. Due vestiti di ricambio, i suoi documenti e il suo terminale. Una foto di Candace, di quando le cose andavano bene. Tutte le copie materiali del fascicolo di Julie che aveva fatto prima che Shaddid gli cancellasse la partizione, incluse tre foto della ragazza. Gli venne da pensare che, con tutto quello che aveva vissuto, avrebbe dovuto aggiungere qualcos’altro, poi però cambiò idea. Probabilmente era giusto così.
Passò il suo ultimo giorno a ignorare il coprifuoco, salutando le poche persone che pensava potessero mancargli o a cui riteneva di poter mancare. Con sua grande sorpresa, Muss, che incontrò in un bar di poliziotti in un’atmosfera tesa e imbarazzata, si commosse e lo abbracciò finché non si sentì scoppiare le costole.
Prenotò un passaggio su una nave trasporto diretta a Tycho. La cuccetta gli costò un quarto dei suoi rimanenti fondi. Gli venne in mente, non per la prima volta, che avrebbe dovuto ritrovare Julie dannatamente in fretta, o che avrebbe dovuto trovare un lavoro per sostentarsi mentre svolgeva l’indagine. Ma non era ancora successo, e l’universo non era più abbastanza stabile da poter fare seriamente una pianificazione a lungo termine senza che sembrasse uno scherzo cinico.
Come a sottolineare quel pensiero, il suo terminale squillò mentre era in fila per imbarcarsi sulla nave.
«Ehi, collega» disse Havelock. «Sai, per quel favore che mi hai chiesto? Ho una pista. Il tuo pacchetto ha appena compilato un piano di volo diretto a Eros. Ti allego i dati di accesso pubblico. Ti darei volentieri roba migliore su cui lavorare, ma questi tizi della Protogen sono piuttosto rigidi. Ho parlato di te alla reclutatrice, e mi è sembrata interessata. Per cui fammi sapere, va bene? Ci sentiamo presto.»
Eros.
Fantastico.
Miller si scusò con un cenno del capo rivolto alla donna dietro di lui, uscì dalla fila e si diresse verso la biglietteria. Il tempo di aprire una schermata, e all’imbarco stavano già facendo le ultime chiamate per il volo verso Tycho. Miller restituì il suo biglietto, ottenne un rimborso nominale e spese un terzo di quel che gli rimaneva sul conto per comprare un biglietto per Eros. Sarebbe potuta andare peggio. Sarebbe potuto essere già in viaggio prima di ricevere quella notizia. Doveva cominciare a considerare le cose in termini di fortuna, invece che di sfortuna.
La conferma d’acquisto gli arrivò sotto forma di trillo, come quello di un triangolo da orchestra percosso con delicatezza.
«Spero di non essermi sbagliato» disse a Julie. «Se Holden non c’è, mi sentirò un vero stupido.»
Nella sua mente, Julie sorrise con espressione mesta.
La vita è un rischio, gli disse.